Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18430 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. I, 04/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 04/09/2020), n.18430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11997/2019 proposto da:

A.F., rappresentata e difesa dall’avvocato Almiento

Antonio, giusta procura alle liti allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma via dei Portoghesi, 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 13/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 da Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto n. 891/2019 depositato il 13-3-2019 e comunicato a mezzo pec nella stessa data il Tribunale di Lecce, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione collegiale, ha respinto il ricorso di A.F., cittadina della (OMISSIS), avente ad oggetto il riconoscimento della protezione umanitaria, all’esito del rigetto della relativa domanda da parte della locale Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dalla richiedente, la quale riferiva di essersi convertita alla religione cristiana e di essere stata perciò aggredita dai musulmani della sua città ((OMISSIS)), di essersi trasferita nel 2014, dopo essere rimasta orfana di entrambi i genitori, nella casa della zia paterna, di essere stata stuprata dal marito della zia e, dopo la morte di quest’ultimo, di essere fuggita dal suo Paese a causa dei maltrattamenti subiti dalla zia, con la quale aveva continuato a vivere, trattenendosi per pochi mesi in Libia e continuando la sua fuga verso l’Italia in ricerca di un futuro migliore. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, stante l’insussistenza di fattori soggettivi e oggettivi di vulnerabilità, nonchè valutate le condizioni di vita in Italia della richiedente, neppure caratterizzate da idonei mezzi di sussistenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, la ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c.. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati: “1. Violazione e falsa applicazione di una norma giuridica sostanziale o processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, per avere il Tribunale mutato illegittimamente il rito rispetto allo strumento processuale ex art. 702 bis c.p.c. (monocratico) utilizzato dalla ricorrente e l’applicazione del rito del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis (collegiale) disposta dal Tribunale.

2. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per aver sopravvalutato alcune imprecisioni nel racconto della ricorrente in Commissione. Mancata applicazione del principio del cd. onere probatorio attenuato; 3. Nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per omesso esame del ricorrente; 4. Nullità del decreto o del procedimento, per la violazione del potere-dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente di questa S.C. (Cass. sez. un. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla dir. 2004/83/ce, nonchè per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; Omessa, erronea e/o insufficiente valutazione situazione epidemica (febbre di lassa); 5. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost. e art. 3 Cedu, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (il tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi); 6. Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 8 della Cedu, violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”.

1.1. Ad illustrazione del primo motivo la ricorrente rileva che il ricorso di primo grado, proposto ex art. 702 bis c.p.c., aveva ad oggetto esclusivamente l’accertamento del diritto alla protezione umanitaria. Il ricorso era stato trattato dal Tribunale in composizione collegiale, e non monocratica, e secondo la specifica procedura prevista per le controversie in materia di protezione internazionale, come disciplinata dal combinato disposto di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 3, comma 4 bis e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis. Ad avviso della ricorrente la controversia avrebbe dovuta essere decisa dal Giudice monocratico con rito sommario e decisa con ordinanza impugnabile ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c. e non secondo il nuovo rito, applicabile solo alle forme di protezione tipiche.

1.2. Con gli altri motivi la ricorrente si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria e, nel richiamare il principio dell’onere probatorio attenuato previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lamenta il mancato esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del Tribunale sulle condizioni di pericolo esistenti nel suo Paese, connesse alla violenza diffusa e indiscriminata. Deduce, richiamando la giurisprudenza di questa Corte e la normativa di riferimento, che il suo racconto erroneamente era stato ritenuto inattendibile. Adduce che nel Sud della Nigeria esistono gravi condizioni di pericolo connesse alla violenza diffusa ed alla recente epidemia da febbre di Lassa, come risulta dalle fonti di conoscenza che richiama, e lamenta l’omessa considerazione da parte del Tribunale di dette allegazioni. Dopo aver richiamato la normativa di riferimento e la giurisprudenza di questa Corte, deduce che il Tribunale, omettendo di esercitare i poteri istruttori ufficiosi, non aveva disposto l’audizione personale della ricorrente, la quale avrebbe così potuto chiarire punti o passaggi del proprio racconto ritenuti oscuri. Deduce che le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6, in applicazione del principio di diritto internazionale del “non refoulement” stabiliscono che in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione, in linea con i principi espressi nel richiamato art. 10 Cost.. Rileva che nel caso in esame risulta evidente la sussistenza dei presupposti di applicazione delle suddette norme, essendo notoria la situazione di violenza generalizzata e di grave violazione dei diritti umani del suo Paese. Si duole della motivazione, erronea, insufficiente e contraddittoria del decreto impugnato, richiama la normativa di riferimento e la sentenza n. 4455/2018 di questa Corte, lamentando la mancata comparazione tra la situazione oggettiva del Paese di origine e quella in cui verrebbe a trovarsi in Italia, nonchè affermando che l’integrazione professionale e sociale nel territorio italiano, ritenuta nella specie insufficiente dal Tribunale, non può costituire esclusivo fattore giustificativo del rilascio del permesso di soggiorno.

2. Il primo motivo è fondato.

2.1. Il ricorso di primo grado, depositato in data 11-4-2018 (pag. n. 1 decreto impugnato), ha avuto ad oggetto la sola domanda di riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria, come risulta dalla stessa motivazione del decreto impugnato.

Occorre premettere che il giudizio di primo grado è assoggettato, ratione temporis, alla disciplina processuale dettata dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, in quanto introdotto prima delle modifiche ulteriormente introdotte dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132. Nel caso di specie non trovano applicazione le disposizioni processuali della suddetta ultima normativa, in vigore a partire da data successiva al deposito del ricorso giudiziario (Cass. n. 16458/2019; Cass. n. 2120/2020), e, quanto alla disciplina sostanziale della protezione umanitaria introdotta nel 2018 dal citato decreto e relativa legge di conversione, la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 29459/2019, ha chiarito che detta normativa, con la quale sono stati tipizzati i casi di rilascio di permesso di soggiorno per “protezione speciale”, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali devono essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione.

2.2. Ciò posto, secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, “nella vigenza del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d) e comma 4, convertito nella L. 46 del 2017, successivamente modificato dal D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 3, lett. a), conv., con modif., nella L. n. 132 del 2018, qualora sia stata proposta esclusivamente la domanda di protezione umanitaria, la competenza per materia appartiene alla sezione specializzata del Tribunale in composizione monocratica, che giudica secondo il rito ordinario ex artt. 281-bis c.p.c. e segg. o, ricorrendone i presupposti, secondo il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis c.p.c. e segg. e pronuncia sentenza o ordinanza impugnabile in appello, atteso che il rito previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, con le peculiarità che lo connotano (composizione collegiale della sezione specializzata, procedura camerale e non reclamabilità del decreto), ha un ambito di applicazione espressamente limitato alle controversie di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 e a quelle relative all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino” (Cass. n. 16458/2019; Cass. n. 2120/2020 citate). Inoltre l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale costituisce, per effetto del rinvio operato dall’art. 50 quater c.p.c., al successivo art. 161 c.p.c., comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione, che si converte in motivo di impugnazione. Ne consegue che rimane ferma la validità degli atti che hanno preceduto la pronuncia della sentenza nulla e resta esclusa la rimessione degli atti al primo giudice, ove quello dell’impugnazione sia anche giudice del merito; quando peraltro il procedimento applicato dal giudice di merito abbia di fatto privato il ricorrente di un grado di giudizio, impedendogli la deduzione del vizio di composizione del giudice quale motivo di impugnazione davanti ad altro giudice di merito, l’accoglimento del ricorso per cassazione deve comportare la remissione della causa al primo giudice per un nuovo esame della domanda (Cass. n. 5232/2020 e Cass. n. 16458/2019 citata).

2.3. Nel caso di specie, in applicazione dei suesposti principi, la violazione processuale denunciata è sussistente e ne consegue l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri, con la cassazione del decreto impugnato e rinvio della causa, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio, al Tribunale di Lecce, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione monocratica.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Lecce, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, in composizione monocratica anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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