Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18425 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10139/18 proposto da:

-) L.O., elettivamente domiciliato posta elettronica

dell’avvocato Attilio Converso, difende in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro 14.9.2017 n.

1560;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9

maggio 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L.O., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

-) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7;

-) in subordine, il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14;

-) in ulteriore subordine, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Secondo quanto riferito nel ricorso, a fondamento dell’istanza dedusse che nel suo Paese era stato minacciato di morte dal patrigno, per avere rifiutato di associarsi ad una setta dedita a sacrifici umani; che era perciò fuggito in (OMISSIS), dove aveva vissuto due anni; che se tornasse in Nigeria correrebbe il rischio di essere assassinato dai membri della setta.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento L.O. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Catanzaro, che la rigettò con ordinanza del 12.7.2016.

L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.

2. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 17.92017, rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne che:

-) non vi erano i presupposti per la concessione dello status di rifugiato, perchè la narrazione dei fatti compiuta dal ricorrente dinanzi la CT era generica, e nessuno di tali fatti integrava gli estremi di una “persecuzione diretta nei suoi confronti”;

-) la protezione sussidiaria non poteva essere concessa: sia perchè il racconto del ricorrente era generico ed inverosimile; sia perchè gli episodi narrati dal ricorrente non evidenziavano affatto la situazione di violenza indiscriminata giustificativa della protezione sussidiaria; comunque non la evidenziavano nell’area di provenienza del ricorrente; in ogni caso il pericolo grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 doveva essere attuale e non ipotetico, e nel caso di specie non lo era;

-) la protezione umanitaria non poteva essere concessa perchè il ricorrente non aveva prospettato alcuna situazione riconducibile a situazioni di emergenza sanitaria, alimentare od ambientale, le uniche giustificative della suddetta protezione.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da L.O. con ricorso fondato su sei motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Prima di esaminare il merito delle censure proposte dal ricorrente, va rilevato, in via preliminare, che il ricorso è stato notificato all’Avvocatura Distrettuale dello Stato, invece che all’Avvocatura Generale, in violazione del precetto di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, comma 1.

Tuttavia poichè, per quanto si dirà, il ricorso va dichiarato improcedibile, è inutile ordinare la rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c., in virtù del principio di economia dei giudizi e ragionevole durata del processo (cfr., per la prima affermazione del principio, già Sez. 1, Sentenza n. 2823 del 06/05/1985, Rv. 440586 01).

2. Improcedibilità del ricorso.

2.1. Il ricorso è improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., per due indipendenti ragioni.

La prima è che il ricorrente stesso dichiara che la sentenza d’appello gli è stata notificata (pag. 1, terzultimo rigo, del ricorso), ma non ha depositato la copia notificata del suddetto provvedimento, unitamente alla relazione di notificazione, in violazione del precetto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

2.2. La seconda ragione di improcedibilità è che il ricorso, notificato a mezzo PEC, è privo delle necessarie attestazioni, sottoscritte dal difensore, di conformità all’originale del ricorso, delle relazioni di notificazione, del messaggio e delle ricevute di avvenuta consegna. Infatti le regole sul processo civile telematico sono ancora inapplicabili al giudizio di legittimità, e di conseguenza dinanzi alla Corte di cassazione è ancora necessario il deposito di copie cartacee (che la legge e la prassi definiscono “analogiche”) di tutti gli atti processuali.

Quando, perciò, il ricorso per cassazione sia notificato per mezzo della posta elettronica certificata, il ricorrente deve assolvere l’onere di deposito di cui all’art. 369 c.p.c., depositando:

(a) il ricorso;

(b) il messaggio di posta cui era allegato;

(c) la relazione di notificazione;

(d) la ricevuta di avvenuta consegna;

ed attestando con sottoscrizione autografa la conformità di tutti i suddetti documenti ai rispettivi originali.

Tutti i principi appena riassunti sono già stati ripetutamente affermati da questa Corte, ed in particolare da Sez. U, Sentenza n. 22438 del 24/09/2018, Rv. 650462 – 01, la quale ha affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, è improcedibile a meno che il controricorrente, anche tardivamente costituitosi, non depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.

2.3. Nel caso di specie, la copia del ricorso depositato dal ricorrente è corredata dalla relata di notifica e dalla ricevuta di accettazione, ma tutti questi documenti non recano in calce la dichiarazione di conformità all’originale sottoscritta dal difensore, richiesta dal combinato disposto della L. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 9, commi 1-bis ed 1-ter a norma dei quali:

(a) in tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis;

(b) la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1-bis prescrive che quando non si possa depositare telematicamente un atto telematicamente notificato, “l’avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte”.

Il ricorso quindi va considerato privo di una valida dimostrazione della sua avvenuta notificazione, e va dichiarato improcedibile.

3. Le spese.

3.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

3.2. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara improcedibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di L.O. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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