Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18424 del 20/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 20/09/2016), n.18424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24981-2011 proposto da:

L.C.A.M., C.F. (OMISSIS), M.M.A. C.F.

(OMISSIS), P.L. C.F. (OMISSIS), B.M.G. C.F.

(OMISSIS), tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIALOJA 6, presso lo studio dell’avvocato TEODORO KATTE KLITSCHE DE

LA GRANGE, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato MARIA PASSARELLI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 482/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/05/2011 R.G.N. 6266/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGBETICH;

udito l’Avvocato KATTE KLITSCHE DE LA GRANGE TEODORO;

udito l’Avvocato MARINUZZI DARIO per delega verbale Avvocato

PASSARELLI MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 7.6.2011, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale del medesimo luogo, ha ritenuto insussistente il diritto delle attuali ricorrenti, già dipendenti della ASL (OMISSIS), al computo dell’indennità di posizione organizzativa nelle competenze di fine rapporto (nella specie, nell’indennità premio di fine servizio) corrisposte dall’INPDAP.

La Corte territoriale ha ritenuto di escludere la suddetta voce retributiva dalla base di computo dell’indennità di buonuscita in considerazione della impossibilità di modifiche alla disciplina legale di riferimento da parte delle clausole del contratto collettivo, considerato l’inequivoco tenore del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38.

Avverso la detta sentenza le originarie parti ricorrenti ( M.A.M., B.M.G., L.C.A.M., P.L.) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste l’Inpdap con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Le parti ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 46 CCNL comparto Sanità 7.4.1999, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 e art. 69, D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 2, comma 2 anche in relazione all’art. 15 preleggi, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censurano – con i primi due motivi – la sentenza impugnata per avere, la Corte di appello, trascurato la previsione legale che consente ai contratti collettivi stipulati a seguito della privatizzazione del pubblico impiego di derogare a norme di rango legislativo. Nella specie, l’art. 46 del CCNL integrativo del comparto Sanità 7.4.1999 ha totalmente ridefinito e innovato la base di calcolo del trattamento di fine servizio, la cui disciplina, per le ricorrenti provenienti dagli enti ospedalieri disciolti a seguito dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, era rappresentata dalla L. n. 152 del 1968, art. 11 (e non del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38), unica disposizione richiamata concordemente da entrambe le parti.

2. Con il terzo ed il quarto motivo, le parti ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè vizio di motivazione avendo, la Corte territoriale, adottato una pronuncia extra petita nella misura in cui ha ritenuto di applicare il D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 che concerne i dipendenti dello Stato, senza avvedersi che la disposizione normativa richiamata dall’Inpdap era la L. n. 152 del 1968 che concerne, per l’appunto, dipendenti degli enti locali.

3. I motivi, che essendo strettamente connessi possono trattarsi congiuntamente, non sono fondati.

L’indennità premio di servizio – di cui le ricorrenti chiedono la corretta liquidazione – è disciplinata dalla L. n. 152 del 1968 e rappresenta l’indennità di buonuscita per i dipendenti degli enti locali; la norma dispone, all’art. 4, che l’indennità premio di servizio è “pari a un quindicesimo della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi, considerata in ragione dell’80% ai sensi del successivo art. 11, per ogni anno di iscrizione all’Istituto”; il successivo art. 11, intitolato “misura del contributo previdenziale”, dispone, al comma 1, che “il contributo dovuto per ogni iscritto ai fini del trattamento di previdenza è stabilito a decorrere dal (OMISSIS), nella misura del cinque per cento della retribuzione contributiva annua considerata in ragione dell’ottanta per cento…”; la determinazione della retribuzione contributiva è fissata dal quarto comma dello stesso art. 11, ove si stabilisce che la retribuzione contributiva è costituita dallo stipendio o salario comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura, spettanti per legge o regolamento e formanti parte integrante ed essenziale dello stipendio stesso.

Secondo consolidato orientamento della Sezione Lavoro della Corte (cfr., Cass. n.18999/2010, nonchè ex plurimis, Cass. n. 10160/2001; 681/2003; 9901/2003; 15906/2004 e, da ultimo, Cass. n. 18231/2015), per i dipendenti degli enti locali, la base imponibile per il calcolo dell’indennità premio di servizio, a norma della L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 4 è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5 Legge cit., la cui elencazione ha carattere tassativo e il cui riferimento allo “stipendio o salario” richiede un’interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come esclusivi componenti di tale voce, degli aumenti periodici della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura.

Come argomentato dalle Sezioni Unite di questa Corte, che ebbero a comporre un precedente contrasto di orientamenti in materia (cfr. Cass., S.U., n. 3673 del 1997), se la norma di cui alla L. n. 152 del 1968, art. 11, non fosse improntata ad una ratio negativa dell’onnicomprensività, ossia se con la menzione di stipendio e salario si fosse inteso designare il complessivo trattamento retributivo del lavoratore, ingiustificata ed incoerente risulterebbe la specifica menzione degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura come elementi dello stipendio o del salario da ricondurre nell’ambito della retribuzione contributiva. La circostanza che il legislatore del 1968 abbia avvertito l’esigenza di includere nello stipendio o nel salario, da valere quale “retribuzione contributiva” utile al computo dell’indennità premio di servizio, soltanto gli aumenti periodici, la tredicesima mensilità gli assegni in natura, e non anche altri emolumenti seppure aventi carattere indubbiamente retributivo, significa esclusione dallo stipendio o salario, ai fini anzidetti (ossia dalla retribuzione contributiva), di ogni altra voce del trattamento retributivo globale del lavoratore non espressamente menzionata.

4. La Corte territoriale, pur invocando una diversa disposizione legislativa (valevole per i dipendenti statali), ha correttamente applicato il principio di diritto innanzi riportato nella misura in cui ha statuito che la retribuzione che costituisce la base di computo dell’indennità di premio di servizio va stabilita esclusivamente in base alle previsioni legislative, che dettano una nozione tassativa di retribuzione contributiva ed escludono l’incidenza dei trattamenti accessori percepiti dal dipendente.

L’esclusione dell’applicazione della disciplina di fonte contrattuale, e in particolare dell’art. 46 contratto collettivo integrativo del CCNL Sanità del 7.4.1999, deriva dalla diversità di istituto regolato dalle stesse parti sociali. Invero, l’art. 46 invocato dalle parti ricorrenti regola – come lo stesso tenore della disposizione negoziale lascia intendere – il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c. (istituto applicato ai pubblici dipendenti assunti, in regime c.d. contrattualizzato, dall’1.1.1996, in forza della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 5) mentre le parti stesse hanno richiesto la corresponsione dell’indennità premio di fine servizio. La L. n. 335 del 1995, art. 2 ha previsto che: “Per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, i trattamenti di fine servizio, comunque denominati, sono regolati in base a quanto previsto dall’art. 2120 c.c. in materia di trattamento di fine rapporto” (comma 5); “La contrattazione collettiva nazionale in conformità alle disposizioni del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, titolo 3^, e successive modificazioni ed integrazioni, definisce, nell’ambito dei singoli compatti, entro il 30 novembre 1995, le modalità di attuazione di quanto previsto dal comma 5, con riferimento ai conseguenti adeguamenti della struttura retribuiva e contributiva del personale di cui al medesimo comma…” (comma 6); “La contrattazione collettiva nazionale, nell’ambito dei singoli comparti, definisce, altresì, ai sensi del comma 6, le modalità per l’applicazione, nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995, della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto… ” (comma 7).

Pertanto solo per i lavoratori assunti a partire dal 1 gennaio 1996 è previsto che i trattamenti di fine servizio siano regolati secondo le disposizioni del codice civile, con conseguente superamento della struttura previdenziale dei trattamenti contemplati dalla disciplina pubblicistica; per contro, in relazione ai lavoratori già in servizio al 31.12.1995 (fra i quali vanno ricompresi gli ex dipendenti per cui è causa), è demandata alla contrattazione collettiva soltanto la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto (cfr. Cass. 17421/2013, 21206/2012, 3833/2012).

Come già affermato da questa Corte, inoltre, (cfr. Cass. n. 27836/2009, citata dalla Corte territoriale; nello stesso senso, Cass. n. 709/2012) deve poi tenersi conto che, a mente del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 3, ora trasfuso nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 2, “In attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto”. La locuzione “nuova regolamentazione contrattuale della materia”, siccome destinata al superamento della previgente disciplina, va riferita ad un intervento di complessiva modifica del quadro normativo concernente il trattamento di fine rapporto e non già a meri interventi su punti specifici della disciplina previgente e, per quanto qui particolarmente rileva, all’inclusione di specifiche voci retributive nella base di calcolo della indennità di buonuscita. Ne consegue che, attesa l’inderogabilità della normativa previdenziale, nel cui ambito rientra l’indennità di buonuscita (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 14/2007), deve escludersi che l’autonomia individuale o collettiva, in difetto di specifiche disposizioni in tal senso e giusta l’inequivoco tenore della L. n. 152 del 1968 (che, come illustrato, indica tassativamente le voci retributive da considerare ai fini della base contributiva di calcolo), possa introdurre specifiche modificazioni alla relativa disciplina legale; quindi, in particolare, la contrattazione collettiva non può interferire in ordine all’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella base di computo dell’indennità di buonuscita.

In ogni caso, la regola per cui la indennità di anzianità viene calcolata su una base non onnicomprensiva, ossia limitata allo stipendio base, con esclusione di altre indennità, conduce comunque ad un trattamento molto più favorevole rispetto a quello relativo al TFR spettante ai i dipendenti privati, giacchè i destinatari della L. n. 152 del 1968 citato, hanno il vantaggio di moltiplicare “gli ultimi dodici mesi” per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del TFR, che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno.

5. – In conclusione, il ricorso va rigettato. Sussistono giustificati motivi, in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale sulle questioni dibattute, per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2016

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