Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18419 del 28/08/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 18419 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 21407-2009 proposto da:
AGUSTA S.P.A. C.F. 02512010121, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso lo studio
dell’avvocato TARTAGLIA FURIO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato GULOTTA MARIO, giusta
2014

delega in atti;
– ricorrente –

1517

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Data pubblicazione: 28/08/2014

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

avvocati MARITATO LELIO,

LUIGI CALIULO,

SGROI

ANTONINO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

nonchè contro
EQUITALIA – ESATRI – ESAZIONE TRIBUTI S.P.A.;
– intimata

avverso la sentenza n. 1151/2008 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/10/2008 R.G.N.
894/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/04/2014 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato GULOTTA MARIO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

Udienza del 30 aprile 2014 — Aula A
n. 8 del ruolo—RG n. 21407/09
Presidente: Coletti – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 10 ottobre 2008), in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Varese n. 257/2005, rigetta le opposizioni di AGUSTA s.p.a.
avverso i ruoli esattoriali iscritti a suo carico dall’INPS sede di Varese e le cartelle di pagamento
emesse da EQUITALIA ESATRI Esazione Tributi s.p.a., dichiarando dovuti i contributi sulle
indennità di “divisa estera”, “di disagio” e “di prima sistemazione”, erogate ai dipendenti distaccati
per ragioni di servizio in Paesi stranieri extracomunitari (Turchia, USA, Canada e Argentina).
La Corte d’appello di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:
a) ai fini della determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi si deve
considerare, in primo luogo, che la nozione di retribuzione prevista dall’art. 12 della legge n. 153
del 1969 — applicabile ratione temporis è più ampia di quella civilistica contenuta nell’art. 2099
cod. civ. e comprende non il semplice corrispettivo dell’opera prestata, ma tutto ciò che per legge, o
convenzione, il lavoratore riceve in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta in dipendenza
del rapporto di lavoro, sicché ogni compenso entra a far parte della retribuzione imponibile, salvo
quelli specificamente e tassativamente elencati dallo stesso art. 12;

b) soltanto al suddetto elenco si deve fare riferimento per le esclusioni, non avendo rilievo
eventuali qualificazioni date dalle parti ad un certo emolumento, trattandosi di materia
previdenziale sottratta alla disponibilità dei privati;
c) le indennità — di “divisa estera”, “di disagio” e “di prima sistemazione” — in contestazione
rientrano soggettivamente e oggettivamente nell’indicata nozione di retribuzione imponibile;
d) date le modalità e le ragioni della relativa elargizione tali indennità si sono tradotte in una
maggiorazione della retribuzione sotto forma di risparmio di spese sostenute per il distacco,
secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità in casi analoghi (Cass. 3 novembre
2000, n. 14388 e Cass. 12 febbraio 2004, n. 3278);
e) né va omesso di sottolineare che si tratta di emolumenti quantificati in misura fissa e
corrisposti in modo continuativo, con periodicità mensile (ad eccezione della indennità una tantum
per spese di prima sistemazione), ciò conferma il loro carattere retributivo e, al contempo, porta ad
escluderne il carattere restitutorio, anche in considerazione della loro mancata qualificazione come
“rimborsi spese”, rinvenibile in una serie di altre indennità incluse nel complessivo trattamento
estero dei dipendenti della società;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

d) d’altra parte, la società non ha fornito — come era suo onere — alcun elemento di prova
idoneo a dimostrare la natura delle elargizioni di cui si tratta, essendosi limitata ad allegare e
provare soltanto le modalità di calcolo e la quantificazione delle indennità in oggetto;

f) quanto alla censura proposta dalla AGUSTA nell’appello incidentale, a proposito
dell’assoggettamento a contribuzione delle spese sostenute per l’invio dei figli dei dipendenti nelle
colonie estive, va rilevato che, in base al citato art. 12, tale somme rientrano pacificamente, in base
alla giurisprudenza di legittimità, nella nozione di retribuzione imponibile, salvo particolari
eccezioni che non ricorrono nella specie e dovendo, d’altra parte, considerarsi irrilevanti le modalità
di pagamento, la facoltatività dell’erogazione e la mancata previsione di una indennità sostitutiva in
favore dei dipendenti non fruitori del benefici;

e) ne consegue che le anzidette indennità devono essere assoggettate agli obblighi contributivi
previsti dall’alt 12 della legge n. 153 del 1969, come rilevato dagli ispettori dell’INPS nei verbali
di accertamento;

g) sono del pari ininfluenti le osservazioni della società secondo cui il beneficio delle colonie
estive elargito solo in un numero limitato di anni (dal 1989 al 1991) dovrebbe considerarsi una i
,
semplice liberalità, perché, in base all’art. 12 cit., le liberalità sono solo le elargizioni concesse una
tantum per eventi eccezionali e non ricorrenti, non collegate neppure indirettamente al rendimento
dei lavoratori o all’andamento aziendale (Cass. 4 novembre 1995, n. 11516);
h) nella specie, infatti, le rette sono state pagate per alcuni anni consecutivi e non sono
sporadicamente, questo basta per configurarle come di carattere retributivo, risultando trascurabile
il loro mancato collegamento al rendimento dei lavoratori o all’andamento aziendale;
i) infine, per quel che riguarda la eccezione di legittimità costituzionale prospettata
dall’AGUSTA in ordine ai commi 15 e 17 dell’art. 2 della legge n. 335 del 1995, per asserito
contrasto con gli artt. 2, 3 e 31 Cost., va rilevato che la norma del suddetto comma 17 — che ha
stabilito l’applicabilità anche ai periodi precedenti la data di entrata in vigore legge n. 335 cit.
soltanto di alcune delle disposizioni prevedenti le esenzioni introdotte dal comma 15 dello stesso
articolo, limitando in particolare tale possibilità a quelle di cui alle lettere e), d) ed e) del comma 15
e, quindi, non includendovi quelle di cui alla lettera a) dello stesso comma (riguardanti le spese
sostenute dal datore di lavoro per le colonie climatiche in favore dei figli dei dipendenti, di cui si
discute nel presente giudizio) — è una norma di carattere eccezionale e, come tale, di stretta
interpretazione che il legislatore ha emanato nell’ambito della discrezionalità che gli compete in
materia previdenziale;
g) ne deriva che è da escludere che essa si ponga in contrasto con i principi costituzionali di
uguaglianza e ragionevolezza, né che, in particolare, determini alcuna ingiustificata disparità di
trattamento tra spese per colonie climatiche e spese per asili nido etc.
2.— Il ricorso di AUGUSTA s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione della
sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, l’INPS. EQUITALIA ESATRI Esazione
Tributi s.p.a. non svolge attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2

Deve essere preliminarmente precisato che al presente ricorso si applicano ratione ternporis le
prescrizioni di cui all’art. art. 366-bis cod. proc. civ.
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
1.1.— Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e in
riferimento alle tre indennità — diverse dalla “indennità estero”, computabile nel TFR — corrisposte
ai dipendenti distaccati all’estero, violazione e falsa applicazione delle seguenti disposizioni: 1)
ratione temporis art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, come novellato dall’art. 1 del d.l. 9
ottobre 1989, n. 338, convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389; 2) art. 2099, secondo comma,
cod. civ.; 3) artt. 1362 e 1363 cod. civ.
Si sostiene che l’importo “divisa estera”, l’indennità “di disagio” entrambe corrisposte in
misura annuale e l’indennità “di prima sistemazione” non hanno natura retributiva, ma risarcitoriaindennitaria e, come tali, non sono da assoggettare a contribuzione, diversamente da quanto
affermato dalla Corte d’appello.
1.2.— Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione, in ordine alla sottoposizione a contribuzione
delle tre indennità di cui al precedente motivo e si rileva che la società ha adeguatamente provato la
natura non retributiva dei suddetti emolumenti, come ritenuto dal giudice di primo grado.
Pertanto, non può farsi riferimento alla presunzione di onerosità propria del rapporto di
lavoro, in quanto tale istituto è utilizzabile solo in mancanza della prova della natura della somma
corrisposta al lavoratore.
1.3.— Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., nullità
della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sul
motivo dell’appello incidentale della società riguardante la violazione dell’art. 29 del d.P.R. n. 797
del 1955 e dell’art. 30 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124.
Si rileva che, con l’anzidetta censura la società aveva sostenuto che per la determinazione
della — contestata — contribuzione sulle spese assistenziali per l’invio dei figli dei dipendenti in
colonia climatiche era necessario un decreto ministeriale non potendosi fare rinvio alla base
imponibile calcolata dall’INPS sulla base dell’ammontare del fatturato dei gestori delle colonie oltre
tutto al lordo dell’IVA.
Infatti, per tutti i tipi di retribuzione in natura le norme suindicate prevedono che vi sia
l’obbligo di adottare il valore della prestazione come determinato dal decreto del Ministro del
Lavoro, cui non si può sostituire l’INPS, mentre, nella specie la suddetta normativa non è stata
rispettata e la Corte milanese ha completamente omesso di dare alcuna spiegazione al riguardo, non
esaminando lo specifico motivo di appello incidentale in oggetto, che richiedeva una espressa
statuizione, riguardando la esatta determinazione del quantum dei contributi controversi.
1.4.— Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione, ratione temporis dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153.
3

Sempre con riguardo al servizio di colonia climatica, si sostiene che la Corte territoriale non
ha affatto esaminato se, nella specie, vi era o meno una previsione contrattuale o una altra fonte che
rendesse obbligatoria l’erogazione del servizio e che, quindi, ne comportasse l’inclusione nella
retribuzione imponibile.

1.5.— Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
insufficiente o contraddittoria motivazione con riferimento al rigetto dell’eccezione di illegittimità
costituzionale dell’art. 2, commi 15 e 17, della legge n. 335 del 1995, per violazione degli artt. 2, 3,
31 e 41 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento tra il datore di lavoro che
volontariamente sostiene spese assistenziali per finanziare asili nido o circoli ricreativi per i propri
dipendenti e il datore di lavoro che finanzi invece l’invio in colonia climatiche dei figli dei propri
dipendenti.
Si rileva, dal combinato disposto delle anzidette disposizioni, riselter che tale ultima ipotesi
(nel comma 17) è stata esclusa dall’efficacia retroattiva della introdotta esenzione, prevista invece
per le prime situazioni, senza alcuna valida giustificazione.
Si conclude rinnovando l’anzidetta eccezione e si fa, inoltre, presente che, essendo state
provvisoriamente eseguite le sentenze dei gradi di merito, in caso di accoglimento del ricorso, si
rivendica, ai sensi dell’alt. 389 cod. proc. civ., il diritto alla restituzione di quanto pagato con gli
interessi legali decorrenti dalle date dei rispettivi pagamenti.

III

Esame delle censure

2.- In primo luogo, va dichiarata l’inammissibilità del quinto motivo, con il quale si assume
che costituirebbe un vizio di motivazione della sentenza impugnata il rigetto dell’eccezione di
illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 15 e 17, della legge n. 335 del 1995, per violazione
degli artt. 2, 3,31 e 41 Cost.
2.1.- In primo luogo deve essere ricordato l’orientamento di questa Corte — che trova riscontro
nella giurisprudenza della Corte costituzionale — secondo cui, poiché il vigente sistema di sindacato
“incidentale” di costituzionalità attribuisce a qualunque “autorità giurisdizionale”, innanzi a cui sia
sollevata la relativa eccezione, il potere di respingerla “per manifesta irrilevanza o infondatezza”, è
inammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza che sia diretto esclusivamente a
censurare il concreto esercizio di un siffatto potere da parte del Giudice di cui si tratta (vedi, per
tutte: Cass. SU 29 marzo 2013, n. 7929; Corte cosi. sentenza n. 263 del 1994 e, da ultimo, sentenza
n. I del 2014).
Il suddetto indirizzo va coordinato con quello già espresso da questa Corte (vedi, per tutte:
Cass. 10 ottobre 1985, n. 4931 e di recente Cass. 24 febbraio 2014, n. 4406) in base al quale il
motivo di ricorso per cassazione non può risolversi nella mera critica della pronuncia impugnata per
la ritenuta irrilevanza ovvero manifesta infondatezza della sollevata eccezione di illegittimità
costituzionale giacché la questione di costituzionalità di una norma, non solo non può costituire
4

Se avesse esaminato tale profilo non avrebbe potuto non riconoscere che si trattava di una
liberalità del datore di lavoro, non costituente corrispettivo della prestazione dei dipendenti ed
essendo caratterizzata da discontinuità e occasionalità.

Né può sottacersi che, ai sensi dell’art. 24, secondo comma, della legge 11 marzo 1953 n. 87,
l’eccezione di incostituzionalità può essere riproposta all’inizio di ogni grado ulteriore del processo, )ic-ke
l’eventuale erroneità della valutazione del giudice che, nel provvedimento impugnato, la abbia
ritenuta manifestamente irrilevante o infondata, è del tutto ininfluente alla luce della possibilità che
il giudice del gravame — ivi compresa la Corte di cassazione — sia sollecitato a compiere una nuova
autonoma delibazione della questione, in ipotesi difforme da quella effettuata dal giudice del
precedente grado.
2.2.- Ne consegue che non possono avere ingresso le censure della società ricorrente che si
dolgono — oltretutto denunciando un vizio di motivazione — del rigetto, da parte della Corte
d’appello milanese, dell’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 15 e 17, della
legge n. 335 del 1995, per violazione degli artt. 2, 3, 31 e 41 Cost., sotto il profilo della
irragionevole disparità di trattamento tra il datore di lavoro che volontariamente sostiene spese
assistenziali per finanziare asili nido o circoli ricreativi per i propri dipendenti e il datore di lavoro
che finanzi invece l’invio in colonia climatiche dei figli dei propri dipendenti.
2.3.- Alle predette considerazioni va aggiunto che l’eccezione stessa — che viene qui
riproposta — non merita accoglimento, in considerazione della manifesta infondatezza della
prospettata questione di legittimità costituzionale.
A tale riguardo va osservato che — come si desume anche dalla giurisprudenza della Corte
costituzionale (vedi per tutte : sentenza n. 421 del 1995) — in base al “diritto (allora) vivente” nel
vigore dell’art. 12 della legge 30 aprile 1969 n. 153 (applicabile nella specie ratione temporis) le
erogazioni disposte dal datore di lavoro in favore dei figli dei propri dipendenti per la fruizione di
colonie estive, non dipendendo di regola da causa autonoma rispetto al rapporto di lavoro,
rientravano nella retribuzione imponibile secondo la definizione del richiamato art. 12, non
rilevando in contrario (ai sensi dello stesso art. 12, n. 6) né la mancata rispondenza di quelle rette ad
un obbligo del datore di lavoro, né l’assenza del carattere continuativo dell’elargizione né il
mancato collegamento con il rendimento dei lavoratori e/o con l’andamento aziendale (vedi, per
tutte: Cass. 4 novembre 1995, n. 11516; Cass. 14 dicembre 1996, n. 11175).
Del resto, in linea generale, nella giurisprudenza di questa Corte, la regola di cui al citato art.
12 della legge del 1969 in coordinamento con le disposizioni degli artt. 15 e 17 della legge n. 335
del 1995 che — modificando l’art. 12 citato, hanno escluso dalla retribuzione imponibile le spese
sostenute dal datore di lavoro per le colonie climatiche in favore dei figli dei dipendenti nonché
ulteriori spese ed agevolazioni erogate dal datore di lavoro, attribuendo tuttavia efficacia retroattiva
soltanto a queste ultime esclusioni — è stata interpretata nel senso della sussistenza dell’obbligo di
assoggettamento a contribuzione previdenziale fino alla data di entrata in vigore della legge n. 335
citata di tutto quanto ricevuto dal lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro (anche con finalità
5

unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere proposta, o riproposta, dalla
parte interessata, oltre che rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti
rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni
sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo (in senso conforme vedi,
tra le altre: Cass. 18 febbraio 1999, n. 1358; Cass. 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. 29 ottobre 2003, n.
16245).

D’altra parte, va anche ricordato l’indirizzo secondo cui l’inclusione nella retribuzione
imponibile delle spese sostenute dal datore di lavoro per le colonie climatiche in argomento — quale
sancita dall’art. 12 cit. — trova riscontro nei principi costituzionali secondo cui la retribuzione deve
essere commisurata non soltanto alla quantità e qualità dell’opera prestata, ma anche alle esigenze
personali e familiari del lavoratore (Cass. 3 ottobre 1998, n. 9823; Cass. 19 giugno 2008, n. 16678;
Cass. 1 ottobre 2012, n. 16636).
Nel suddetto contesto è stata, altresì, affermata — sul rilievo secondo cui si tratta di una scelta
discrezionale del legislatore — la manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale
dall’art. 2, commi 15 e 17 della legge n. 335 del 1995, prospettato — come accade nel presente
giudizio — nella parte in cui riserva la ivi prevista efficacia retroattiva parziale della esenzione dalla
contribuzione previdenziale alla ipotesi delle spese sostenute per il funzionamento di asili nido
aziendali e di circoli aziendali ed assimilati e dell’attribuzione in natura di prodotti dell’azienda
stessa e non estende l’applicabilità di tale particolare regime temporale anche alle spese sostenute
dal datore di lavoro per le colonie climatiche per i figli dei dipendenti (Cass. 16 marzo 1999, n.
2353).
Tale affermazione deve essere condivisa, specificandosi che il carattere discrezionale della
normativa di cui si tratta — art. 2, commi 15 e 17, della legge n. 335 del 1995 — si desume ictu ocu/i
dal carattere eccezionale che ad essa va riconosciuto, per plurime ragioni.
Essa, infatti, non solo prevede un regime diverso — e più restrittivo rispetto al passato — di
retribuzione imponibile, ma lo fa nell’ambito di una disciplina di carattere previdenziale — come tale
connotata, di per sé, dal riconoscimento di un’ ampia discrezionalità legislativa — inserita in una
legge di riforma dell’intero ordinamento previdenziale — emanata in atniAzione dell’art. 38 Cost. e
caratterizzata, innanzitutto, dai dichiarati obiettivi di contenimento della spesa previdenziale,
oggetto di un bilanciamento discrezionalmente effettuato dal legislatore (Corte cost. sentenza n. 233
del 2008) — nella quale il regime delle esenzioni contributive — già di per sé — eccezionale — è molto
articolato e calibrato situazione per situazione.
Inoltre, essa contiene anche un regime (parzialmente) derogatorio rispetto al principio
generale secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo” (art.
11 delle preleggi) e, com’è noto, la Corte costituzionale, con orientamento costante, afferma che
benché il divieto di norme retroattive non sia stato elevato a dignità costituzionale, salvo che per la
materia penale, tuttavia è necessario che la retroattività di una disciplina trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e «non contrasti con altri valori o interessi
costituzionalmente protetti», tanto più che, in assenza di tale situazione, l’efficacia retroattiva di una
norma nazionale può porsi in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6,
6

di tipo assistenziale), con la sola deroga delle somme riconducibili alla tassativa elencazione di cui
al comma terzo dello stesso art. 12, non riferibile alle somme erogate dal datore di lavoro per le
colonie estive in favore dei figli dei dipendenti. Ciò in quanto, entro il termine considerato, la
fattispecie ha continuato ad essere disciplinata dal richiamato art. 12 della legge n. 153 del 1969
(nella sua precedente versione) il quale, com’è noto, adottava un concetto ampio di retribuzione
(Cass. 3 ottobre 1998, n. 9823; Cass. 16 marzo 1999, n. 2353; Cass. 7 febbraio 2001, n. 1761; Cass.
21 febbraio 2001, n. 2571; Cass. 19 agosto 2003, n. 12155).

paragrafo 1, della CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo (ex plurimis, sentenze n. 69
del 2014, n. 264 del 2012, n. 257 del 2011, n. 74 del 2008 e n. 234 del 2007).

Tali rilievi hanno carattere assorbente al fine della dichiarazione di manifesta infondatezza
della prospettata questione di legittimità costituzionale.
3.- Dalle anzidette osservazioni si desume, altresì, la non fondatezza delle censure prospettate
nel quarto motivo, sul presupposto — come si è detto, erroneo — secondo cui, ai sensi dell’art. 12
della legge 30 aprile 1969, n. 153 (applicabile, nella specie, ratione temporis), le spese per il
servizio di colonia climatica dovevano essere considerate delle liberalità del datore di lavoro, non
costituenti corrispettivo della prestazione dei dipendenti.
4.- Sempre con riferimento alle spese per il servizio di colonia climatica, va, invece, accolto il
terzo motivo, con il quale la società ricorrente denuncia — per omessa pronuncia — la sentenza
impugnata per non esservi stato esaminato il motivo dell’appello incidentale della società
riguardante la violazione dell’art. 29 del d.P.R. n. 797 del 1955 e dell’art. 30 del d.P.R. 30 giugno
1965,n. 1124.
4.1.- Al riguardo, deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità del
motivo in esame sollevata dall’INPS sul presupposto secondo cui la censura doveva essere
prospettata come vizio di omessa motivazione.
Invero secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte l’omessa pronuncia su alcuni dei
motivi di appello — così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza
ritualmente introdotta in giudizio — risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto
e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto
valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art.
360 n.3 cod. proc. civ. o del vizio di motivazione ex art. 360 n.5. cod. proc. civ., in quanto siffatte
censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di
doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non
giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del
relativo error in procedendo — ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione
all’art.360 n.4 cod. proc. civ. — la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di
legittimità — in tal caso giudice anche del fatto processuale — di effettuare l’esame, altrimenti
precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione
del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice
del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il
motivo (Cass. 27 gennaio 2006 n.1755 e Cass. SU 27 ottobre 2006 n.23071).

7

E, a tale ultimo riguardo, il Giudice delle leggi ha ulteriormente e reiteratamente, precisato
come l’efficacia retroattiva della legge trovi, in particolare, un limite nel «principio
dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico», il mancato rispetto del
quale si risolve in irragionevolezza e comporta, di conseguenza, l’illegittimità della norma
retroattiva (sentenze n. 170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n. 206 del 2009, per
tutte).

4.2.- Passando al merito del dedotto vizio si rileva che effettivamente, come si deduce
dall’atto di appello, il cui contenuto — in adempimento dell’onere dell’autosufficienza – è stato
puntualmente riportato dalla società nel ricorso, l’attuale ricorrente censurava la sentenza del
Tribunale di Varese per non aver tenuto conto che, nella specie, l’INPS aveva richiesto la
contribuzione per le spese sostenute dal datore di lavoro per fornire il servizio di colonia ai figli dei
propri dipendenti sulla base di quanto effettivamente speso e non sulla base del valore che doveva
essere , ex art. 29 del d.P.R. n. 797 del 1955, determinato ai fini contributivi dal Ministro del lavoro
e della previdenza sociale.
Orbene su tale specifica deduzione la Corte del merito omette qualsiasi pronuncia e,
trattandosi di questione decisiva, non può che seguire l’annullamento, sul punto, della sentenza
impugnata.
Questa Corte, infatti, ha più volte affermato il principio, qui ribadito, secondo il quale ove la
retribuzione del lavoratore subordinato consista, in tutto o in parte, in prestazioni in natura, la
determinazione del relativo valore ai fini contributivi è attribuita, a norma dell’art. 29 del d.P.R. n.
797 del 1955 (e dell’art. 30 del d.P.R. n. 1124 del 1965 per i premi dovuti all’INAIL), al Ministro
del lavoro e della previdenza sociale, che provvede con apposito decreto, a meno che la prestazione
in natura non abbia un valore monetario certo e facilmente accertabile, senza il ricorso a criteri
discrezionali e senza alcuna conseguente discriminazione fra i soggetti tenuti alla contribuzione con
la conseguenza che, allorché la determinazione ministeriale sia necessaria ma non sia di fatto
intervenuta, non può ritenersi insorta in concreto alcuna obbligazione contributiva, senza che l’ente
previdenziale, sostituendosi al Ministro, possa direttamente procedere alla determinazione del
valore della suddetta prestazione (Cass. 7 maggio 2002 n. 6494, Cass. 21 luglio 2004 n. 13523 e
Cass. 3 agosto 2004 n. 14845).
5.- Come si è detto, con i primi due motivi — da esaminare congiuntamente, data la loro intima
connessione — la società ricorrente censura — rispettivamente sotto il profilo della violazione di
legge e del vizio di motivazione — le statuizioni della sentenza impugnata nelle quali la Corte
milanese ha attribuito natura retributiva alle tre indennità corrisposte ai dipendenti distaccati
all’estero, denominate importo “divisa estera”, indennità “di disagio” e indennità “di prima
sistemazione”.
Tali motivi sono da accogliere soltanto per la parte riguardante l’indennità di prima
sistemazione.
5.1.- Deve essere premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio
intende dare continuità:
1) in base all’art. 12 della legge n. 153 del 1969 le erogazioni liberali del datore di lavoro ai
propri dipendenti sono sottratte alla contribuzione a condizione che: a) non sussista alcun obbligo
rispetto ad esse a carico del datore di lavoro; b) le elargizioni siano concesse per eventi eccezionali
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Correttamente, pertanto, la società ricorrente ha fatto valere il vizio di omessa pronuncia su di
un motivo di appello con la specifica deduzione della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in
relazione all’art.360 n.4 cod. proc. civ.

e non ricorrenti; c) non vi sia alcun collegamento, neppure indiretto, tra le elargizioni stesse, il
rendimento dei lavoratori e l’andamento aziendale;

3) in particolare, il trattamento economico aggiuntivo corrisposto al lavoratore che alle
dipendenze di datore di lavoro italiano presti la sua opera all’estero può, in base alle pattuizioni che
la prevedono e alle particolarità del caso concreto, avere sia natura riparatoria — se assolve la
funzione risarcitoria delle maggiori spese connesse alla prestazione lavorativa all’estero – sia natura
retributiva — se assolve la funzione compensativa del disagio e/o della professionalità propria di
detta prestazione lavorativa – sia, infine, natura mista — se assolve una funzione tanto risarcitoria che
retributiva – e il relativo accertamento è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di
legittimità se congruamente motivato (Cass. 3 novembre 2000, n. 14388; Cass. 12 febbraio 2004, n.
3278);
4) peraltro, grava sul lavoratore che presti la propria opera all’estero, alle dipendenze di un
datore di lavoro italiano – ove il contratto giustifichi l’erogazione delle somme in riferimento non al
valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per
trasferirsi o per soggiornare all’estero insieme alla famiglia – l’onere di provare che tali somme non
siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, e spetta al giudice di merito, che ne riconosca la
natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento (Cass. 5 maggio 2008, n.
10986; Cass. 22 novembre 2010, n. 23622);
5) in materia di trattamento economico aggiuntivo attribuito al lavoratore che presti la propria
opera all’estero, alle somme erogate a titolo di rimborso spese va riconosciuta natura retributiva
qualora si tratti di spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi
della prestazione lavorativa, non assumendo rilievo il carattere forfettario o meno del rimborso ma
esclusivamente il collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta dal lavoratore con la
prestazione lavorativa all’estero, risolvendosi la corresponsione dell’importo in un adeguamento
della retribuzione per le maggiori spese in considerazione delle condizioni ambientali in cui il
lavoratore presta la sua attività (Cass. 18 marzo 2009, n. 6563).
5.2.- Nella specie la Corte territoriale — a parte l’erroneo, ma ininfluente, passaggio
argomentativo nel quale ha rilevato la mancata dimostrazione della natura delle elargizioni da parte
della società sostenendo che ne fosse onerata mentre il relativo onere incombeva sull’INPS — ha,
complessivamente indicato in modo plausibile e congruo gli elementi in base ai quali ha ritenuto di
attribuire carattere retributivo alle suindicate indennità.
Infatti, il Giudice d’appello, conformemente ai principi affermati da questa Corte, ha rilevato
che, in considerazione delle modalità e delle ragioni della relativa elargizione di tali indennità, si
sono tradotte in una maggiorazione della retribuzione sotto forma di risparmio di spese sostenute
per il distacco ed ha anche aggiunto il carattere retributivo di tali emolumenti è confermato dalla
loro quantificazione in misura fissa e dalla corresponsione in modo continuativo, con periodicità
mensile, il che porta ad escluderne il carattere restitutorio, anche in considerazione della loro
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2) l’accertamento relativo a tale ultimo collegamento costituisce apprezzamento di fatto
riservato al giudice di merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità salvo che per vizio di
motivazione o violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 23 giugno 2010, n.
15207; Cass. 7 giugno 2003, n. 9155; Cass. 19 novembre 2002, n. 16305);

mancata qualificazione come “rimborsi spese”, rinvenibile in una serie di altre indennità incluse nel
complessivo trattamento estero dei dipendenti della società.

In altri termini, dalla motivazione sul punto non risulta se l’emolumento di cui si tratta abbia
natura retributiva — in quanto riferito a spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur
indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa e, pertanto, si risolva in un adeguamento
della retribuzione — ovvero abbia natura risarcitoria, riferendosi a spese che il lavoratore era tenuto a
sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro e costituendo, come tale, la reintegrazione di
una diminuzione patrimoniale collegata alle modalità della prestazione lavorativa svolta (vedi Cass.
24 giugno 2009, n. 14835).
IV — Conclusioni
4.— In sintesi, per le ragioni dianzi esposte, devono essere accolti integralmente il terzo motivo
di ricorso nonché il primo e il secondo motivo limitatamente alla parte riguardante l’indennità di
prima sistemazione. Il quarto motivo va rigettato e il quinto va dichiarato inammissibile.
5.- La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, in relazione alle censure accolte, con
rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Milano, in
diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i
principi su affermati e, quindi, anche ai seguenti:
1) “il trattamento economico aiuivQ corrisposto al lavoratore che alle dipendenze di
datore di lavoro italiano presti la sua operargirin base alle pattuizioni che la prevedono e alle
particolarità del caso concreto, avere sia natura retributiva — in quanto riferito a spese effettuate dal
lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa e,
pertanto, si risolva in un adeguamento della retribuzione — sia natura risarcitoria — se riferito a spese
che il lavoratore era tenuto a sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro 14′ costituendo,
come tale, la reintegrazione di una diminuzione patrimoniale collegata alle modalità della
prestazione lavorativa svolta natura riparatoria — sia, infine, natura mista — se assolve una funzione
tanto risarcitoria che retributiva — e il relativo accertamento è riservato al giudice di merito ed è
incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato”;
2) “ove la retribuzione del lavoratore subordinato consista, in tutto o in parte, in prestazioni in
natura, la determinazione del relativo valore ai fini contributivi è attribuita, a norma dell’art. 29 del
d.P.R. n. 797 del 1955 (e dell’art. 30 del d.P.R. n. 1124 del 1965 per i premi dovuti all’INAIL), al
Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che provvede con apposito decreto, a meno che la
prestazione in natura non abbia un valore monetario certo e facilmente accettabile, senza il ricorso a
criteri discrezionali e senza alcuna conseguente discriminazione fra i soggetti tenuti alla
10

Va, tuttavia, rilevato che la suddetta motivazione che è esuastiva per quel che riguarda
l’importo “divisa estera” e l’indennità “di disagio”, appare invece insufficiente con riferimento alla
indennità una tantum per spese di prima sistemazione, in quanto non viene chiarito, in modo
adeguato, se anche per tale indennità si possano riscontrare gli elementi che, ad avviso della Corte
milanese, sono sintomatici del carattere retributivo degli emolumenti, visto che comunque tale
indennità dalla stessa Corte viene distinta dalle altre per le modalità di quantificazione e di
corresponsione.

contribuzione:con la conseguenza che, allorché la determinazione ministeriale sia necessaria ma
non sia di fatto intervenuta, non può ritenersi insorta in concreto alcuna obbligazione contributiva,
senza che l’ente previdenziale, sostituendosi al Ministro, possa direttamente procedere alla
determinazione del valore della suddetta prestazione”.

“è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si risolva nella mera critica della
pronuncia impugnata per la ritenuta irrilevanza ovvero manifesta infondatezza della sollevata
eccezione di illegittimità costituzionale giacché la questione di costituzionalità di una normy. non
solo non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio, ma soprattutto può sempre essere
proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado del
giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la
decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso integralmente ed il primo e il secondo motivo
limitatamente alla parte riguardante l’indennità di prima sistemazione. Rigetta il quarto motivo e
dichiara inammissibile il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure
accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di
Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 30 aprile 2014.

6.- In ragione della funzione di nomofilachia affidata dall’ordinamento a questa Corte di
cassazione, si ritiene opportuno, ai sensi dell’art. 384, primo comma, cod. proc. civ. enunciare il
seguente ulteriore principio di diritto:

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