Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18416 del 08/09/2011

Cassazione civile sez. II, 08/09/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 08/09/2011), n.18416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – rel. Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 275-2009 proposto da:

B.G.B. (OMISSIS), nato a

(OMISSIS), quale erede di B.L. elettivamente

domiciliato in ROMA, V. PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato

ROMANELLI GUIDO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GARIBALDI ANTONIO;

– ricorrente –

contro

D.D., D.G. ederi di B.A., DI.

M., DI.AL., DI.FR., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LUIGI CALAMATTA, 16, presso lo studio

dell’avvocato NAPOLITANO PASQUALE, rappresentati e difesi dagli

avvocati ALITA GIANCARLO, PONTICELLI MASSIMO;

– controricorrenti –

e contro

BO.AN., B.M.T.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 291/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Presidente Dott. ROBERTO MICHELE TRIOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per l’accoglimento del quarto

motivo e rigetto del resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia è insorta tra le parti in relazione alla successione per causa di morte di B.G., deceduto il (OMISSIS) lasciando a sè superstiti quattro figli: L., che con un testamento olografo del (OMISSIS) era stato nominato dal de cuius suo unico erede, An., A. e G., poi defunta il (OMISSIS).

Nel presupposto che la disposizione di ultima volontà ledesse i diritti spettanti ai legittimari B.A., nonchè Di.

A., Di.Fr. e Di.Ma., quali eredi di B.G., con atto notificato il 5 giugno e il 18 novembre 1982, citavano davanti al Tribunale di Genova B. L., Bo.An., esercitando azioni di riduzione, divisione e rendiconto.

Il primo convenuto si difendeva affermando che le sue sorelle erano state soddisfatte con beni ricevuti in donazione dal padre.

ha seconda faceva proprio questo assunto, dichiarando di non avere domande da formulare.

Con sentenza non definitiva del 16 luglio 1992 il Tribunale accoglieva la domanda di riduzione.

Con sentenza definitiva del 24 agosto 1995 il Tribunale provvedeva alla divisione.

Impugnate in via principale da B.L. e incidentalmente da B.A., Di.Al., Di.Fr. e Di.Ma., le pronunce di primo grado venivano parzialmente riformate dalla Corte di appello di Genova, con sentenza non definitiva del 25 agosto 2000.

Contro tale sentenza ha proponeva ricorso per Cassazione B. L., in base a tre motivi.

B.A., Di.Al., Di.Fr. proponevano ricorso incidentale, con quattro motivi.

Questa S.C., con sentenza in data 21 dicembre 2004 n. 23650, accoglieva per quanto di ragione il primo e il terzo motivo del ricorso principale, rigettato il secondo, rigettati il primo e il terzo motivo del ricorso principale, dichiarati assorbiti il secondo e il quarto.

Questa S.C., premesso che correttamente i giudici di merito avevano ritenuto provati gli atti di liberalità compiuti da B.G. in favore delle figlie, riteneva che, invece, ora insufficiente la motivazione con cui si era escluso che oggetto indiretto delle donazioni fossero stati gli immobili acquistati con il denaro loro elargito dal padre.

La censura con la quale B.L. lamentava di essere stato condannato a restituire i frutti percepiti e percipiendi prodotti dai beni assegnati a B.A., Di.Al., D. F. e Di.Ma., con indebite maggiorazioni cumulative sia della rivalutazione monetaria sia degli interessi, pur trattandosi di debito di valuta, era solo parzialmente fondata.

La Corte di appello, infatti, avrebbe dovuto distinguere tra i frutti civili eventualmente percepiti da B.L. e quelli naturali, poichè in effetti la restituzione dei primi, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, da luogo a un’obbligazione di valuta, sicchè la rivalutazione monetaria va accordata al creditore soltanto ove provi di aver subito un “maggior danno” rispetto a quello neutralizzato dagli interessi al tasso legale; per i secondi, invece, il debito è di valore, sicchè per essi era corretta la decisione con cui se ne era disposta la rivalutazione, con l’aggiunta degli interessi compensativi sulle relative somme, rivalutate anno per anno.

La causa veniva riassunta da B.G.B., erede (unitamente a B.M.T.) di B.L., davanti alla Corte di appello di Genova, designata quale giudice di rinvio, che, con sentenza in data 8 marzo 2008, confermava in primo luogo che le donazioni del de cuius alle figlie dovevano considerarsi come donazioni dirette di denaro e non donazioni indirette di immobili acquistati con tale denaro, in base alla seguente motivazione:

le risultanze sul punto sono costituite da dichiarazioni costituzionali, che riferiscono di affermazioni del de cuius di avere donato del denaro alle figlie per l’acquisto di due appartamenti in (OMISSIS) e di altre che riferiscono circa le condizioni patrimoniali non floride delle donne, tali da non consentir loro l’acquisto di immobili.

Si tratta di dichiarazioni estremamente generiche, che riferiscono di circostanze apprese de relato, che non precisano l’epoca dei donativi nè quella dell’acquisto degli immobili, nè le caratteristiche nè il prezzo di questi ultimi, di modo che non vi è la possibilità di ricollegare con certezza i donativi agli acquisti immobiliari, essendo ben possibile che il denaro ricevuto si sia confuso col patrimonio delle donatario, e gli acquisti siano intervenuti successivamente, con utilizzazione successiva anche di proventi del loro patrimonio personale e familiare, così da escludere la donazione indiretta degli immobili.

Alle somme donate si applicava il principio nominalistico.

Con riferimento alla domanda di restituzione dei frutti i giudici di rinvio affermavano che B.L. era tenuto alla restituzione:

dei frutti civili con gli interessi al tasso legale dalla data della domanda, non essendo stati provati, ed invero neppure fatti oggetto di tempestive allegazioni specifiche, danni maggiori, di quelli coperti dagli interessi legali.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione B. G.B., con tre motivi. Illustrati da memoria.

Resistono con controricorso D.D. e D.G., quali eredi di B.A., nonchè Al.Di., D. F. e Di.Ma..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente si duole che nella specie sia stata esclusa la prova della donazione indiretta degli appartamenti comprati da B.A. e B.G. con denaro loro fornito dal padre.

Il motivo è infondato.

Va premesso che fuori luogo viene invocata la “confessione” di Bo.An. in ordine alla donazione in un’epoca abbastanza determinata di una somma precisa per acquistare un ben individuato appartamento.

Una stretta connessione temporale tra donazione del denaro e acquisto di appartamenti non è possibile, infatti, desumere dalle prove invocate dai ricorrente, con riferimento alle liberalità di cui si discute, le quali fanno riferimento soltanto a donazioni di denaro che, nelle intenzioni del donante sarebbero state effettuate con la finalità di consentire a ciascuna delle altre figlie di acquistare un appartamento.

Con il secondo motivo, subordinato al rigetto del primo, il ricorrente si duole del fatto che i giudici di rinvio abbiano escluso la rivalutazione del denaro oggetto delle donazioni ad B.A. e B.G., pur essendosi sulla questione formato il giudica Lo interno a seguito della sentenza di primo grado.

Anche tale motivo è infondato, dal momento che, avendo B.A., nonchè Di.Al., Di.Fr. e D. M. proposto impugnazione in ordine alla esistenza stessa delle donazioni di denaro, non poteva formarsi il giudicato in ordine alla rivalutazione delle stesse.

Il terzo motivo, subordinato al rigetto del secondo, si conclude con il seguente quesito di diritto:

Dica la Corte di Cassazione se debba oppure no ritenersi non manifestamente i rifondata, e se perciò debba essere rimessa alla Corte Costituzionale (per violazione degli artt. 3 e 42 Cost.) la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 556 c.c., comma 5, art. 64 c.c., comma 2, art. 751 cod. civ., là dove dette norme, regolando la riunione fittizia di relictum e donatum, la imputazione “ex se” e la collazione relative a somme di denaro donato in vita dal de cuius, prevedono l’applicazione del principio nominalistico, senza considerare che tale principio, legittimo nel campo dei rapporti obbligatori, appare irrazionale ed iniquo se esteso ai diverso campo delle successioni in cui e razionalmente giustificabile che anche alla moneta, come agli immobili e al mobili, si attribuisca i valore del “tempo dell’apertura della successione” ogni qual volta debba procedersi a collazione o imputazione.

Osserva il collegio, che, come del resto ricorda lo stesso ricorrente, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 556 c.c., art. 564 c.c., comma 2, e art. 751 c.c., nella parte in cui in materia successoria richiamano il principio nominalistico per la valutazione di somme di denaro, ai fini della riunione fittizia e della imputazione ex se è stata già ritenuta inammissibile, poichè il giudice costituzionale non può, con una sentenza additi va, scegliere tra varie soluzioni astrattamente possibili quelle più razionali per la valutazione dei beni trasmessi dal de cuius (Corte cost. 17 ottobre 1985 n. 310), nè vengono addotti argomenti per censurare la erroneità di tale conclusione.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole del fatto che sia sfato condannato al pagamento delle spese processuali per il precedente giudizio di legittimità nella astronomica cifra di Euro 3.000.000.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, trattandosi di un evidente errore materiale, nel senso che la con danna deve intendersi per e 3.000,00, come riconosciuto dagli stessi resistenti.

in definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente ai pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari, oltre Euro 200,00 per esborsi, ed accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2011

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