Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18416 del 01/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18416 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 19852-2011 proposto da:
CASONI ALESSANDRO, GIANNETTI LUIGI, ACCIARRI ALFREDO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI
268-A,

presso

lo

PIERGIOVANNI, che li

studio

dell’avvocato

ALLEVA

rappresenta e difende giusta

delega in atti;
– ricorrenti –

2013
1530

contro
TEXON ITALIA S.P.A. 05520280966, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo

Data pubblicazione: 01/08/2013

studio dell’avvocato STUDIO LEGALE FAILLA, ROTONDI &
PARTNERS, – LABLAW, rappresentata e difesa dagli
avvocati FAILLA LUCA, PETRACCA NICOLA, giusta delega
in atti;
– controricorrente

di MILANO, depositata il 15/02/2011, r.g.n.6g0/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato ALLEVA PIERGIOVANNI;
udito l’Avvocato PETRACCA NICOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 76/2011 della CORTE D’APPELLO

_
R.G. n. 19852/11
Ud. 7.5.13

La Corte d’Appello di Milano, in riforma della decisione di
primo grado che aveva accolto parzialmente la domanda proposta
da Luigi Giannetti, Alfredo Acciarri e Alessandro Casoni nei
confronti di Texon Italia S.p.A., dichiarando illegittimo il
licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto nei loro
confronti ed ordinandone la reintegra nel posto di lavoro, con il
pagamento delle retribuzioni globali di fatto a decorrere dalla data
del licenziamento, ha rigettato la domanda dei lavoratori,
osservando per quanto ancora qui rileva :
– che i lavoratori erano addetti al magazzino “stoccaggio prodotti
finiti” della società Texon Italia;
– che la gestione del magazzino era stata affidata ad una società
cooperativa in forza di un contratto di appalto di servizi;
– che le posizioni di lavoro dei lavoratori erano state soppresse;
– che la società appellante aveva dimostrato la ragionevolezza della
sua scelta nonché l’impossibilità di reimpiegare utilmente i
lavoratori;
– che non erano stati assunti nuovi lavoratori. L’unica persona
assunta era già in servizio presso la società Texon Italia come
lavoratrice interinale, ma era addetta all’ufficio commerciale, con
mansioni incompatibili con quelle dei lavoratori licenziati;
– che pertanto il licenziamento era legittimo.
Avverso questa sentenza propongono ricorso per cassazione i
lavoratori sulla base di tre motivi. La società resiste con
controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando violazione e
falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 e 41
Cost., dopo aver richiamato le teorie che si contendono il campo in
tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deducono
ritiene che a monte della decisione di procedere al licenziamento
dei lavoratori non deve esistere alcuna sufficiente ragione
economica o produttiva che spieghi o giustifichi il licenziamento.
Non è riconosciuto cioè spazio alcuno al sindacato giurisdizionale

“se non quello del riscontro di verità della effettiva diminuzione del
personale ovvero della causa prossima”.
Tale teoria è erronea perché ritiene che il solo interesse in
gioco sia quello del datore di lavoro, il quale è l’unico a poter
valutare l’esigenza organizzativa e produttiva che giustifica il
licenziamento. Il legislatore nel dettare la norma di cui all’art. 3 L.
604/66 ha aderito alla teoria della sussistenza dei due interessi
contrapposti e del loro punto di equilibrio perché altrimenti non
avrebbe usato il termine di giustificato motivo oggettivo.
Il motivo così conclude: “In definitiva affermiamo

che la

Corte di Appello di Milano ha errato quando ha sostenuto che
nell’istituto del giustificato motivo oggettivo unico interesse rilevante
sia quello del datore di lavoro al libero livello occupazionale
dell’impresa, e che quindi ogni scelta del livello stesso, purché
effettivamente realizzatasi sia legittima e sindacale”.
2. Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa
applicazione degli artt. 2 e 3 della legge 604 del 1966. Si deduce
che la Texon S.p.A. si è limitata ad una deduzione
inammissibilmente generica del giustificato motivo oggettivo,
venendo meno all’onere di specificazione dei motivi del
licenziamento, posto a tutela del diritto di difesa della controparte.
Né le lettere di licenziamento hanno enunciato le ragioni
giustificative del licenziamento, limitandosi a richiamare la

che la Corte territoriale ha accolto la teoria acausale, la quale

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esternalizzazione della gestione del magazzino. Ciò comporta la
illegittimità dei licenziamenti per mancata sufficiente specificazione
delle ragioni che li hanno determinati.
3. Con il terzo motivo, denunziando violazione degli artt. 3 e
5 L. 604 del 1966 nonché vizio di motivazione, i ricorrenti rilevano
(riduzione dei costi e aumento dei profitti) è stata esclusa dai
vertici della stessa Texon S.p.A. ed in particolare dal direttore
dello stabilimento. Inoltre, non sono state sufficientemente
dimostrate le ragioni produttive che hanno giustificato il
licenziamento, avendo un solo teste fatto riferimento ai vantaggi di
maggiore flessibilità organizzativa provenienti dall’appalto alla
cooperativa, senza in alcun modo addurre che la precedente
organizzazione basata sul lavoro dipendente avesse “dato luogo a

delle defaiances” o “ad inconvenienti qualitativi della gestione” del
magazzino”.
4. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in
ragione della loro connessione, è infondato.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è dettato da
ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro
e al regolare funzionamento di essa (art. 3, seconda parte, L. n.
604 del 1966).
Il “motivo oggettivo” è rimesso alla valutazione del datore di
lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di
gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della
libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Spetta invece al giudice il controllo della reale sussistenza
delle esigenze tecnico-economiche dedotte dal datore di lavoro, e
cioè della effettività e della non pretestuosità del riassetto
organizzativo operato.
Questi principi sono stati enunciati più volte da questa Corte,
che ha anche aggiunto che l’onere probatorio circa l’effettiva
sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro grava

che la ricorrenza di una causa giustificatrice di ordine economico

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interamente sullo stesso, il quale deve dimostrare, anche mediante
elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente
utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle
precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere
intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che
un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri
posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e
conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di
provare la non utilizzabilità nei posti predetti (Cass. 8 febbraio
2011 n. 3040; Cass. 18 marzo 2010 n. 6559; Cass. 22 agosto 2007
n. 17887).
Con riguardo, poi, alle assunzioni di nuovo personale
successivamente al licenziamento, per ritenere raggiunta la prova
della inutilizzabilità aliunde del lavoratore licenziato, è necessario
che il datore di lavoro, sul quale grava il relativo onere probatorio,
indichi (e dimostri) le assunzioni effettuate, il relativo periodo, le
qualifiche e le mansioni affidate ai nuovi assunti e le ragioni per
cui tali mansioni non siano da ritenersi equivalenti a quelle svolte
dal lavoratore licenziato, tenuto conto della professionalità
raggiunta dal lavoratore medesimo.
In relazione a tutti tali elementi, il giudice deve dare conto
della valutazione operata, con motivazione che, ove adeguata ed
immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità.
Nella specie la motivazione adottata dalla Corte territoriale è
logica, coerente ed appare rispettosa dei principi di diritto sopra
richiamati.
La Corte anzidetta ha infatti accertato che la gestione del
magazzino dove lavoravano i ricorrenti è stata affidata con un
contratto di appalto di servizi ad una società cooperativa; che tale
scelta imprenditoriale è stata effettiva e non pretestuosa; che le
posizioni di lavoro dei ricorrenti sono state soppresse; che, pur
essendo irrilevante accertare se le motivazioni dell’azienda fossero

impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di

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di tipo economico ovvero organizzative, la società aveva comunque
dimostrato la ragionevolezza della scelta in termini di maggiore
flessibilità nell’utilizzo del personale; che si era anche verificato un
certo risparmio in termini economici; che l’unica nuova assunta
era già in servizio come lavoratrice interinale ed addetta all’ufficio

Alla stregua di tutto quanto precede il ricorso deve essere
rigettato.
5. Restano assorbite le eccezioni di inammissibilità del ricorso
formulate dalla società resistente con il controricorso, relative
all’interesse ad agire dei lavoratori e ai motivi “formali” del ricorso.
6.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in

dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese del presente giudizio, che si liquidano a favore della
società resistente in 50,00 per esborsi ed 3.000,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 7 maggio 2013.

commerciale, con mansioni incompatibili con quelle degli appellati.

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