Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18413 del 12/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18413 Anno 2018
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: DE MASI ORONZO

ORDINANZA

sul ricorso 12313-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

EREDI BOVA ALDO COLLETTIVAMENTE ED IMPERSONALMENTE;
– intimato –

2018
1619

avverso la sentenza n. 28/2010 della COMM.TRIB.REG. di
BOLOGNA, depositata il 15/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 15/05/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO
DE MASI.

Data pubblicazione: 12/07/2018

RITENUTO

che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con tre motivi, avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna, indicata in
epigrafe, con la quale è stato respinto l’appello erariale avverso la decisione di
annullamento, su ricorso di Aldo Bova, dell’avviso di accertamento Irpef emesso, per
l’anno d’imposta 2003, nei confronti del predetto e dell’altro socio, Marco Bova, della

reddito d’impresa non dichiarato, per omessa presentazione del Mod. Unico 2004,
ricomprendente maggiori ricavi e, quindi, maggiori utili, secondo l’Ufficio distribuiti
presuntivamente ai soci, essendo la compagine societaria di natura strettamente
familiare;
che il giudice di appello osservava, aderendo a quanto sostenuto dal contribuente,
che l’accertamento analitico sarebbe stato il mezzo di accertamento più efficace, in
quanto gli studi di settore si basano su presunzioni semplici, e la loro applicazione
richiede l’instaurazione di un preventivo contraddittorio con il contribuente, per
consentire a quest’ultimo di presentare atti ed argomenti a propria difesa, mentre nel
caso si specie l’Ufficio aveva fatto ricorso all’accertamento induttivo, di dubbia
attendibilità, essendo stati gli studi di settore applicati solo in parte e mancando
qualsiasi riferimento a specifici rapporti, tra la società ed i soci, che potessero in
qualche modo giustificare la pretesa impositiva azionata nei loro confronti;
che gli intimati eredi del contribuente Aldo Bova (deceduto il 5/4/2010) non hanno
svolto attività difensiva;
CONSIDERATO

che la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta, con il primo motivo d’impugnazione,
in relazione all’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, violazione degli artt. 39 e 41,
d.p.r. n. 600 del 1973, 55, d.p.r. n. 633 del 1972, poiché il giudice di appello
erroneamente riconduce agli studi di settore l’accertamento d’ufficio operato nei
confronti del contribuente, originato dalla omessa dichiarazione della Studio Tributario
Bova s.r.I., per l’anno d’imposta 2003, e dalla constatazione, sulla scorta del verbale
d’ispezione, dell’inattendibilità della relativa contabilità, e di altri elementi,
complessivamente sufficienti per reggere i risultati di un accertamento induttivo, ai
sensi dell’art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973;

i

Studio Tributario Bova s.r.I., alla quale era stato accertato, sulla base di p.v.c., un

che, con il secondo motivo d’impugnazione, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c.,
primo comma, n. 5, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, poiché il giudice di appello non ha esplicitato le ragione della decisione con la
quale svaluta il preciso valore indiziario dei dati e delle notizie raccolte dall’Ufficio,
stante l’avvenuta presentazione della dichiarazione per l’anno 2003, in data
27/1/2006, dunque, soltanto a verifica iniziata, e la ricostruzione, operata in via
induttiva, del volume d’affari della società;

primo comma, n. 3, falsa applicazione degli artt. 41, comma 1, lett. c), d.p.r. n. 597
del 1973, 2697 e 2729 c.c., poiché il giudice di appello ha dato rilievo alla autonomia
sia giuridica, che patrimoniale, della società di capitali, nel caso di specie, a ristretta
base partecipativa, senza considerare che la società non può costituire, rispetto alla
posizione fiscale dei soci, uno schermo invalicabile, ove risulti l’esistenza di utili
percepiti extrabilancio, restando semmai a carico del contribuente la dimostrazione
della diversa destinazione dei maggiori ricavi;
che, preliminarmente, va rilevata la ritualità della notifica del ricorso, eseguita
impersonalmente e collettivamente agli eredi del contribuente, alla luce della
giurisprudenza di questa Corte secondo cui “L’atto di impugnazione della sentenza, nel
caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), deve essere rivolto agli
eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia
dall’eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente;
detta notifica – che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi – può
anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purché entro l’anno
dalla pubblicazione (comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale),
nell’ultimo domicilio della parte defunta ovvero, nel solo caso di notifica della sentenza
ad opera della parte deceduta dopo l’avvenuta notificazione, nei luoghi di cui al primo
comma dell’art. 330 c.p.c.” (Cass. n. 14699/2010);
che le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono
fondate e meritano accoglimento per le ragioni di seguito esposte;
che, in estrema sintesi, all’esito della verifica operata a carico della predetta società,
la quale non aveva presentato, al momento dell’accesso presso lo studio
professionale, il Mod. Unico 2004, l’Ufficio, accertava, per l’anno 2003, ricavi non
contabilizzati ed elementi positivi di reddito non dichiarati, provvedeva a rettificare
anche il reddito da capitale dichiarato dagli unici soci, Marco ed Aldo Bova, e facendo
rinvio all’accertamento che aveva interessato la società imputava a questi ultimi,
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che, con il terzo motivo d’impugnazione, lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c.,

proporzionalmente alle quote possedute, il reddito accertato e non dichiarato dalla
Studio Tributario Bova s.r.I.;
che, invero, l’ordinamento fiscale contempla diversi metodi di accertamento (analitico,
analiticoinduttivo, sintetico), contraddistinti da specifici presupposti normativamente
previsti e tutti funzionali all’emissione dell’avviso di accertamento, cosa che consente
di adeguare le modalità accertative e di controllo alla diversità delle situazioni ed alla
pluralità tipologica dei soggetti fiscalmente accertabili, per cui se è vero che, come si

regola ordinaria a cui l’Amministrazione finanziaria deve tendenzialmente attenersi
nell’esercizio dei suoi poteri, è vero anche che il ricorso alle ulteriori tipologie di
accertamento, che costituiscono deroghe a detta regola, è legittimo qualora ne
sussistano i presupposti previsti dalla legge;
che in ipotesi, quale quella di specie, di mancata presentazione della dichiarazione dei
redditi, i poteri accertativi dell’Ufficio trovano fondamento e disciplina non già nell’art.
38 (accertamento sintetico o standardizzato) o nell’art. 39 (accertamento induttivo o
analiticoinduttivo), bensì nella diversa previsione di cui all’art. 41 d.p.r. n. 600 del
1973 (c.d. accertamento d’ufficio), norma espressamene richiamata nell’avviso di
accertamento del “reddito imponibile ai fini Irpef e dell’Addizionale Regionale e
Comunale Irpef di C 13.063,00”, notificato ad Aldo Bova, “titolare del 40% del capitale
sociale” della Studio Tributario Bova s.r.I., in quanto ritenuto in via presuntiva
percettore del “maggior utile occultamente distribuito ai soci proporzionalmente alle
quote possedute”,
che, come questa Corte ha avuto occasione di precisare, “a tal fine l’Ufficio, sulla base
dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il
reddito complessivo del contribuente medesimo, e in quanto possibile i singoli redditi
delle persone fisiche soggetti all’Ilor, con facoltà di ricorso a presunzioni c.d.
supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che
comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può
fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi
e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella
indicata dall’ufficio” (Cass. n. 1506/2017, n. 14930/2017, n. 3115/2006, n.
9755/2003, n. 17016/2002);
che, quindi, non appare pertinente il riferimento, contenuto nella impugnata sentenza,
tanto all’accertamento analiticoinduttivo (art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 600 del
1973), consentito per la rettifica delle dichiarazioni quando l’incompletezza, la falsità o
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legge nella impugnata sentenza, il metodo dell’accertamento analitico rappresenta la

l’inesattezza degli elementi ivi indicati risulta dall’ispezione delle scritture contabili (in
tal caso l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è
desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché “gravi, precise e
concordanti”), quanto all’accertamento standardizzato mediante parametri o studi di
settore (art. 62 bis, d.l. n. 331 del 1993, convertito dalla I. n. 427 del 1993), che
costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza
non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli

statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio, da
attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento;
che, inoltre, secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, formatasi in tema di
accertamento delle imposte sui redditi, dalla quale non v’è ragione di discostarsi,
“nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione
di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la
facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati
fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero
da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione
che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili né il definitivo
accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non
contabilizzati, non risultando né accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci”
(Cass. n. 18640/2008, ma anche Cass. n. 25688/2006, n. 6197/2007, n. 20721/2010
e n. 17928/2012);
che, dunque, la decisione di secondo grado non è in linea con gli esposti principi, in
quanto incentrata sulla critica del metodo di accertamento seguito dall’Ufficio, per
quanto detto non condivisibile, nonché sul rilievo della mancanza di una specifica
indagine sui “rapporti interni fra società e soci”, e della responsabilità “limitata” dei
soci di una società di capitali, affermazioni che non tengono conto della presunzione
scaturente dalla oggettiva ristrettezza della base sociale, e dal vincolo di solidarietà e
di reciproco controllo dei soci (padre e figlio), costituente il fatto noto del
ragionamento indiziario-presuntivo, nonché del conseguente onere, gravante appunto
sul contribuente, di dimostrarne la concreta inattendibilità, offrendo la prova che gli
accertati maggiori ricavi, non dichiarati dalla società, non sono stati oggetto di
distribuzione, ma hanno avuto una diversa destinazione, considerato che a causa
dell’inattendibilità della contabilità tali elementi positivi di reddito assumono i
caratteri patologici propri della gestione societaria extrabilancio, e che l’uso delle
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“standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione

presunzioni semplici è nella specie reso legittimo dalla tipologia dell’accertamento
operato dall’Ufficio;
che, in conclusione, deve pervenirsi, in accoglimento del ricorso, alla cassazione della
sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, affinché proceda a una nuova
valutazione della fattispecie, alla luce dei principi sopra esposti, ed al medesimo
giudice resta anche devoluto il regolamento delle spese del presente giudizio di
legittimità;

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese
del presente giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Emilia
Romagna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2018.

P.Q.M.

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