Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18413 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/09/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19591/2013, promosso da:

G.A., Gi.An., G.F.,

G.G., Gi.Gi. e Gi.Gi., in qualità di

amministratori della Futuredil s.n.c., tutti rappresentati e difesi

dall’avv. Alessandra Cecilia del foro di Rieti ed elettivamente

domiciliati presso lo studio dell’avv. Irma Bombardini, piazza

Sempione, 19/b – Roma;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza 156/22/12 del 8 giugno 2012 della

Commissione tributaria regionale per il Lazio.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

La Commissione tributaria regionale per il Lazio, con la sentenza sopra detta – per quanto ancora in questa sede rileva – confermando la sentenza di primo grado, appellata sia dai contribuenti che dall’Ufficio – ha validato la cartella di pagamento (OMISSIS) per i.r.p.e.f. e add. Com. 2005, e gli avvisi di accertamento 880010200943/4/5/6/7/8 i.r.p.e.f. e add. com. e reg. 2005 e 880020200452 per i.v.a. e i.r.a.p. 2005, della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Rieti, nella parte in cui hanno attribuito ad utili non dichiarati prelevamenti eseguiti dai soci della Futuredil s.n.c. per complessivi Euro 87.665,00, imputati ad i.r.p.e.f. non dichiarata da ciascuno in relazione alla rispettiva quota di partecipazione; e confermato l’annullamento dell’accertamento nella parte in cui imputava ad utili non dichiarati anche il versamento da parte dei soci di Euro 38.050,00.

Per la cassazione di questa sentenza ricorrono, per due motivi, i soci anche nella qualità di rappresentanti legali della Futuredil s.n.c..

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, che con ricorso incidentale impugna l’esclusione dall’accertamento del predetto versamento.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 31 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, conv. in L. n. 197 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

“Il presente ricorso – scrivono i ricorrenti – si basa sui seguenti motivi di diritto di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

“Per quanto riguarda l’art. 360 c.p.c., suddetto punto 5, la commissione tributaria regionale ha omesso l’esame del bilancio e delle scritture contabili depositate nel fascicolo, dalle quali avrebbe potuto constatare che le movimentazioni riguardanti i prelevamenti e i versamenti sono state regolarmente riportate nelle scritture, così come indirettamente confermato dall’ufficio, e che nelle stesse risultavano presenti debiti verso istituti di credito”.

“Per quanto riguarda l’art. 360 c.p.c., punto 3, nelle società in nome collettivo i soci rispondono illimitatamente e solidalmente dei debiti della società e per tale peculiarità, per le somme prelevate dalle casse sociali in eccedenza rispetto gli utili maturati i soci della Futuredil s.n.c. rispondono personalmente anche con loro patrimonio personale. I prelevamenti e i versamenti di somme eseguiti dei soci non hanno alcun rilievo economico se riportati regolarmente in contabilità, avendo tali movimentazioni, nella tecnica contabile, esclusivamente un rilievo di natura patrimoniale così come regolarmente riportato nelle scritture contabili della società in particolare modo nel libro giornale e nelle schede contabili del conto soci c/prelevamenti del conto soci c/finanziamenti.”

Il primo motivo è infondato.

In tema di accertamenti tributari, grava sul contribuente l’onere di dedurre e dimostrare che la provvista dei prelievi di conto corrente coincide con fondi contabilizzati come redditi o non imponibili. In mancanza della relativa prova – che non può essere offerta mediante la sola registrazione in contabilità della movimentazione bancaria, inidonea a dimostrare il titolo del versamento o l’origine della prowista – ciascun prelievo e ciascun versamento deve presumersi corrispondere ad un ricavo non contabilizzato (Cass., 14045/2014).

In tema di accertamento delle imposte sui redditi e dell’I.V.A., tutti i movimenti sui conti bancari del contribuente, siano essi accrediti che addebiti, si presumono, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, riferiti all’attività economica del contribuente, i primi quali ricavi e i secondi quali corrispettivi versati per l’acquisto di beni e servizi reimpiegati nella produzione, spettando all’interessato fornire la prova contraria che i singoli movimenti non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass., 26111/2005).

Questi principi, che costituiscono ius receptum in giurisprudenza, sono stati elaborati soprattutto in materia di movimentazioni bancarie e in applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ma valgono a maggior ragione per le movimentazioni che risultano dalla contabilità stessa dell’impresa, se ad esse non corrispondono utili prodotti e distribuiti fra i soci.

Riguardo alla circostanza secondo cui dalle scritture sarebbero emersi rapporti debitori nei confronti delle banche, essa è del tutto ininfluente, perchè, nei termini in cui è formulata, non è possibile dedurre, con la dovuta specificità, che i prelevamenti in eccesso rispetto agli utili prodotti/distribuiti sia stati effettuati a titolo di prestito ai soci. Da essa è solo possibile dedurre che la società aveva debiti nei confronti di alcune banche, ma non che non avesse avuti ricavi occulti.

Si tratta in ogni caso di una questione di merito, sulla quale la Commissione tributaria regionale si è pronunciata e che in questa sede non è possibile riproporre.

Il secondo motivo è inammissibile, perchè non indica quali siano le norme di legge delle quali si afferma la violazione. In ogni caso è assorbito da quanto sopra detta sulla valenza fiscale dei prelevamenti effettuati dall’imprenditore e non risultanti dai ricavi contabilizzati.

Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3″ avendo la sentenza ritenuto illegittima la ripresa tassazione della somma di Euro 38.050,00 versata dai soci sui conti correnti della società ed ipotizzando che tali versamenti potessero derivare da cespiti diversi dagli utili dell’attività edilizia, da sovvenzione di parenti o da altre fonti, allo scopo di fornire ausilio finanziario di impresa.

Il motivo è fondato.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilità e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anzichè costituire acquisizione di utili (Cass., 26260/2010; Cass., 16896/2014; Cass., 26111/2015; Cass., 10480/2018).

Anche questo è principio consolidato nella giurisprudenza, elaborato in materia di versamenti bancari, come nel caso in esame, e vale anche per i versamenti titolati quali finanziamenti dei soci (cfr. Cass., 26260/2010). La prova che si tratta di somme non provenienti dall’attività d’impresa deve essere fornita (anche per presunzioni) dal contribuente e il giudice tributario non può farsene congettura propria.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce ” motivazione omessa o insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″ avendo ritenuto non credibile la spiegazione fornita dall’ufficio secondo il quale, non avendo i soci altre fonti di reddito, la provvista di quanto versato non poteva che provenire dalla società stessa.

La doglianza è interamente assorbita da quanto sopra detto riguardo alla valenza tributaria dei versamenti in conto corrente e alla distribuzione dell’onere della prova.

Il ricorso principale va quindi rigettato e accolto quello incidentale dell’Ufficio.

PQM

Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento del motivo incidentale, e rinvia alla Commissione tributaria regionale per il Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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