Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18412 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 09/07/2019), n.18412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5114-2018 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrente –

contro

WOLTERS KLUWER ITALIA SRL, in persona dell’amministratore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII N. 396, presso

lo studio dell’avvocato MARCO PETRUCCI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4822/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 20/11/2017, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato l’opposizione proposta da M.N. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla Wolters Kluver Italia s.r.l. per il pagamento, da parte del M., di somme dovute in relazione a un contratto di fornitura di prodotti editoriali concluso tra le parti;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la piena utilizzabilità della documentazione prodotta in giudizio dalla Wolters Kluver Italia s.r.l. (WKI), attesa la genericità e, altrove, la tardività del relativo disconoscimento da parte del M., conseguentemente desumendo, da detta documentazione, la dimostrazione del credito originariamente azionato in sede monitoria dalla WKI, nella specie non estinto dalla prescrizione eccepita dal M.;

che, avverso la sentenza d’appello, M.N. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

che la Wolters Kluver Italia s.r.l. resiste con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c. M.N. ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 214,215,216 e 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto generico il disconoscimento della scrittura privata relativa alla proposta d’ordine n. (OMISSIS) del (OMISSIS), nonchè la tardività del disconoscimento della restante documentazione richiamata in ricorso, avendo il M. provveduto in modo rituale al disconoscimento relativo al primo documento, ed avendo altresì tempestivamente disconosciuto la restante documentazione;

che, sotto altro profilo, la corte territoriale avrebbe erroneamente rilevato la tardività del disconoscimento delle scritture private in esame operato dal M., non avendo la società avversaria sollevato alcuna formale eccezione al riguardo;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva preliminarmente il Collegio come la circostanza dell’eventuale validità del primo disconoscimento relativo alla proposta d’ordine n. (OMISSIS) del (OMISSIS) operato dal M. deve ritenersi del tutto irrilevante a fini della decisione, avendo la corte territoriale espressamente riconosciuto la sufficienza della restante documentazione a garantire la prova dell’effettiva sussistenza del rapporto contrattuale e delle relative modalità di esecuzione nei termini dedotti dalla Wolters Kluver (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata);

che, in relazione a tale documentazione restante, varrà evidenziare la correttezza della decisione emessa dal giudice a quo in relazione alla rilevata tardività del disconoscimento della documentazione prodotta dalla società opposta con la propria comparsa di costituzione in giudizio, avendovi il M. provveduto solo con la prima memoria di cui all’art. 183 c.p.c.e non già alla precedente prima udienza come imposto dall’art. 215 c.p.c.;

che, su tale punto, è appena il caso di rilevare come nell’atto di appello proposto dal M. non risulti espressamente contestato l’error in procedendo in cui sarebbe incorso il primo giudice nel rilevare d’ufficio la tardività del disconoscimento (dovendo, detta tardività, necessariamente rilevarsi su istanza di parte: cfr. Sez. 2, Sentenza n. 10147 del 09/05/2011, Rv. 617920 – 01), da tanto discendendo l’impossibilità di dedurre detta circostanza per la prima volta in sede di legittimità;

che, con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2946 e 2948 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente applicato, al caso di specie, il termine decennale di prescrizione, là dove, in relazione al rapporto contrattuale in esame, avrebbe dovuto applicarsi la norma di cui all’art. 2948 c.c. riferito ai debiti destinati ad essere pagati entro l’arco di un anno di tempo;

che il motivo è manifestamente infondato;

che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad un anno o in termini più brevi, si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo, ma non è applicabile alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 30546 del 20/12/2017, Rv. 647185 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 26161 del 06/12/2006, Rv. 593529 – 01);

che, nel caso di specie, la corte territoriale ha sottolineato come le parti avessero variamente riconosciuto i reciproci rapporti di dare ed avere maturati nel tempo in relazione alle relazioni negoziali tra le stesse intercorse, con l’attestazione del definitivo riconoscimento, da parte del M., del proprio debito complessivo riferito ad un unitario contratto di compravendita di materiale editoriale, la ripartizione rateizzata del cui corrispettivo fu dalle parti predisposta unicamente al fine di giovare alle esigenze del debitore, con la conseguente esclusione di alcuna previsione di obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo;

che, ciò posto, varrà evidenziare come secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

che in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);

che, nel caso di specie, l’odierno ricorrente si è limitato a sostenere, in modo inammissibilmente apodittico, la diversa natura dei rapporti negoziali intercorsi tra le parti, rispetto a quella attestata dal giudice a quo, orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito ai testi e ai comportamenti negoziali interpretati, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto (così come della rilevabilità ictu oculi di un’interpretazione contraria a buona fede o del tutto sconveniente, rispetto alla natura o all’oggetto del contratto), bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;

che, con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione del D.M. n. 142 del 2012 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale provveduto erroneamente alla liquidazione delle spese relative al giudizio di secondo grado, in assenza di alcuna nota spese depositata dalla controparte, e senza alcuna specifica imputazione, della liquidazione operata, alle singole voci di spesa;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come – di là dall’assorbente rilievo del carente assolvimento, da parte del ricorrente, degli oneri di puntuale e completa allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, a sostegno del motivo d’impugnazione proposto – alla fattispecie in esame debba trovare applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale costituisce un preciso onere del ricorrente in cassazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, specificare analiticamente le voci tariffarie e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nonchè le singole spese contestate o dedotte come omesse, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24635 del 19/11/2014, Rv. 633262 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14542 del 04/07/2011, Rv. 618601 – 01);

che, nella specie, non avendo l’odierno ricorrente in alcun modo provveduto a tale analitica specificazione delle voci tariffarie e degli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, nè avendo esposto le singole spese contestate o dedotte come omesse, l’odierna censura deve ritenersi inammissibile;

che, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza dei motivi d’impugnazione esaminati, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di cassazione, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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