Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18412 del 01/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18412 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: STILE PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 10763-2011 proposto da:
SALERNO

CARMINE

SLRCMN48D07F480Y,

elettivamente

domiGllito in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114,

presso

lo studio dell’avvocato VP.I.LEDONA ANTONIO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
1264

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A. 09339391006, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO
EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati

Data pubblicazione: 01/08/2013

»)

SCOGNAMIGLIO RENATO e SCOGNAMIGLIO CLAUDIO, che la
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
..

controri corrente

avverso la sentenza n. 2/2011 della CORTE D’APPELLO di
SALERNO, depositata il 27/01/2011 r.g.n. 1499/07;

udienza del 10/04/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
STILE;
udito l’Avvocato CARLO PISANI per delega VALLEBONA
ANTONIO;
udito l’Avvocato FRANCESCO SANGERMANO per delega
RENATO SCOGNAMIGLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

,.

a

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di Salerno depositato il 10 novembre 2004, Carmine
Salerno esponeva di aver ottenuto nel 1994, con sentenza confermata nei
successivi gradi di giudizio, un’ordine di reintegrazione presso la B.N.L. s.p.a.,
ottemperato da quest’ultima con grave ritardo solo nel 1999, mentre le spettanze

parte addirittura nel 2003, sicché aveva subito in conseguenza della condotta
illecita della Banca danni per complessivi e 10.000.000,00.
Si costituiva la B.N.L., contestando il ricorso, che veniva rigettato dall’adito
Giudice.
Avverso tale decisione il Salerno proponeva appello, ribadendo la sussistenza
dell’illecito e dei danni, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado e
l’accoglimento delle sue domande.
Con sentenza del 18 marzo 2009-27 gennaio 2011, la Corte d’appello di Salerno,
esclusa la dedotta condotta illecita della Banca per la tardiva esecuzione
dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, ed esclusa ogni responsabilità di
ordine patrimoniale e non patrimoniale della stessa derivante da tale condotta,
rigettava l’impugnazione.
Per la cassa7ione di tale pronuncia ricorre Carmine Salerno con cinque motivi.
Resiste la Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. con controricorso, ulteriormente
illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Salerno, denunciando la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1218 c.c., dell’art. 18 L. 300/1970, dell’art. 1 L. 108/1990, e
dell’art. 11 comma disp. prel. cod. civ. (art. 360 n. 3 c.p.c.), lamenta che la Corte
d’appello abbia erroneamente negato l’illecito commesso dalla BNL per la
ritardata esecuzione dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro.

conseguenti all’illegittimo licenziamento erano state soddisfatte per la maggior

Osserva che la sentenza impugnata aveva riconosciuto come veri i fatti dedotti in
giudizio, introdotto con ricorso 14 novembre 1988 come costitutivi dei denunciati
inadempimenti della BNL, per cui il Salerno era stato estromesso dal posto di
lavoro per gli anni, dal 1988 al 1999, dei quali dal 1994 al 1999 successivi
all’ordine giudiziale di reintegrazione, e non aveva percepito alcun introito per il

periodo 1988 al 1994 e la maggior parte di quanto dovutogli, (due terzi), dal 1988
al 2003; e, per l’estromissione dal posto di lavoro, la sentenza si era limitata ad
affermare che “era in facoltà del datore di lavoro, alla luce della disposizione di
cui all’art. 1 L. 108/1990”, reintegrare il lavoratore solo al passaggio in giudicato
nell’ordine di reintegrazione, che invece era provvisoriamente esecutivo e non
prevedeva alcuna possibilità di sospensione, peraltro mai chiesta dalla BNL.
Osserva ancora che la previsione dell’art. 18 co. 4, novellato dalla L. n. 108/1990,
non introduce una obbligazione alternativa con la scelta rimessa al datore di
lavoro tra la reintegrazione e indennità, ma presuppone solo l’mpossibilità di
esecuzione coattiva dell’ordine di reintegrazione, indicando una commisurazione
di massima di risarcimento per la mancata esecuzione la cui omissione costituisce
inadempimento dell’obbligo di fare.
La sentenza d’appello, quindi, aveva errato escludendo l’obbligo di reintegrazione
fino al passaggio in giudicato del relativo ordine e la conseguente responsabilità
della BNL per il ritardo dell’inadempimento; inoltre, il licenziamento risaliva al
1988 e, pertanto, non trovava applicazione al caso di specie la legge n. 108/1990.
Il motivo non può trovare accoglimento.
Questa Corte ha chiarito che nel regime di tutela reale ex art. 18 della legge n. 300
del 1970 avverso i licenziamenti illegittimi, la predeterminazione legale del danno
risarcibile in favore del lavoratore (con riferimento alla retribuzione globale di
fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione) non esclude che il
lavoratore possa chiedere il risarcimento del danno ulteriore (nel caso, alla
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professionalità) che gli sia derivato dal ritardo della reintegra, e che il giudice, in
presenza della relativa prova – il cui onere incombe sul lavoratore ma che, in
presenza di precise allegazioni, può essere soddisfatto mediante il ricorso alla
prova presuntiva – possa liquidarlo equitativamente (Cass. n. 15915/2009; Cass. n.
26561/2997, e, più di recente, Cass. n. 9965/2012).

Rileva il Collegio che tale orientamento, cui va prestata adesione, pur avallando la
tesi del ricorrente, non conduce, tuttavia, nella specie, al risultato dallo stesso
auspicato.
Va infatti osservato che, nonostante l’affermazione della non illiceità della
contestata condotta della società, entrambi i Giudici di merito hanno tenuto,
comunque, a chiarire che il lavoratore non aveva fornito la prova del dedotto
danno in presenza di un’unica certificazione medica del 15.12.98, attestante uno
stato ansioso-depressivo, non particolarmente significativa sia perché riferibile ad
un’epoca in cui il Salerno era già risultato vittorioso nel giudizio, in primo grado
(sentenza del Pretore di Salerno dell’11.4.94) e in secondo grado (sentenza del
Tribunale di Salerno del 14.1.97) e percepiva la retribuzione mensile, sia perché “i
tratti salienti della pretesa patologia sembrano costituire uno stato di disagio
psico-fìsico che non è dato comprendere se sia correlato ad una situazione di
alterazione organica ovvero ad una situazione di conflittualità ed emarginazione
vissuti a causa della situazione lavorativa”.
Nessuna rigorosa prova, ad eccezione di un generico riferimento ad “un
importante disturbo comportamentale” (tendenza a rifiutare e sottostimare le
prove e nell’adottare un atteggiamento apatico ed oppositivo) e ad “una sindrome
ansiosa depressiva”, era stata, infatti, fornita dal Salerno in merito ai lamentati
danni non patrimoniali (danno biologico ed esistenziale), sicchè correttamente —ad
avviso della Corte d’appello- il Giudice di primo grado aveva rigettato la
domanda di riconoscimento, in suo favore, del maggior danno, subito alla salute, a

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seguito del licenziamento, attesa l’infondatezza della pretesa, dal momento che
essa non risultava affatto provata e, comunque, idoneamente raggiunta, avuto
riguardo alle circostanze del caso concreto, la prova dell’esistenza di un
atteggiamento psicologico, doloso o colposo, del datore di lavoro, necessario per
fondare la sua responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1218 c.c. e dell’art. 18 1. n. 300/1970, lamenta che la Corte
di Salerno abbia negato l’illecito contrattuale costituito dal licenziamento
illegittimo e dal ritardato pagamento delle somme dovute al ricorrente.
Più in dattaglio sostiene che erroneamente la sentenza ha negato l’illecito
contrattuale, consistente nel non aver corrisposto al ricorrente alcun introito per
sei anni dal licenziamento del 1988 fino al 1994 e la maggior parte, due terzi, di
quanto dovuto per illegittimo licenziamento per quindici anni, dei quali nove
successivi alla condanna giudiziale del 1994.
Sul punto la sentenza —sempre secondo il ricorrente- si limiterebbe ad affermare
che subito dopo la sentenza di primo grado del 1994, era stato corrisposto al
Salerno l’importo di lire 180.234.303 e che non rileverebbe che l’integrale
risarcimento fosse stato corrisposto al Salerno solo nel dicembre 2003 a seguito
del contenzioso insorto tra le parti sui criteri di calcolo della retribuzione globale
di fatto.
E, così argomentando, la Corte territoriale non avrebbe considerato che il ritardo
nell’adempimento costituisce fonte di responsabilità contrattuale ai sensi dell’art.
1218 c.c., e che il licenziamento illegittimo obbliga il datore di lavoro a risarcire i
danni ulteriori rispetto a quello commisurato alle retribuzioni perdute e quindi
anche il danno per la mancata integrale disponibilità di queste.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento.
Invero, la Corte territoriale ha considerato che la Banca corrispose al Salerno,

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secondo quanto disposto dalla sentenza del Pretore notificatale il 20.4.1994, in
data 31.5.1994, cioè qualche settimana dopo, la somma di lire 180.224.303,
nonché le indennità sostitutive della retribuzione per i mesi di aprile (lire
1.008.426) e maggio (lire 1.586.291) e la retribuzione globale di fatto (lire
2.493.525 lorde mensili) fino al marzo 1999, data in cui il Salerno venne

reintegrato in servizio.
Ed ha ritenuto, condividendo quanto dedotto dal primo Giudice, che tale “fatto
esclude in radice la configurabilità dei dedotti danni patrimoniali scaturiti, si
assume, dal ritardo nell’adempimento di quanto disposto dalla sentenza, non
essendo ravvisabili perdita o mancati guadagni, atteso che l’esecuzione della
sentenza di 1° grado… era stata immediata”.
Si tratta di una motivazione esauriente e coerente che riguarda il merito della
controversia e come tale, non censurabile in questa sede, così come incensurabile
risulta quanto affermato dalla sentenza in relazione al dedotto obbligo di
risarcimento di danno patrimoniale e non patrimoniale, incluso il danno per la
mancata integrale disponibilità delle somme,
Con il terzo mezzo di impugnazione il ricorrente, denunciando la violazione e
falsa applicazione dell’art. 36 cost., degli artt. 1218 e 1223 c.c. e dell’art. 18 L.n.
300/1970, oltre che insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta che la
Corte d’appello abbia erroneamente negato la ricorrenza del nesso causale tra
l’inadempimento della BNL al risarcimento retributivo e il mutuo stipulato dal
Salerno.
Più in dettaglio, il ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto che la
stipulazione del mutuo per l’ammontare di lire 190.00.000 nell’aprile 2001 non
fosse la conseguenza del ritardo della BNL nell’adempimento degli obblighi,
senza considerare che il risarcimento retributivo dovuto per il licenziamento
illegittimo “soddisfa per definizione esigenze alimentari del lavoratore”. E deduce

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a sostegno che, se il lavoratore rimane privo di introiti per sei anni dal 1988 al
1994 e di due terzi del risarcimento dovutogli per altri nove anni dal 1994 al 2003,
deve ritenersi per certo il nesso di causalità tra il licenziamento illegittimo e il
ritardo del risarcimento e l’accensione di un mutuo nel 2001 dopo ben 13 anni di
mancata disponibilità di due terzi della retribuzione, che non può essere

compensata dalla reintegrazione in servizio del 1999 e dai pagamenti precedenti e
successivi.
E pertanto, conclude che la sentenza viola palesemente l’art. 36 cost. e l’art. 18
quando nega il nesso causale tra il ritardo nell’adempimento e l’accensione del
mutuo e risulta per le stesse ragioni affetta da un vizio gravissimo di insufficienza
e contraddittorietà della motivazione.
Ma, come ha ritenuto la sentenza di appello sulla base di una motivazione
esauriente e coerente, “il mutuo venne acceso dal Salerno in data 20 aprile 2001
allorché il medesimo era già stato reintegrato in servizio (da marzo 1999) e
percepiva regolarmente la retribuzione (che, d’altra parte quale retribuzione
globale di fatto, in ragione di lire 2.493.525 lorde mensili percepiva già dal giugno
1994) sicché la necessità di ricorrere al mutuo non è in alcun modo ricollegabile,
con nesso di causalità, all’assunta mancata percezione di reddito”, e non rileva
sotto questo profilo che il Salerno abbia ottenuto solo nel dicembre 2003
l’integrale risarcimento retributivo.
Si tratta di argomentazioni e valutazioni di merito che non possono essere
censurate nel giudizio di legittimità e che si sottraggono ad ogni censura di vizio
della motivazione anche in relazione al disposto dell’art. 36 cost., in mancanza di
elementi che, in concreto, ne facciano supporre una incidenza sulla
determinazione assunta dal Salerno.
Con il quarto mezzo di impugnazione si denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 32 cost., dell’art. 18 L. n. 300/1970, degli artt. 1218 e 1223

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c.c. e degli arti. 61 e 115 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la sentenza per aver negato
il nesso causale tra gli inadempimenti della BNL e la patologia del ricorrente,
senza ammettere la richiesta c.t.u., oltre alla insufficiente motivazione sul punto.
In particolare, il ricorrente evidenzia come fosse stato licenziato illegittimamente
nel 1998 con gravi accuse, ritenute infondate nei tre gradi di giudizio; e, come,

nonostante l’ordine di reintegrazione del 1994, nel 1998 non fosse ancora stato
reintegrato in servizio.
Non poteva essere condivisa —sempre secondo il ricorrente- l’affermazione della
sentenza, secondo la quale il nesso causale, tra l’asserito torto commesso dalla
Banca e il danno subito, era da escludere quando nel 1998 egli aveva superato il
doppio grado del giudizio di merito e percepito parte di quanto dovuto, e dal 1998
aveva subito e continuava a subire una decennale mortificazione per l’ingiusta
estromissione dal posto di lavoro, motivata da gravi accuse; la sentenza di appello
avrebbe, cioè, ridotto la materia del contendere ad una questione economica,
mentre la statuizione nell’ordine di reintegrazione, ex art. 18, indica l’opposto, in
considerazione dei beni personali lesi dall’ingiusto licenziamento; in ogni caso, la
Corte d’appello avrebbe violato il disposto degli arti. 61 e 115 c.p.c. per avere,
senza alcuna motivazione, negato la richiesta c.t.u.
Il motivo è privo di fondamento alla luce delle considerazioni poste a base del
rigetto del primo ordine di censure sopra eseminato.
Analogamente va rigettato il quinto motivo con cui si denuncia la violazione e
falsa applicazione dell’art. 18 1. n. 300/1970 e degli arti. 1218 e 2043 c.c., per
avere l’impugnata sentenza erroneamente affermato che la responsabilità per
licenziamento illegittimo e da inottemperanza all’ordine di reintegrazione sarebbe
di natura aquiliana ex art. 2043 c.c., con la necessità di provare un atteggiamento,
doloso o colposo, del datore di lavoro.
Trattasi, infatti, di un argomento che non incide sulla valutazione della sentenza

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impugnata, che ha ritenuto, con corretta motivazione, che il comportamento della
Banca non aveva cagionato al Salerno un danno biologico ed esistenziale.
Non ravvisandosi nell’iter argomentativo della impugnata decisione le violazioni
ed i vizi denunciati dal ricorrente, ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio,
liquidate in C 50,00 per esborsi ed in E 10 .000,00 per compensi professionali,
oltre accessori di legge.
Roma, 10 aprile 2013.

soccombenza.

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