Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18411 del 01/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18411 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 13946-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1219

NARDONI CINZIA NRDCNZ72D7OH501P;
– intimata –


Nonché da:

Data pubblicazione: 01/08/2013

NARDONI

CINZIA

NRDCNZ72D7OH501P,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 36, presso lo
studio dell’avvocato ANTONIO TALLADIRA, rappresentata
e difesa dall’avvocato SODANI TIZIANA, giusta delega
in atti;

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585;

avverso la sentenza n. 8526/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 06/06/2008 r.g.n. 9085/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per il rigetto del ricorso principale, assorbimento
dell’incidentale.

-controricorrente e ricorrente incidentale –

Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma, nel confermare la illegittimità accertata dal giudice di primo grado del
termine apposto al contratto intercorso con la Nardone nel periodo 5.10.1999 30.11.1999 per “esigenze

eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ed in ragione della
graduale introduzione dei processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane ” , ha respinto l’eccezione di risoluzione per

secondo una interpretazione conforme del sistema, gli accordi intervenuti successivamente a tale data e
prima del gennaio 2001 avessero esteso la possibilità anche dopo tale data.
Per contro ha accolto, in parte l’appello, limitando il risarcimento (che compete dalla messa in mora del
15.6.2001 al triennio successivo alla scadenza del contratto),compensando per metà tra le parti le spese
di entrambi i gradi del giudizio, nel resto poste a carico della società.
Per la cassazione della sentenza ricorre la società Poste Italiane s.p.a. che articola tre motivi.
Resiste con controricorso la Nardone che propone a sua volta ricorso incidentale sulla base di quattro
motivi.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi proposti e, quindi, devono essere esaminati con
precedenza i primi due motivi del ricorso proposto in via principale dalla società Poste Italiane s.p.a..
Con il primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1 e 2 della 1. n. 230/1962 e dell’art. 23 della 1.
n.56/1987 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed è formulato il seguente quesito “(…) se il potere dei
contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine in aggiunta a quelle
normativamente previste, stabilito dall’art. 23 della legge n. 56/87, può essere esercitato senza limiti di
tempo, tenuto conto che la suddetta legge non prevede alcun limite temporale al riguardo”.
Con il secondo motivo, poi, ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del ccn1 1994 e
degli artt. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt. 1362 e ss c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3; si
lamenta, poi, la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. ed in violazione dell’art. 360 comma
1 n. 4 c.p.c. ed ancora l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione ad
un fatto controverso del giudizio in violazione dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c..
Quanto al primo motivo si osserva che, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia (con
riferimento al sistema vigente anteriormente al cm]. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) la
considerazione della Corte di merito è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla
nullità del termine apposto al contralto de quo.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di
assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro
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F.Garri

mutuo consenso del contratto ed ha evidenziato che l’illegittimità era determinata dal venir meno, dopo
il 30.4.1998 della clausola autorizzatoria per la conclusione di contratti a termine, così escludendo che,

idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della

“Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne
sono destinatali, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a
quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia
ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006
n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n.
7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in
materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in
data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione
aziendale e riniodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile
1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della
trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art.
1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass.
27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la
interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29.7.2005 n. 15969, Cass. 21.3.2007 n. 6703), va quindi
respinto il primo dei due motivi qui esaminati.
Quanto al secondo si osserva che questo, prima ancora che infondato, è inammissibile.
Come è noto “il quesito di diritto, richiesto dall’art. 366 bis cod. proc. civ. a pena di inammissibilità del
motivo di ricorso cui accede, oltre a dover essere conferente rispetto al decisum, deve essere formulato in
modo da poter circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del
quesito medesimo, senza che esso debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più
parti prive di connessione tra loro” (cfr. tra le tante Cass. n. 17064 del 2008). Peraltro ove si proceda ad
una congiunta proposizione di doglianze ai sensi dei numeri 3) e 5) dell’art. 360 cod. proc. civ., per
essere ammissibile la censura deve essere accompagnata dalla formulazione, per il primo vizio, del
quesito di diritto, nonché, per il secondo, dal momento di sintesi o riepilogo, in forza della duplice
previsione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. nella specie applicabile ratione temporis alla fattispecie,
sebbene poi abrogato dall’art. 47 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (cfr. di recente Cass. n. 12248 del
2013).

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F.Garri

predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a
tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o
soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche
Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011).

Nel caso in esame la censura attraversa addirittura tre diversi profili di invalidità della sentenza ai sensi
dell’art. 360 comma 1 n. 3), n. 4) e n. 5) c.p.c. ed i quesiti formulati non sono tra loro distinti né
sufficientemente specifici.
Ed infatti con il pur articolato quesito di diritto si chiede a questa Corte : “1.- (…) se sia affetta da
ultrapetizione in violazione degli artt. 99, 112, 115, 414, 420, 434 e 437 c.p.c.; art. 3 1. 230/1962, ovvero

principio di concentrazione e immediatezza , che si verifica nel rito del lavoro ed al principio di
corrispondenza del chiesto con il pronunciato e ciò anche a fronte della specifica eccezione sollevata
dalla convenuta in merito alla delimitazione dell’oggetto del giudizio e alle preclusioni avversarie” 2)
“(…) che il potere decisorio del giudice è strettamente vincolato da quanto allegato e affermato
dall’attore in sede di domanda introduttiva e, pertanto, nel decidere in ordine alla validità del termine
finale di durata apposto ad un contratto di lavoro egli non può prendere in considerazione ragioni di
nullità del termine, fatti, situazioni e documenti estranei alla materia del contendere perché nuovi e
diversi rispetto a quelli enunciati e allegati dall’attore a sostegno della pretesa” 3) “(…) che è viziata da
ultrapetizione la sentenza del giudice del merito che abbia preso a fondamento della decisione motivi di
nullità del termine finale di durata apposto ad un contratto di lavoro non dedotti da parte ricorrente in
seno al ricorso introduttivo del giudizio e sui quali quindi non è stato instaurato il contraddittorio.”
Risulta evidente che i quesiti, pur tra loro distinti con riguardo alle singole censure formulate nel
motivo, sono astratti e non risultano riferibili alla situazione concreta della quale viene denunciata,
anche nel corpo del motivo, in maniera estremamente generica, la sola violazione dell’art. 112 c.p.c..
Per tale ragione il motivo complessivamente valutato deve essere dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo, infine, la società, denunciando la violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., lamenta
che la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna verifica in ordine alla effettiva messa in mora del
datore di lavoro e non avrebbe tenuto “conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato
attività lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società resistente”,
disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione dei modelli 101 e 740 del
lavoratore. La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “Per
il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale
dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle
retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore
di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art.
1206 cod. civ., e segg.”.
Tale quesito tuttavia non riguarda il tema dell’aliunde perceptum e comunque, anche in ordine
all’argomento della mora credendi risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in
quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il
momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal
senso v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80). Ancora una volta va ricordato che il quesito di diritto,
richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa
Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come
inesistente un quesito generico e non pertinente.
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F.Garri

omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia
la sentenza di merito che prenda in considerazione ipotesi di nullità dei contratti stessi non dedotte dai
ricorrenti avuto riguardo alla particolare accentuazione dell’onere di allegazione , specificazione del

Peraltro neppure può ignorarsi che nella specie anche la illustrazione del motivo risulta del
tutto generica ed in conferente con il decisum della Corte di merito (che sulle “conseguenze risarcitorie
riconosciute dal primo giudice” ha semplicemente rilevato che le stesse “non hanno formato oggetto di
specifici motivi di impugnazione da parte della soc. Poste Italiane”).
Quanto al ricorso incidentale della resistente, articolato su quattro motivi tutti concernenti il profilo
risarcitorio della decisione che ha contenuto le conseguenze economiche della illegittimità del termine
nella misura di diciannove mensilità di retribuzione utilizzando quale parametro esterno per la
quantificazione il termine di tre anni dalla cessazione del rapporto e misurandolo solo con decorrenza
(astrattamente applicabile al caso concreto stante l’efficacia retroattiva dell’ art. 32, commi 5, 6 e 7 della
L. 4 novembre 2010, n. 183) la parte ricorrente in via incidentale non ha un interesse concreto alla
decisione.
Osserva il Collegio che sul risarcimento del danno in questione è intervenuto il ricordato ius superveniens,
rappresentato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 che, per quanto qui specificamente rileva, al comma 5,
prevede che “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore
di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa
tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto
riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8″.
Al riguardo la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13 ha previsto che la suddetta disposizione…si interpreta
nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le
conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la
pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di
lavoro”.
Dal che discende, in considerazione del divieto di reformatio in peius, che il ricorso incidentale non può
trovare accoglimento proprio alla luce del ridetto ius superveniens, il quale ha delimitato il danno
risarcibile a seguito della pronuncia di nullità del termine in una misura inferiore a quella stabilita dal
Giudice di merito nel caso di specie (risultando superiore all’anno) e che non potrebbe eccedere
quest’ultima, fosse stata o meno corretta tale statuizione alla luce della disciplina previgente (cfr, ex
plurimis, Cass., nn. 1843/2013; 11787/2012; 11464/2012; 11159/2012; 8852/2012; 8305/2012).
L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese.

PQM
LA CORTE
Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma il 4.4.2013

dalla costituzione in more della società datrice, ritiene la Corte che allo stato della vigente normativa

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