Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18410 del 20/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/09/2016, (ud. 25/05/2016, dep. 20/09/2016), n.18410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15416/2015 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO ROMEI,

FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO MARIA

CARDARELLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

NICOLA ROMANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3387/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/04/2015 R.G.N. 15/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO;

udito l’Avvocato COLANTONI ANDREA per delega Avvocato CARDARELLO

CLAUDIO MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 aprile 2015, la Corte d’Appello di Roma, pronunziando in sede di reclamo L. n. 92 del 2012, ex art 1, comma 58, confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e accoglieva la domanda proposta da A.G. nei confronti di Telecom Italia S.p.A., avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli in relazione ad una condotta avente rilevanza disciplinare data dal coinvolgimento del predetto in una operazione fraudolenta di finanziamento di società terze attraverso tele leasing senza fornitura di prodotti o servizi accertata presso l’area commerciale Nord-Ovest presso la quale operava con funzioni di coordinamento e controllo degli area manager e dei venditori, ordinandone la reintegrazione con condanna della Società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegra.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la genericità della contestazione per non essere ivi specificanti fatti rilevanti e precisi ad eccezione di un solo episodio, da considerarsi peraltro tardivamente contestato.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Società, affidando l’impugnazione a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, A.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, inteso a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1324 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7, la Società ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale la carenza delle argomentazioni addotte a sostegno della ritenuta genericità della contestazione che, al contrario, ove correttamente letta, in particolare considerando che quanto veniva imputato al dipendente non era tanto la commissione della specifica irregolarità, quanto un generale atteggiamento di scarsa diligenza nell’esercizio delle funzioni di coordinamento e controllo affidategli, tale da favorire le violazioni perpetrate dai suoi sottoposti, sarebbe risultata, a detta della Società ricorrente, immune dal rilevato vizio.

Il secondo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 112 c.p.c., è volto a censurare il pronunciamento della Corte territoriale in ordine alla tardività della contestazione di uno degli episodi, il solo circostanziato a detta della Corte medesima, contenuto nella più ampia lettera di addebito e ciò in ragione della mancata valutazione della difficoltà di riferire alla Società datrice la conoscenza di fatti acquisiti da dipendenti pur posti in posizione di responsabilità e di supremazia gerarchica, tanto più quando, come nel caso di specie, gli stessi siano interessati a mantenere il riserbo su quei medesimi fatti.

Il terzo motivo è volto ad evidenziare la nullità della sentenza e del procedimento a motivo dell’omessa pronunzia su uno degli episodi contestati, in relazione al quale non poteva dirsi congrua la statuizione intesa a qualificare generica la contestazione nel suo complesso, come viceversa ritenuto dal giudice di prime cure, con una pronuncia che, ove, in ipotesi, fosse stata recepita per implicito dalla Corte territoriale, sarebbe comunque inficiata dal diverso vizio della violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, parimenti qui denunciato.

Il primo motivo risulta infondato, dovendo condividersi il giudizio di genericità della contestazione espresso dalla Corte territoriale alla luce dell’orientamento accolto da questa Corte e richiamato nella sentenza impugnata (cfr. Cass. 14.6.2013, n. 15006) per il quale “nell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, la contestazione dell’addebito deve esprimersi nell’attribuzione di fatti rilevanti e precisi e di univoco significato al fine di consentire al lavoratore un’idonea e piena difesa”, connotazione che non trova riscontro nella specie, essendo la contestazione riferita ad una astratta linea di condotta gestionale che per lo più non trova specificazione in episodi concreti che ne riflettano l’effettività.

Parimenti infondato si rivela il secondo motivo atteso che la valutazione resa dalla Corte territoriale di tardività della contestazione dell’addebito specifico preso in esame è solidamente ancorata a precise circostanze di fatto (l’essere l’episodio richiamato in documenti ricevuti da dirigenti della Società già nel 2006) che non risultano scalfite dai rilievi della Società ricorrente (che ne lamenta la mancata tempestiva comunicazione all’ufficio del personale), non valendo ad escludere la conoscenza dei fatti da parte di soggetti abilitati, in ragione della loro posizione gerarchica, ad esprimere la volontà aziendale anche con riguardo all’avvio di iniziative disciplinari.

Di contro le censure recate dal terzo motivo devono dirsi trovare riscontro, dal momento che la sentenza impugnata in effetti non reca alcuna esplicita statuizione in ordine all’addebito contemplato ed il recepimento per implicito del giudizio di genericità della contestazione del medesimo reso in primo grado non appare congruo, essendo riferito a condotte da ritenersi, al contrario, sufficientemente circostanziate, per avere riguardo all’invio per via telematica di specifici messaggi e filmati, condotte che, dunque, sollecitano una valutazione nel merito della loro effettività e gravità.

Il motivo va dunque accolto ed in relazione ad esso cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione che si pronunzierà in ordine all’idoneità di tale specifico addebito a giustificare l’intimato recesso, provvedendo altresì in ordine all’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2016

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