Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18410 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14183-2018 proposto da:

BIFRANGI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DELLA GANCIA 1, presso lo

studio dell’avvocato RENATO MIELE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUIGINO MARIA MARTELLATO;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 94, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA FIORE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA TERESA SIMIONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 08/03/2018 R.G.N. 1273/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/05/2019 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per inammissibilità in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato LUIGINO MARIA MARTELLATO;

udito l’Avvocato GIOVANNA FIORE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 29/2018, rigettava il reclamo proposto L. n. 92 del 2012, ex art. 1,comma 58, da Bifrangi s.p.a. avverso la sentenza resa dal Giudice del lavoro del Tribunale di Vicenza che, confermando (per quanto qui rileva) l’ordinanza resa in fase sommaria, in accoglimento del ricorso proposto da G.A., aveva ritenuto insussistente la giusta causa del licenziamento, conseguente alla contestazione disciplinare del 6 febbraio 2013, e aveva condannato società a reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro e a risarcirle il danno, pari alle retribuzioni dal licenziamento alla effettiva reintegra, nonchè al versamento dei contributi previdenziali.

2. Alla lavoratrice era stato contestato di avere presentato, in data 16 gennaio 2013, una denuncia nei confronti del legale rappresentante della società in cui si addebitava alla società l’omessa attuazione dell’ordinanza cautelare emessa nel procedimento ex art. 700 c.p.c. dal Giudice del lavoro del Tribunale di Bassano del Grappa. Con tale ordinanza era stata ritenuta illegittima l’assegnazione della ricorrente in via continuativa alle mansioni di pulizia dei bagni ed era stato ordinato alla società l’osservanza di una determinata turnazione con il preavviso di un mese e il divieto di utilizzo dei prodotti chimici ai quali la lavoratrice era allergica. La società aveva ritenuto calunnioso il contenuto di tale denuncia per avere la ricorrente prospettato un’ipotesi di dolosa inosservanza dell’ordinanza nella consapevolezza della infondatezza delle accuse, atteso che la società non era a conoscenza del provvedimento, che non le era stato notificato, nè comunicato.

3. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che tale stato soggettivo fosse insussistente, soprattutto in considerazione del fatto che il 17 gennaio 2013 era stato depositato dalla società l’atto di reclamo avverso l’ordinanza cautelare, per cui, se a tale data il provvedimento era conosciuto dalla soc. Bifrangi, doveva presumersi che la lavoratrice fosse stata messa a conoscenza, dal proprio legale, della anteriore duplice comunicazione del provvedimento alla società e al suo difensore e che, di conseguenza, al momento in cui fu ordinato alla G. di svolgere le mansioni che la stessa riteneva essere state vietate dall’ordinanza, in buona fede la lavoratrice reputasse l’inosservanza dell’ordine del Tribunale.

4. La Corte di appello osservava che avverso tale sentenza la soc. Bifrangi aveva proposto cinque motivi di reclamo: il primo per avere la sentenza ritenuto irrilevante la circostanza della conoscenza o meno dell’ordinanza cautelare da parte della medesima società; il secondo per dedurre il contenuto equivoco dell’ordinanza circa la possibilità di adibire la G. alle mansioni di pulizia; il terzo per dedurre l’assenza di disposizioni contrarie al provvedimento; il quarto per contestare la ritenuta natura ritorsiva del licenziamento; il quinto per avere il primo giudice erroneamente ritenuto insussistente il fatto posto a base del licenziamento, con conseguente erronea applicazione della tutela reintegratoria.

5. La Corte di appello, nel respingere tali censure, osservava quanto segue, in sintesi:

– in merito ai primi tre motivi, la prova documentale aveva evidenziato che il difensore della ricorrente comunicò a Bifrangi s.p.a. il provvedimento cautelare con un primo fax del 20 dicembre 2012 e successivamente con altro fax dell’11 gennaio 2013: con il primo era stato intimato alla società di “attenersi all’ordinanza del G.d.L.” ed erano stati riportati i punti essenziali del dispositivo e a tale fax diede riscontro il difensore della soc. Bifrangi in data 11 gennaio 2013, chiedendo alla controparte di volere “soprassedere all’azione esecutiva”; di analogo tenore il fax dell’11 gennaio 2013, inviato direttamente alla soc. Bifrangi e al suo difensore; inoltre, in data 2 gennaio 2013 la ricorrente ebbe a comunicare verbalmente al legale rappresentante della società – come da registrazioni trascritte in atti e non disconosciute da controparte – la decisione del Tribunale; infine, il deposito del reclamo in data 17 gennaio 2013, prima della formale comunicazione di cancelleria del 18 gennaio, comprovava l’avvenuta conoscenza a tale data del provvedimento cautelare da parte della società;

– dal contenuto dei colloqui intervenuti il 2 e il 14 gennaio 2013 poteva evincersi che era stato dato un ordine non coerente con il provvedimento, poichè questo consentiva l’attività di pulizia dei bagni per una settimana ogni tre mesi con turnazione comunicata almeno un mese prima, prevedeva l’eventuale recupero in caso di assenza nel turno di pulizia e stabiliva la dotazione di una mascherina protettiva e detergenti anallergici;

– in merito al terzo e al quarto motivo, pure da esaminare unitariamente, pur dovendo rilevarsi una equivocità della sentenza resa in fase di opposizione, che aveva ritenuto l’illegittimità del licenziamento e al contempo la nullità dello stesso perchè ritorsivo, facendo poi applicazione della tutela di cui al comma 4 e non quella della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1, nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012, l’incongruenza era priva di effetti nel presente procedimento, perchè la reintegra nel posto di lavoro era stata disposta ed eseguita dopo solo tre mesi dal licenziamento, dando luogo al pagamento, a titolo risarcitorio, delle corrispondenti tre mensilità e non dell’entità minima di cinque, come da eventuale applicazione del comma 1 del citato art. 18;

– in ordine al quinto motivo, l’insussistenza del fatto ascritto, ipotesi che dà luogo all’applicazione della tutela di cui al comma 4 dell’art. 18, deve interpretarsi come fatto giuridicamente insussistente.

6. Per la cassazione di tale sentenza la soc. Bifrangi ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la G..

6.1. La società ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che la rubrica dei motivi e la sintesi del loro contenuto è articolata a pagg. 2 e 3 del ricorso, mentre l’illustrazione delle censure è contenuta nelle pagine seguenti.

1.1. Il primo motivo denuncia omessa pronuncia sul secondo motivo di reclamo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto la sentenza, pur affermando di volerlo esaminare congiuntamente al primo e al terzo, ne aveva tralasciato l’effettiva trattazione: esso riguardava la possibilità, che la società aveva, di adibire la ricorrente nel mese di gennaio 2013 alle mansioni di pulizia anche senza preavviso mensile, atteso che la stessa non aveva svolto alcun turno di pulizia nel mese precedente (la stessa era rimasta assente per ferie e malattia) e/o preposta ad altre mansioni (di controllo visivo).

2. Il secondo motivo censura la sentenza per vizio del procedimento nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2712 c.c.. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per avere attribuito efficacia di piena prova alle riproduzioni meccaniche di asseriti colloqui interorsi tra i responsabili aziendali e la lavoratrice.

3. Il terzo denuncia l’illegittima esclusione del giuramento decisorio, istanza disattesa con motivazione apparente.

4. Il ricorso è inammissibile, poichè non si confronta con il decisum, opponendo questioni avulse dalli iter argomentativo svolto dalla Corte territoriale, nonchè prive di concludenza ai fini della dimostrazione della legittimità del licenziamento.

4.1. Il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione (Cass. n. 17125 del 2007, n. 4036 del 2011). Al contrario, la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (Cass. n. 20910 del 2017).

5. Il decisum della sentenza qui impugnata si fonda sull’accertamento in fatto, ampiamente e congruamente argomentato, secondo cui, quando la lavoratrice sporse la denuncia contro il datore di lavoro, la stessa non mosse un’accusa con la consapevolezza della sua infondatezza. Che tale dovesse essere l’ambito dell’accertamento devoluto al giudice di merito si desume dal tenore dell’addebito mosso in sede di contestazione e poi trasfuso nel licenziamento, costituito dall’avere la G. accusato la società della dolosa inosservanza dell’ordine del giudice “nonostante fosse consapevole dell’infondatezza delle accuse” (sent. imp.).

5.1. Innanzitutto, il fatto che la società non avesse avuto, a quella data, nè la notificazione nè la comunicazione di cancelleria dell’ordinanza costituisce un dato correttamente ritenuto irrilevante dalla Corte di appello, in quanto dalla sequenza temporale dei fatti (comunicazioni del difensore della G.) era dato desumere secondo l’apprezzamento delle risultanze documentali operato dai giudici di merito di primo e di secondo grado – l’avvenuta conoscenza del provvedimento cautelare, almeno nelle sue parti essenziali, da parte della società anteriormente alle disposizioni impartite alla lavoratrice, da cui la presunzione che anche la G. fosse stata resa edotta dal suo difensore dell’avvenuta conoscenza del provvedimento da parte datoriale.

5.2. Il ragionamento inferenziale seguito dalla Corte di appello è logicamente corretto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4241 del 2016, nonchè Cass. n. 13291 del 1999), qui ribadita, una volta che la presunzione semplice si sia formata e sia stata rilevata, essa ha la medesima efficacia che deve riconoscersi alla presunzione legale iuris tantum, quando viene rilevata, in quanto l’una e l’altra trasferiscono a colui, contro il quale esse depongono, l’onere della prova contraria, la cui omissione impone al giudice di ritenere provato il fatto previsto, senza consentirgli la valutazione ai sensi dell’art. 116 c.p.c..

5.3. Inoltre, gli elementi assunti a fonte di prova presuntiva non debbono essere necessariamente più d’uno, potendo il convincimento del giudice fondarsi anche su di un solo elemento purchè grave e preciso, dovendosi il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale ma non necessario concorso di più elementi presuntivi (Cass. n. 19088 del 2007, n. 17574 del 2009, n. 656 del 2014). Infine, rientra nei compiti del giudice di merito il giudizio circa l’opportunità di fondare la decisione sulla prova per presunzioni e circa l’idoneità degli stessi elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il principio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici o giuridici (cfr. Cass. 16728 del 2006, n. 1216 del 2006, 3874 del 2002, 12422 del 2000; v. pure tra le più recenti, 4241 del 2016).

6. La sentenza ha poi evidenziato, respingendo il relativo motivo di reclamo, che il provvedimento cautelare conteneva ben precise prescrizioni e precisamente la previsione di una limitazione temporale per l’assegnazione della lavoratrice alle mansioni di pulizia, una determinata cadenza periodica, la necessità di un preavviso e il divieto di uso di determinati prodotti chimici, nonchè l’obbligo di mascherine protettive. Non risulta dalla sentenza impugnata che fosse stata fornita in giudizio la prova della conformità dell’ordine impartito alla G. ai requisiti prescritti nel provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c..

7. A fronte di tale complessivo accertamento di merito, è del tutto ragionevole e congruo il giudizio espresso dai giudici di appello circa l’insussistenza dell’addebito mosso a fondamento della contestazione disciplinare, ossia che la G. avesse sporto una denuncia con la consapevolezza dell’infondatezza dell’accusa.

8. Nessuno dei motivi introduce elementi idonei ad infirmare la validità del giudizio su cui la sentenza si fonda.

8.1. Il primo verte sul presunto omesso esame di un motivo di reclamo che riguarderebbe la asserita conformità del comportamento datoriale alle prescrizioni dell’ordinanza. Il motivo, che integra piuttosto un vizio di omessa motivazione su fatto ritenuto decisivo, è stato implicitamente esaminato dalla Corte di appello, che ha ritenuto illegittima la richiesta di Bifrangi s.p.a. alla G. di eseguire le pulizie in data 2-11 e 14 gennaio 2013, evidentemente in quanto ritenuta non conforme alle prescrizioni del provvedimento cautelare. Il motivo tende a contestare l’accertamento di fatto relativo all’interpretazione del contenuto delle prescrizioni del provvedimento giudiziale, del quale peraltro neppure è trascritto il contenuto nel ricorso per cassazione, in violazione degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (tra le più recenti, Cass. n. 14107 del 2017).

8.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, vertente sulla produzione documentale costituita dalle registrazioni relative alle conversazioni tra la G. e i legali della società, trattasi di una questione che attiene ad un elemento di prova meramente rafforzativo del giudizio cui la stessa Corte di merito è pervenuta alla luce della disamina degli altri elementi acquisiti al giudizio, avendo la sentenza principalmente valorizzato la sequenza dei fatti in relazione ai fax relativi alle comunicazioni tra difensori delle parti.

9. Circa la doglianza che verte sulla mancata ammissione del giuramento decisorio, il motivo è anch’esso privo di pertinenza al decisum (art. 366 c.p.c., primo motivo, n. 4). La sentenza ha dato atto che le richieste istruttorie di parte reclamante erano inammissibili, in quanto nel giudizio di appello la parte non può riproporre istanze istruttorie disattese dal giudice di primo grado senza espressamente censurare con motivo di gravame le ragioni per le quali la sua istanza era stata respinta o dolersi della omessa pronuncia al riguardo.

9.1. Tale soluzione si fonda sull’orientamento di questa Corte secondo cui, nel giudizio di appello la parte può chiedere l’ammissione di prove nuove, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., ma non anche riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado, senza espressamente censurare con motivo di gravame – le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta, ovvero dolersi della omessa pronuncia al riguardo (Cass. n. 1691 del 2006, 19727 del 2003; principio più volte confermato, da ultimo Cass. n. 8929 del 2019).

9.2. A ciò va aggiunto che è inammissibile il deferimento del giuramento decisorio ove la formulazione delle circostanze non porti, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, automaticamente all’accoglimento della domanda ma richieda una valutazione di tali fatti da parte del giudice di merito (Cass. n. 39 del 2011).

10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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