Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18407 del 20/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 20/09/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 20/09/2016), n.18407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 463/2014 proposto da:

A.S., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato MIRCO GIOVANNI RIZZOGLIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

MILANO SERVICE S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MOZZI,

rappresentata e difesa dagli avvocati PIETRO ZAMBRANO, CLAUDIO

ZAMBRANO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

emessa il 09/07/2013 R.G.N. 420/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l’Avvocato ZAMBRANO CLAUDIO;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, e ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 5871/2011 rigettava la domanda proposta da A.S. nei confronti della società Milano service s.r.l. di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato full time a far data dal (OMISSIS) per il 12 ore al giorno dalle 6 alle 19,30 con un’ora di pausa per sei giorni alla settimana, di corresponsione di compensi per lavoro straordinario dal (OMISSIS), di dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimato il (OMISSIS) per superamento del periodo di comporto in quanto la malattia doveva imputarsi al datore di lavoro che aveva adibito lo S. a compiti gravosi incompatibili con la malattia cardiaca di cui era a conoscenza, ed infine di risarcimento del danno per avere cagionato o contribuito ad aggravare la malattia predetta con condizioni di lavoro penose e fisicamente gravose. Il Tribunale riteneva che la prova testimoniale non avesse confermato le allegazioni del ricorso. La Corte di appello con la sentenza del 4.11.2013 rigettava l’appello del lavoratore: la Corte territoriale osservava che dai documenti prodotti dalla parte appellata emergeva che nel periodo dal (OMISSIS) (data nella quale l’ A.S. era stato assunto dalla Milano service) emergeva che l’appellante aveva lavorato presso altro datore di lavoro come attestato dal libretto di lavoro. I testimoni avevano visto l’ A.S., nel periodo in discussione, lavorare alcuni giorni come addetto alle pulizie di due condomini ma tale circostanza era inidonea a dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti ed in specie l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare datoriale. Non erano emersi con chiarezza i consolidati indici dell’esistenza di un rapporto di dipendenza. Non era stato neppure dimostrato lo svolgimento del lavoro straordinario dedotto; l’eventuale prova di un orario diverso da quello pattuito come part-time non dimostrava di per sè una prestazione di lavoro straordinario in mancanza di prova del complessivo orario settimanale. Ancora era infondata la domanda concernente il recesso posto che per la documentazione medica che attestava il grave stato di salute dell’appellante non vi era prova che fosse stata inviata al datore di lavoro prima del (OMISSIS) e da quella data al recesso il lavoratore non aveva effettuato alcuna prestazione lavorativa per cui non si poteva imputare al datore di lavoro di avere aggravato consapevolmente lo stato di malattia; inoltre la deduzione del numero di giorni di malattia da eventualmente scomputare dal periodo di assenze era del tutto generica. Infine non era fondata la domanda di risarcimento del danno posto che le condizioni di lavoro, per come erano emerse, non potevano definirsi gravose anche per il carattere assolutamente sporadico ed eccezionale di alcuni compiti come aver spalato la neve anche perchè il datore di lavoro non era stato previamente informato delle condizioni di salute dello A.S..

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso per cassazione il lavoratore con tre motivi, corredati da memoria; resiste con controricorso la Milano service con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 6 Cedu. Erano stati indicati numerosi testi, ma il Tribunale non li aveva escussi tutti; inoltre non era stata tenuta in considerazione una relazione medica che indicava come al ricorrente fossero stati affidati compiti incompatibili con il grave stato di salute.

Il primo motivo con il quale ci si lamenta sia del fatto che il Tribunale non avrebbe sentito tutti i testimoni indicati sia che non sarebbe stata considerata una relazione medica prodotta in giudizio dalla quale emergeva che il lavoratore ricorrente sarebbe stato adibito a compiti incompatibili con le condizioni di salute appare inammissibile. Sotto il primo profilo dedotto non si comprova nè si allega che la questione della limitazione della lista testi di parte ricorrente sia mai stata sollevata in appello posto che la sentenza impugnata riferisce solo di una doglianza circa la mancata escussione di un teste di riferimento (doglianza questa non riproposta al motivo), nè si argomenta in alcun modo in ordine alla decisività dei testi esclusi. Si deduce anche di una richiesta di prosecuzione dell’istruttoria ma senza allegarla o riprodurla. In ordine al secondo rilievo la doglianza è inconferente perchè la Corte di appello ha osservato che i compiti pretesamente incompatibili con le condizioni di salute del ricorrente non sono stati più svolti dal momento in cui il datore di lavoro ha conosciuto tale situazione. Non sussiste quindi alcuna violazione dell’art. 6 Cedu (peraltro genericamente sollevata con confusi riferimenti a principi comunitari come attestati da una risalente sentenza della Corte di Strasburgo notoriamente non facente parte dell’ordinamento comunitario) non essendo stato dimostrato il danno ai diritti di difesa concretamente arrecato e la tempestiva deduzione di tale danno in appello.

Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 2097 c.c. e dell’art. 2727 c.c.. Dall’insieme della prova e dalle stesse difese di controparte emergeva che vi era stato un periodo di lavoro subordinato prima delle regolare assunzione. Nel libretto di lavoro del ricorrente era documentato un altro rapporto di lavoro subordinato per terzi per la durata di soli 20 gg. non per l’interdo periodo.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto, benchè formulato come violazione di diritto, muove censure di fatto inerenti una pretesa carenza o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata e pertanto non è coerente con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis. Va ricordato sul punto l’orientamento di questa Corte che si condivide e cui si intende dare continuità secondo il quale “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. SSUU n. 8053/2014). Il “fatto” di cui si discute è già stato ampiamente esaminato dai Giudici di appello che hanno ritenuto non provato, in relazione anche all’esistenza di un altro rapporto di lavoro subordinato nel periodo di cui si discute attestato dal libretto di lavoro, un periodo di lavoro precedente l’assunzione. Peraltro le censure mosse sono del tutto generiche non offrendosi alcuna ricostruzione organica del materiale probatorio.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 626 del 1991, art. 4, L. n. 68 del 1999, art. 10, commi 1 e 2, art. 2110 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 15. Era notoria la circostanza dei problemi cardiaci del ricorrente; i documenti medici prodotti del 2004 e 2005 erano stati spediti e ricevuti dal datore di lavoro che conseguentemente doveva adottare le cautele necessarie nell’adibire il ricorrente a compiti compatibili con il suo stato di salute. L’attività svolta a carattere stressante e faticoso non aveva avuto carattere sporadico.

Anche il terzo motivo appare inammissibilA quanto in realtà si sollevano censure di merito dirette ad una “rivalutazione del fatto” impossibile in questa sede. Si tratta di doglianze incompatibili con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 5, come già detto, applicabile ratione temporis. La Corte di appello ha escluso che lo stato di salute del lavoratore fosse stata portata a conoscenza del datore di lavoro prima del (OMISSIS): dopo tale data il ricorrente non ha più lavorato. I documenti medici di cui al motivo sono già stati esaminati e la Corte di appello ha escluso che siano stati effettivamente ricevuti dal datore di lavoro. Pertanto le argomentazioni in ordine alla responsabilità del datore di lavoro sono ultronee non essendo stata offerta la prova che lo stesso fosse a conoscenza della malattia cardiaca del ricorrente.

Va quindi dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono soccombenza.

La Corte ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 3100,00 di cui Euro 100,00 per esborsi nonchè spese generali al 15% ed accessori come per legge.

La Corte ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2016

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