Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18407 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18407

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27169-2014 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTTORINO

LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati ANDREA SGUEGLIA, UGO

SGUEGLIA, che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1285/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/03/2014 R.G.N. 6014/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato UGO SGUEGLIA;

udito l’Avvocato ENRICO DE GIOVANNI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Roma M.A., cittadino italiano in servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Pechino, agiva nei confronti del Ministero degli Affari Esteri al fine di ottenere l’adeguamento del proprio trattamento retributivo a quello previsto per altri contrattisti (stipendio annuo lordo di Euro 88.268,00) di eguale livello che svolgevano le stesse mansioni presso la medesima Ambasciata di Pechino e la condanna del M.A.E., anche a titolo di risarcimento del danno, al pagamento di Euro 128.962,00 nonchè al fine di ottenere il riconoscimento dell’anzianità con decorrenza dalla data di prima assunzione oltre al diritto a percepire le quote di famiglia ed a ricevere il trattamento di fine rapporto ex art. 2120 c.c..

1.1. Il M. era stato assunto con contratto a tempo determinato stipulato secondo la legge italiana in data 10 maggio 1999 (con decorrenza 6 novembre 1999), contratto protrattosi fino al 30 aprile 2001.

In data 12 aprile 2001 tra l’Amministrazione ed il M. era stato stipulato un nuovo contratto (con decorrenza 1 maggio 2001) retto dalla legge locale e non più da quella italiana (contratto a tempo determinato ma rinnovabile tacitamente ogni cinque anni).

Successivamente (in data 15 maggio 2002, con decorrenza dall’11/10/2002) il M. aveva sottoscritto un contratto a tempo indeterminato regolato dalla legge italiana, sottoscrizione che, ad avviso del ricorrente, era stata prospettata come necessaria dal Ministero degli Affari Esteri (anzi, per usare la terminologia del ricorrente, imposta con “atto autoritativo”) sulla base di una interpretazione del D.Lgs. n. 103 del 2000, art. 2 asseritamente distorta.

A seguito di tale sottoscrizione il M. si era reso conto che la sua retribuzione base annua risultava, in particolare, inferiore a quella di altra contrattista ( F.S.) che svolgeva le stesse mansioni ed aveva perciò chiesto giudizialmente che fosse il suo diritto: a) ad una retribuzione base annua uguale a quella dei colleghi di pari livello presso l’Ambasciata di Italia a Pechino; b) alla decorrenza dell’anzianità sin dalla data di prima assunzione ai fini del trattamento economico e del trattamento inerente alla cessazione del rapporto; c) al trattamento di fine rapporto ex art. 2120 c.c.; d) alle quote di famiglia in misura del 25% della retribuzione.

1.2. Il Tribunale accoglieva solo in parte la domanda riconoscendo che il contratto di lavoro del ricorrente avesse decorrenza dal 6/11/1999, data di prima assunzione, ai fini dell’anzianità del trattamento economico e del trattamento inerente la cessazione dal servizio ed il diritto di ricevere il trattamento di fine rapporto ex art. 2120 c.c..

1.3. La Corte d’appello di Roma confermava tale decisione respingendo l’appello principale proposto dal M. e dichiarando improcedibile l’appello incidentale del Ministero.

1.4. Riteneva la Corte territoriale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, che ai sensi del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157 come modificato dal D.Lgs. n. 103 del 2000 e del D.Lgs.n. 165 del 2001, art. 45, comma 5, il criterio fondamentale per determinare il giusto trattamento retributivo non fosse più quello che fa riferimento all’indennità di servizio estero percepita dall’omologo impiegato di ruolo ma che il criterio da utilizzare fosse quello delle “condizioni del mercato locale e del costo della vita”.

3.2. Rilevava che, nella specie, l’appellante avesse lamentato una disparità di trattamento facendo riferimento a parametri diversi ed indipendenti dal mercato del lavoro locale e dal costo della vita e che non fosse applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 operante all’interno del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e non dunque laddove, come nel caso in esame, il ricorrente era stato assunto in base ad una normativa primaria speciale.

3.3. In ogni caso riteneva che il diverso trattamento economico, rispettata la proporzionalità della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro, avesse una causa giustificatrice che ne escludeva il carattere irragionevole e discriminatorio e che non fosse possibile alcuna equiparazione di tale trattamento con quello di altra dipendente ( F.S.) che traeva origine dalla differente normativa vigente all’epoca di assunzione della predetta (avvenuta ratione temporis quando era ancora vigente il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162, comma 3, abrogato a decorrere dall’1/1/1997 dall’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996).

3.4. Con riferimento, poi, alla lamentata disparità di trattamento rispetto ancora ad altri dipendenti ( A.M.R. e M.A.) riteneva che le relative deduzioni fossero generiche oltre che tardive.

4. Per la cassazione di questa pronuncia ha proposto ricorso M.A. affidandosi a quattro motivi.

5. Il Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale ha resistito con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: error in iudicando.

Lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che l’appellante avesse rivendicato un maggiore trattamento retributivo da ragguagliarsi ad una percentuale dell’indennità di servizio all’estero percepita dall’omologo impiegato di ruolo essendo stato invece invocato il principio che a parità di livello e di mansioni dovesse corrispondere la stessa retribuzione, così come previsto dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, comma 3, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45,comma 2, e dall’art. 7 dell’Accordo successivo per il personale assunto con contratto a tempo indeterminato presso le rappresentanze italiane all’estero.

La Corte territoriale, inoltre, avrebbe escluso l’utilizzabilità quali parametri di riferimento dei trattamenti economici dei colleghi F. e M. senza considerare che il M.A.E. non avesse mai allegato nè provato o chiesto di provare che la retribuzione base degli stessi fosse stata determinata con riferimento al limite minimo previsto dalla previgente normativa e non con riferimento al mercato del lavoro ed al costo della vita.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157,commi 1 e 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, commi 1, 2 e 5, dell’art. 7 dell’Accordo successivo per il personale assunto a tempo indeterminato presso le rappresentanze italiane all’estero del 12/4/2001, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112 e 115c.p.c., degli artt. 3,36 e 97 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene che la Corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione della disciplina regolatrice della materia della retribuzione degli impiegati dell’Amministrazione assunti all’estero con contratto individuale considerando quale unica norma di riferimento il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157 ma tenendo conto solo del comma 1 di tale disposizione ed ignorando completamente il comma 3 e comunque richiamando a conferma il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 5, il cui testo rende evidente che tale disposizione riguarda unicamente le “funzioni ed i trattamenti accessori” mentre oggetto della presente fattispecie è la retribuzione annua base dei contrattisti all’estero e soprattutto riguarda il personale di ruolo del M.A.E. per i periodi in cui presta temporaneamente servizio all’estero e non certo il personale assunto in loco, con contratto a tempo indeterminato, per svolgere servizio, istituzionalmente e soltanto, in una specifica sede diplomatica dell’Amministrazione.

Rileva, inoltre, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha non ha ritenuto che in ogni caso competesse all’Amministrazione datrice di lavoro l’onere di provare che il trattamento riconosciuto all’attore era stato determinato nel rispetto delle dette disposizioni.

In particolare, a dire del ricorrente, il Ministero avrebbe dovuto provare la fondatezza dell’assunto secondo cui le retribuzioni di cui ai contratti presi a parametro (in particolare della F., ma anche di altri contrattisti) sarebbero state determinate sulla base del rispetto del limite minimo stabilito dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162 nel testo all’epoca vigente, – “68% del controvalore in valuta locale dell’indennità di servizio all’estero che, nella stessa sede, percepisce l’impiegato di ruolo assegnato rispettivamente al posto di cancelliere, archivista, usciere” – laddove il M. aveva dimostrato che la retribuzione annua base dallo stesso percepita era spropositatamente inferiore a quella corrisposta ai colleghi di uguale livello in servizio in Cina, sia a Pechino sia a Shangai, fissata invece secondo i criteri e i limiti di cui al D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112 e 115 c.p.c., del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157, comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, commi 1 e 2, e dell’art. 7 dell’Accordo successivo del 21/4/2001, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto irrilevanti per la loro genericità e in quanto non contenute nel ricorso di primo grado le deduzioni dell’appellante m. relative alla disparità di trattamento rispetto ad altri dipendenti ( A.M.R. e M.A.) e rileva che tale disparità di trattamento retributivo avesse già formato oggetto di specifica eccezione in sede di note autorizzate del 23/3/2010 dinanzi al giudice di primo grado tanto che in sede di costituzione nel giudizio di appello il Ministero aveva replicato eccependo che anche nei confronti dei indicati dipendenti sarebbe stata applicata la medesima normativa.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 17 del 1967, art. 157, comma 3, e dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: error in iudicando.

Censura la sentenza impugnata per non aver applicato la disposizione che secondo la quale la retribuzione annua è determinata in modo uniforme per paese e per mansioni omogenee e per non essersi pronunciata sulla principale eccezione formulata sul punto dal M. in sede di ricorso in appello.

5. Il ricorso, nei vari motivi in cui è articolato (da trattarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi), è infondato anche se la motivazione della sentenza impugnata va, in parte, corretta nei termini di seguito illustrati.

5.1. La disciplina del rapporto di lavoro degli impiegati assunti a contratto presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura è dettata dal D.P.R. n. 18 del 1967, artt. 152 e ss. nel testo riformulato dal D.Lgs. n. 103 del 2000, con il quale si è data attuazione ai principi fissati dalla legge delega n. 266 del 1999, art. 4.

Il legislatore delegato, a fini di “semplificazione e omogeneizzazione dei differenti regimi esistenti” (L. n. 266 del 1999, art. 4, lett. b), ha inteso superare le diversità fondate sulla cittadinanza degli assunti ed ha, quindi, previsto in via generale, all’art. 154 del richiamato D.P.R., l’applicazione della legge locale, che, però, si impone sulle disposizioni speciali dettate dal decreto solo se più favorevole rispetto a queste ultime (art. 154, comma 2).

La disciplina del rapporto va conseguentemente tratta, in primo luogo, dagli artt. 152 e seguenti, che regolano la tipologia di contratto (artt. 152 e 153), i requisiti e le modalità di assunzione del personale (art. 155), i doveri dell’impiegato (art. 156), la retribuzione (artt. 157 e 157 bis), l’orario di lavoro, il regime delle festività, delle ferie e dei permessi (artt. 157 ter, 157 quater e 157 quinquies), le assenze dal servizio (art. 157 sexies), il regime previdenziale (artt. 158 e 158 bis) nonchè quello disciplinare e della cessazione del rapporto (artt. 161, 164, 166), oltre particolari situazioni giuridiche tipiche del rapporto di lavoro in questione.

5.2. Quanto alla retribuzione l’art. 157 stabilisce che: a) la stessa deve essere fissata dal contratto individuale di lavoro tenendo conto delle condizioni del mercato di lavoro locale, del costo della vita e, principalmente, delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi, in primo luogo di quelli dell’Unione Europea, nonchè da organizzazioni sindacali (comma 1); b) il trattamento retributivo è suscettibile di revisione in relazione alla variazione dei parametri sopra indicati ed all’andamento del costo della vita (comma 2) e deve essere comunque congruo ed adeguato a garantire l’assunzione degli elementi più qualificati (comma 1); c) la retribuzione annua base è determinata in modo uniforme per Paese e per mansioni omogenee, salva la possibilità di prevedere, in via eccezionale, un trattamento diverso per quelle sedi che presentino un divario particolarmente sensibile nel costo della vita (comma 3).

Sempre in relazione al trattamento retributivo l’art. 160, nel disciplinare l’assunzione presso altro ufficio nelle ipotesi di chiusura o soppressione, stabilisce, al comma 1, che l’amministrazione, tenuta alla ricollocazione, garantirà all’impiegato riassunto l’anzianità maturata ed il precedente regime contrattuale.

Si tratta, quindi, di un complesso di disposizioni dalle quali, come è stato già evidenziato da questa Corte (Cass. n. 20356/2014 e Cass. n. 23089/2016), emerge la volontà del legislatore di regolare il rapporto di lavoro del personale assunto a contratto dagli uffici dell’amministrazione siti all’estero in maniera autonoma rispetto a quello instaurato direttamente dal Ministero degli Affari Esteri, con conseguente inapplicabilità della normativa legale e contrattuale dettata per questi ultimi.

5.3. Peraltro, nel superare la precedente diversificazione fra dipendenti assunti sulla base della legge locale e personale di cittadinanza italiana, desumibile dal testo originario del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154 il decreto delegato ha previsto in via transitoria, all’art. 2, una sorta di ruolo ad esaurimento per i rapporti di impiego regolati dalla legge italiana, stabilendo che quest’ultima, fatta salva una diversa opzione espressa dall’impiegato, possa continuare a disciplinare i rapporti già instaurati sulla base della normativa nazionale (Cass. n. 30239/2017).

In tal caso la normativa applicabile va tratta, oltre che dalle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dal D.P.R. n. 18 del 1967 al quale il primo rinvia (art. 45, comma 5), dai c.c.n.l. per il personale del comparto ministeri (art. 1 c.c.n.l. 16/5/1995, art. 1 c.c.n.l. 16/2/1999, art. 1 c.c.n.l. 12/6/2003, art. 1 c.c.n.l. 14/9/2007 e, da ultimo, art. 1 c.c.n.l. Comparto Funzioni Centrali), nonchè dagli Accordi del 22/10/1997 e del 12/4/2001, stipulati sulla base del rinvio contenuto nei contratti nazionali e con i quali gli istituti contrattuali sono stati adattati alle peculiarità proprie dei rapporti di impiego instaurati dalle rappresentanze diplomatiche.

In particolare il richiamato Accordo del 12/4/2001 detta disposizioni speciali sulla disciplina normativa del rapporto (artt. da 1 a 6) e, quanto agli aspetti retributivi, regola la struttura della retribuzione (art. 7), la progressione economica orizzontale (art. 9), il Fondo unico per il personale assunto a contratto a tempo indeterminato presso le sedi estere (art. 10), l’utilizzazione del fondo unico per il personale assunto a contratto a tempo indeterminato presso le sedi estere (art. 11), i criteri per l’assegnazione di compensi differenziati (art. 12). Con norma di chiusura dispone, infine, che “Per quanto non espressamente previsto nel suddetto c.c.n.l., continueranno ad applicarsi le norme del Titolo 6 del D.P.R. n. 18 del 1967 e successive modificazioni ed integrazioni” (art. 14 Disp. Finali).

L’art. 7, che più specificamente rileva in questa sede, stabilisce che la retribuzione è costituita da “a) retribuzione base prevista per ciascun ufficio all’estero in relazione a ciascuna posizione economica; b) assegno personale non riassorbibile di cui all’art. 8; c) compenso differenziato di cui all’art. 12; d) sviluppo economico di cui all’art. 9” (art. 7, comma 1) nonchè dagli “assegni di cui al D.P.R. n. 18 del 1967, art. 162, ultimi due commi ove spettanti” (art. 7, comma 2) ed aggiunge che “la retribuzione, come individuata al comma 1, costituisce il trattamento economico onnicomprensivo per il personale di cui al presente c.c.n.l.” (art. 7, comma 3).

Le parti collettive, quanto alla retribuzione “base”, hanno preso atto della peculiarità dei rapporti oggetto di disciplina, rispetto ai quali, in quanto instaurati in realtà territoriali profondamente diverse fra loro, non hanno ritenuto possibile la predeterminazione di tabelle retributive destinate a trovare applicazione generalizzata.

Dell’art. 7, la lett. a) va, pertanto, letta in combinato disposto con la norma di chiusura ed esprime la volontà delle parti stipulanti di voler attribuire rilievo, ai fini della quantificazione della retribuzione fondamentale, a quegli stessi parametri richiamati dal legislatore nel D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157 che consentono di adeguare il trattamento retributivo, non solo alla qualità della prestazione, ma anche al costo della vita ed alle condizioni del mercato di lavoro nelle diverse sedi di servizio.

In tal modo le organizzazioni sindacali non hanno abdicato al ruolo che alle stesse il legislatore ha assegnato ai fini della disciplina del rapporto di impiego alle dipendenze di Pubbliche Amministrazioni, perchè lo stesso art. 157, dopo avere indicato precisi parametri da valutare ai fini della quantificazione della retribuzione contrattuale, aggiunge che “si terrà altresì conto delle eventuali indicazioni di massima fornite annualmente dalle OO.SS.” e riconosce in tal modo a queste ultime un potere di intervento che, unitamente alla predeterminazione normativa dei criteri, è volto ad assicurare il rispetto dei principi sanciti dall’art. 36 Cost..

6. Alla luce del quadro normativo sopra descritto nei suoi tratti essenziali, si deve ritenere destituita di fondamento la pretesa del ricorrente di vedere parificato il trattamento retributivo a quello riservato ad altri dipendenti, di pari qualifica, assegnati alla stessa sede di servizio.

Va premesso che sia il D.P.R. n. 18 del 1967 che l’Accordo del 12/4/2001 non escludono, ed anzi ammettono espressamente, possibilità di diversificazioni della retribuzione, che possono derivare dalle diverse vicende dei rapporti individuali (D.P.R. n. 18 del 1967, art. 160 e art. 13 Accordo 2001) nonchè, per i dipendenti assoggettati alla legge italiana, dal riconoscimento delle voci di cui alle lettere b), c), d) e dall’applicazione dell’art. 7, comma 2.

Osserva, poi, il Collegio che nè il D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157 nè il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 applicabile al solo personale assoggettato alla legge italiana, legittimano la richiesta di un trattamento retributivo, diverso e superiore rispetto a quello contrattualmente stabilito, per il solo fatto che lo stesso sia stato riconosciuto ad altro dipendente assegnato allo stesso ufficio.

6.1. L’art. 157, comma 3, invocato dal ricorrente, nello stabilire che “La retribuzione annua base è determinata in modo uniforme per Paese e per mansioni omogenee. Può essere consentita in va eccezionale nello stesso Paese una retribuzione diversa per quelle sedi che presentino un divario particolarmente sensibile nel costo della vita”, indica un criterio tendenziale di omogeneità per le diverse istituzioni operanti nella medesima realtà territoriale, ossia rappresentanza diplomatica, uffici consolari, istituti di cultura, e detta finalità, che si riferisce principalmente agli uffici e solo in via indiretta al personale, è resa evidente dalla seconda parte della disposizione, applicabile nell’ipotesi in cui nel medesimo Paese si riscontrino diversità significative, quanto al costo della vita, nelle diverse zone territoriali.

6.2. Da tempo, poi, questa Corte ha chiarito che “il principio di pari trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali” (in tal senso Cass. n. 6553/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Si è, inoltre, affermato che, qualora il datore di lavoro “attribuisca al lavoratore un determinato trattamento economico di derivazione contrattuale, l’atto deliberativo non è sufficiente a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, occorrendo anche la conformità alle previsioni della contrattazione collettiva, in assenza della quale l’atto risulta essere affetto da nullità, con la conseguenza che la Pubblica Amministrazione, anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata” (cfr. fra le più recenti Cass. n. 3826/2016, Cass. n. 16088/2016 e Cass. n. 25018/2017).

Dall’applicazione congiunta di detti principi discende che, nei casi in cui il datore di lavoro pubblico attribuisca ad un dipendente un trattamento economico che non sia conforme ai parametri previsti dalla contrattazione collettiva e, a maggior ragione, dalla legge, è da escludere alla radice la possibilità che altri dipendenti possano rivendicare il medesimo trattamento, perchè l’atto nullo, che obbliga all’azione di recupero, certo non può far sorgere un diritto soggettivo in capo a soggetti che dello stesso atto non siano destinatari.

6.3. E’ stato anche affermato (Cass. n. 32157/2018), ed al principio il Collegio intende dare continuità, che la parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 da intendersi nei termini sopra richiamati, non va confusa con il riallineamento stipendiale, espunto dalla disciplina dell’impiego pubblico con il D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 4, norma, questa, collegata al disegno generale di riforma del pubblico impiego, che ha condotto all’adozione della legge di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 e del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, dove, tra l’altro, è stata disposta l’abrogazione di tutte le disposizioni che prevedono “automatismi” suscettibili di influenzare il trattamento economico fondamentale ed accessorio dei dipendenti pubblici (L. n. 421 del 1992, art. 2, lett. o e D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 2). E’ utile rammentare al riguardo che la Corte costituzionale, nel valutare la legittimità costituzionale della norma con la quale l’istituto è stato soppresso con efficacia retroattiva, ne ha sottolineato la “intrinseca irrazionalità”, evidenziando che priva di giustificazione è “l’estensione di un trattamento riconosciuto ad personam ad una intera categoria di dipendenti conseguente al fatto, del tutto accidentale, che un soggetto dotato di un trattamento “personalizzato” più favorevole venga a inserirsi nell’ambito di tale categoria” (Corte Cost. n. 6/1994).

7. Dalle considerazioni che precedono discende, in via conclusiva, che il personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti di cultura, può pretendere una retribuzione diversa e superiore rispetto a quella pattuita nel contratto individuale solo qualora quest’ultima non sia conforme ai parametri indicati dal D.P.R. n. 18 del 1967, art. 157 attuativi del precetto di cui all’art. 36 Cost., o, per i rapporti assoggettati alla legge italiana, alla contrattazione collettiva, che in parte a detti parametri rinvia. Non può, invece, fondare la sua pretesa sulla circostanza che ad altro dipendente assegnato alla stessa sede con le medesime mansioni sia stato riconosciuto un trattamento di miglior favore, perchè quest’ultima attribuzione potrebbe essere, in ipotesi, non giustificata, alla luce delle previsioni della legge e della contrattazione collettiva, ed in tal caso la stessa, in quanto priva di fondamento normativo, non potrebbe mai essere assunta a parametro ai fini della quantificazione della “giusta” retribuzione.

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato perchè il ricorrente non ha neppure allegato l’inadeguatezza del trattamento retributivo in relazione agli indici fissati dall’art. 157 D.P.R. nei termini specificati al punto sub 7 che precede.

D’altro canto, correttamente la Corte territoriale ha escluso la fondatezza della domanda, rilevando (sulla base del complessivo materiale istruttorio ritualmente acquisto, e quindi non incorrendo in alcuna violazione dell’art. 2697 c.c.) che il trattamento retributivo della dipendente F.S. traesse origine dalla differente normativa vigente all’epoca di assunzione della predetta (risalente al 1994) e con riferimento agli altri dipendenti ( A.M.R. e M.A.) che le allegazioni dell’appellante oltre ad essere generiche (circostanza, questa, non adeguatamente smentita dal ricorrente in cassazione) fossero tardive in quanto non contenute nel ricorso di primo grado (irrilevante essendo, sul punto, la riferita deduzione della questione in sede di note autorizzate successive a tale ricorso, trattandosi di deduzione che, introducendo un nuovo tema d’indagine, alterava l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia).

9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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