Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18401 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 09/07/2019), n.18401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8547-2018 proposto da:

Q.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato SABINA PIZZUTO in virtù di delEuro a in atti.

– ricorrente –

contro

MEDCENTER CONTAINER TERMINAL S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’Avvocato LUIGI FEDELI

BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente agli Avvocati

ANDREA PAROLETTI, CAMILLO PAROLETTI, anche con facoltà disgiunte,

in virtù di delega in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1101/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 29/12/2017 R.G.N. 384/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/04/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO MATTEI per delega Avvocato SABINA PIZZUTO;

udito l’Avvocato LUIGI FEDELI BARBANTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Reggio Calabria, con la pronuncia n. 1101 del 2017, ha confermato la pronuncia emessa in data 12.7.2016 dal Tribunale di Palmi che aveva respinto l’impugnativa di licenziamento proposta da Q.S., nei confronti della Medcenter Containers Terminale spa (di seguito MCT) di cui era stato dipendente con mansioni di operarlo portuale nell’Area Portuale di Gioia Tauro.

2. Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo era stato intimato dalla società, con lettera del 22.1.2015, perchè il lavoratore aveva, in concorso con altri cinque soggetti, detenuto in territorio italiano e messo in circolazione, al fine di trarne profitto, un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore a 10 Kg e, in particolare, di avere venduto o comunque detenuto circa 1000 stecche di sigarette Marlboro Gold contraffatte, condotte per le quali gli era stata applicata ex art. 444 c.p.p. la pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione e 50.000,00 Euro di multa, con sentenza divenuta definitiva il 23.9.2014.

3. I giudici di seconde cure, premessa l’acquiescenza del lavoratore in ordine al rigetto dell’eccezione di tardività del licenziamento e sulla valenza riconosciuta quale condanna definitiva alla sentenza di patteggiamento, hanno precisato che: a) la condotta criminosa era oggettivamente di tale gravità e disvalore da comportare una immediata valutazione della persona del lavoratore in termini di assoluta riprovevolezza; b) la condotta, sebbene concernente un fatto extra-lavorativo, rivestiva comunque una sua rilevanza in considerazione del grado di affidamento particolarmente elevato, ricorrente nel caso in esame per il luogo di svolgimento della prestazione (area portuale destinata al passaggio continuo di merci) e per i precedenti penali del lavoratore; c) la lesione del vincolo fiduciario non costituiva l’introduzione di alcun elemento non previsto dalla norma, ma unicamente un passaggio ineludibile nel giudizio di legittimità del licenziamento; d) sussisteva il giustificato motivo soggettivo ed il licenziamento era legittimo non essendo significativo che, per un pregresso episodio di detenzione di hashish fosse stata irrogata una sanzione conservativa in quanto, in quella occasione, non vi erano precedenti a carico del lavoratore; e) la censura sulla sproporzionalità del licenziamento era stata genericamente prospettata.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione Salvatore Q. affidato a quattro motivi.

5. Ha resistito con controricorso la Medcenter Container Terminal spa, illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e dell’art. 35 parte A lett. h del CCNL Lavoratori dei Porti, nonchè la violazione degli artt. 1362 e ss c.c. e la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale, a fronte della contestazione relativa all’art. 35 parte A lett. h del contratto collettivo nazionale citato (….) evitato di effettuare il giudizio sulla idoneità della condotta a ledere “la figura morale del lavoratore”, incentrando le proprie argomentazioni su di un tema non prospettato quale la lesione del rapporto fiduciario, e per avere dato rilievo alla reiterazione o alla recidiva del comportamento del lavoratore che non erano invece richiamati dalla disposizione collettiva citata.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui all’art. 116 e art. 132, comma 2, lett. 4, dell’art. 111 Cost., comma 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la Corte di appello espresso una motivazione da cui rilevare il proprio convincimento, e per non avere effettuato una valutazione della gravità del reato dando concretezza alla norma elastica costituita dalla “figura morale del lavoratore” lesa, nella fattispecie in esame, dalla condotta extra-lavorativa del dipendente.

4. Con il terzo motivo Q.S. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 anche in relazione all’art. 1455 c.c., nonchè la violazione dell’art. 35 CCNL Porti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte territoriale, non sussisteva il giustificato motivo soggettivo perchè il fatto non era idoneo a ledere la figura morale del lavoratore: lesione ravvisabile in condotte di una certa riprovevolezza, come per esempio i delitti contro la moralità o il buon costume, o che destavano particolare allarme sociale, come per esempio, lo spaccio di sostanze stupefacenti; inoltre, si sostiene che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto rilevante il luogo di passaggio continuo di merci, ove si svolgeva la sua prestazione lavorativa, in quanto la merce contrabbandata, oggetto del reato, non aveva viaggiato via mare ma su bus di linea; si deduce, poi, che il disvalore del reato in precedenza commesso dal Q. (detenzione e spaccio di stupefacenti) in relazione al quale era stata applicata solo una sanzione conservativa, aveva un disvalore ben più grave di quello riguardante la contestazione del presente procedimento e che la Corte territoriale aveva erroneamente ricavato la gravità dell’infrazione dai precedenti disciplinari che non potevano essere utilizzati per dare concretezza ad un addebito del tutto inidoneo ad integrare giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.

5. Con il quarto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto generiche le censure sulla proporzionalità del licenziamento in quanto, da un lato, tale carenza dipendeva dall’assenza di argomentazioni sul punto da parte del primo giudice e, dall’altro, perchè il giudizio sulla proporzionalità della sanzione espulsiva è obbligatorio e prescinde dalla eventuale doglianza della parte. Ne consegue che sul punto manca una statuizione da parte della Corte territoriale la quale ha, pertanto, considerato la vicenda in maniera astratta e pregiudiziale, senza esaminare tutti i parametri per ritenere la eventuale sperequazione del licenziamento.

6. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione logico-giuridica, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

7. Sono inammissibili le censure di omessa pronuncia o di omessa motivazione della gravata sentenza, in ordine alle problematiche se i fatti contestati (costituiti dalla detenzione e messa in circolazione, al fine di trarne profitto, di tabacco lavorato estero e di sigarette contraffatte) fossero idonei a ledere la “figura morale del lavoratore”, perchè i giudici di seconde cure, a pag. 5 della gravata sentenza, hanno effettuato in senso positivo tale valutazione, dando chiara contezza della loro decisione.

8. I vizi denunciati, ex art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, sussistono, invece, solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione al riguardo nè disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. in termini Cass. 21.12.2010 n. 25866): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.

9. Sono, di contro, infondate le doglianze circa l’accertamento, da parte della Corte di merito, della lesione del vincolo fiduciario e sui precedenti, disciplinari e penali, dell’incolpato, nonostante la norma collettiva non richiamasse tali requisiti, perchè la impugnata pronuncia ha correttamente richiamato le argomentazioni espresse in sede di legittimità (cfr. Cass. 18.2.2013 n. 3912) – cui si intende dare seguito – secondo le quali la equiparazione della condotta con la previsione contrattuale non esonera dall’ulteriore indagine della idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia con il lavoratore, valutando conseguentemente ogni aspetto che possa incidere sul grado di affidamento tale da fare ritenere il dipendente idoneo alla prosecuzione del rapporto, perchè ciò rappresenta un passaggio ineludibile nel giudizio di legittimità del licenziamento.

10. L’elencazione delle ipotesi di giusta causa (ma vale anche per il giustificato motivo soggettivo – Cass. 9.2.1990 n. 930) contenuta nei contratti collettivi, ha, infatti, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicchè non preclude una autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr. Cass. 12.2.2016 n. 2830; Cass. 19.8.2004 n. 16260).

11. Il terzo motivo è infondato.

12. In primo luogo, va precisato che, al fine di connotare la lesione della “figura morale del lavoratore”, come richiamata dalla norma collettiva, non possono assumere rilievo unicamente i comportamenti che in qualche modo si riferiscano a delitti contro la moralità o il buon costume o che destino particolare allarme sociale, ma tutte le condotte che abbiano riflesso, anche se solo potenziale, da un punto di vista oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, compromettendo le aspettative di un futuro adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, purchè di significativa gravità, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comune, in una prospettiva concettuale, quindi, più ampia di quella sostenuta dal ricorrente.

13. La Corte territoriale, sul punto, con un accertamento di fatto congruamente motivato e, quindi, incensurabile in sede di legittimità, ha giudicato che la condotta, oggetto della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., aveva leso il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro sia avendo riguardo alle mansioni svolte sia con riferimento all’ambito locale ove l’attività lavorativa veniva svolta, sicchè si poneva in termini particolarmente gravi in un giudizio di prognosi di futura affidabilità del dipendente.

14. Trattasi, pertanto, di inferenza nè illogica nè arbitraria, sulla base dei suddetti elementi, quella di ritenere irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario perchè era stata lesa la figura morale del lavoratore: si ribadisce con un apprezzamento di merito incensurabile innanzi a questa Corte suprema perchè adeguatamente motivato.

15. Il quarto motivo, infine, non è meritevole di accoglimento.

16. La Corte di merito, sulla questione della proporzionalità della sanzione, ha adottato due distinte rationes decidendi: la prima riguardante la mancanza di specifici argomenti di impugnazione rispetto alla motivazione del primo giudice; la seconda fondata sul richiamo delle considerazioni esposte in relazione agli altri motivi di appello concernenti la sussistenza del giustificato motivo soggettivo e la lesione della figura morale del lavoratore.

17. Orbene, con riferimento alla prima ratio, da sola idonea e sorreggere il decisum, la censura formulata in questa sede è inammissibilmente generica perchè si sostiene che il Tribunale non aveva effettuato, se non in maniera implicita, il giudizio di proporzionalità senza, però, riportare nè la parte della pronuncia di primo grado, onde consentire la verifica di quanto dedotto, nè l’eventuale doglianza in appello, al fine di verificare se e come la questione fosse stata rite et recte riproposta.

18. Giova ricordare che il giudizio di appello è caratterizzato dal principio del “tantum devolutum quantum appellatum” per cui tale effetto preclude al giudice del gravame di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi di impugnazione.

19. L’inammissibilità di tale censura, sulla prima ratio, rende inammissibili anche le altre doglianze, sull’altra ratio decidendi, in quanto comunque il loro accoglimento non potrebbe in nessun caso produrre l’annullamento della sentenza (cfr. Cass. 3.11.2011 n. 22753; Cass. 11.2.2011 n. 3386).

20. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

21. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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