Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1840 del 20/01/2022
Cassazione civile sez. I, 20/01/2022, (ud. 27/10/2021, dep. 20/01/2022), n.1840
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22441/2020 proposto da:
H.H., elettivamente domiciliato in Roma, via Teofilo Folengo
n. 49, presso lo studio dell’avvocato Facilla Giovanni Maria, che lo
rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope
legis;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il
10/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
27/10/2021 dal Cons. Dott. Paola Vella.
Fatto
RILEVATO
Che:
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, del 10/07/2018, il cittadino ghanese H.H., nato a (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento, notificatogli il 12/06/2018, con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha negato il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, che egli aveva invocato allegando di essere fuggito nel 2013 dal proprio Paese perché, come si legge nel decreto impugnato, la sua famiglia apparteneva alla tribù dei (OMISSIS) e aveva la terra vicino alla tribù dei (OMISSIS), i quali nel 2008 gli avevano intimato di andarsene e, al suo rifiuto, lo avevano aggredito e malmenato; da quel momento gli era stato impedito con la violenza di lavorare la sua terra.
1.1. All’esito dell’audizione personale del ricorrente, il tribunale ha rigettato il ricorso, ritenendo non credibili le sue dichiarazioni ed insussistenti i presupposti sia della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), sia del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
1.2. Avverso il predetto decreto il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi ed una richiesta di sospensione cautelare.
2. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese, ma si è costituito con memoria del 03/09/2020 al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
2.1. Con il primo motivo, rubricato “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c”, contiene una lunghissima dissertazione sulle nozioni di “danno grave” e di “minaccia grave o individuale alla vita o alla persona”, che si conclude con l’affermazione per cui sarebbe evidente “che il ricorrente patisca entrambe le circostanze sussunte nella norma”.
2.2. Il secondo mezzo lamenta la “mancata assunzione dell’onere probatorio”, gravante sul ricorrente in modo attenuato, sul rilievo che “tutti gli aspetti con cui si deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente, non supportate da prove documentali, siano attendibili e/o verosimili portano a ritenere che il ricorrente abbia detto la verità”.
2.3. Il terzo motivo, rubricato “sussistenza del diritto di asilo”, denunzia la violazione dell’art. 10 Cost., dal momento che “in Ghana la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali né tutt’ora un traguardo lontano dall’essere raggiunto”.
2.4. Il quarto mezzo, rubricato “sulla protezione sussidiaria”, contiene una breve dissertazione sui presupposti della protezione sussidiaria e umanitaria, che si conclude con l’osservazione per cui “sul Giudice incombe quindi il dovere di ampia indagine, di completa acquisizione documentale anche officiosa e di complessiva valutazione, anche della situazione reale del Paese di origine”.
2.5. Il quinto mezzo, rubricato “applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e art. 5, comma 6” assume come “evidente la sussistenza dei presupposti di applicazione di dette norme nel caso in esame attesa la notorietà dell’esistenza della situazione di violenza generalizzata e di grave violazione dei diritti umani esistenti nel Paese di origine”.
2.6. Il sesto punto del ricorso, rubricato “periculum in mora”, espone la necessità di “un provvedimento cautelare di sospensione che, nelle more del giudizio, disponga in via preventiva l’anticipazione degli effetti della sentenza finale”.
3. In via preliminare si rileva che la procura speciale in calce al ricorso reca l’autentica del difensore riferita solo alla sottoscrizione del conferente, non anche alla certificazione della data di rilascio.
3.1. Al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato: i) che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13 – nella parte in cui prevede che “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato; a tal fine il difensore certifica la data di rilascio in suo favore della procura medesima” – richiede, quale elemento di specialità rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, sanzionando con una speciale ipotesi di “inammissibilità del ricorso” la mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore; ii) che tale interpretazione della portata precettiva della norma risulta compatibile con il quadro del diritto dell’Unione Europea e con i principi di diritto costituzionale nonché della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (Cass. Sez. U., 01/06/2021, n. 15177).
3.2. Il difensore è pertanto tenuto, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo ad indicare la data di rilascio della procura, ma anche a certificarne espressamente la posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, eventualmente anche con la stessa sottoscrizione riferita all’autenticità della firma del ricorrente.
4. Ne’ rileva la successiva rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del citato art. 35-bis, comma 13 (come interpretato dalle Sezioni unite) “per contrarietà agli artt. 3,10,24,111 Cost.; per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione alla direttiva 2013/32/UE, con riferimento agli artt. 28 e 46 p. 11, e con l’art. 47 della Carta dei diritti UE, artt. 18 e 19, p. 2 della medesima Carta, nonché artt. 6, 7, 13 e 14 della CEDU” (Cass. Sez. 3, 23/06/2021 n. 17970) – questione che peraltro il Giudice delle Leggi risulta aver già deciso ritenendo “non fondate le questioni, considerata l’ampia discrezionalità del legislatore in materia processuale, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate” (come da comunicato ufficiale dell’Ufficio stampa della Corte costituzionale in data 2 dicembre 2021) – poiché il ricorso in esame appare comunque inammissibile.
5. Invero, tutti i motivi di ricorso sono del tutto generici ed in più parti privi di qualsivoglia attinenza con la stessa fattispecie concreta (ad esempio, nel primo motivo si legge che “il ricorrente avrebbe la certezza di essere arrestato al rientro nel proprio paese di origine” e nel secondo si censura la decisione dei “Giudici d’appello”), peraltro a fronte di una pertinente e puntuale motivazione dei giudici di merito su tutte le questioni in disamina, con particolare riguardo ai profili di genericità ed implausibilità del racconto (e comunque alla mancanza di attualità del preteso pericolo, peraltro mai denunziato alle autorità locali di pubblica sicurezza) ed alla insussistenza dei presupposti tanto della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), alla luce di plurime C.O.I. qualificate e aggiornate al 2020 – quanto del riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in difetto di profili di vulnerabilità personale del richiedente e della realizzazione di un compiuto percorso di integrazione in Italia, avendo altresì il tribunale dato atto espressamente che la sua condizione nel Paese d’origine “non risulta avere mai assunto, secondo la stessa descrizione dei fatti fornita dal ricorrente, caratteristiche tali da far ritenere che in caso di rientro in Patria egli potrebbe affrontare seri pericoli per la sua stessa sopravvivenza ovvero condizioni di vita inumane o degradanti”.
6. Infine, sull’istanza cautelare questa Corte non è competente a pronunciarsi, poiché il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, attribuisce tale potere in via esclusiva al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato, come previsto in via generale dall’art. 373 c.p.c., comma 1; d’altronde, dinanzi al giudice di legittimità non potrebbe essere nemmeno impugnato il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensiva pronunciato dal giudice di merito, trattandosi di provvedimento non definitivo a contenuto cautelare, per il quale è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111 Cost. (Cass. 11756/2020).
7. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile senza necessità di statuizione sulle spese, in assenza di difese dell’intimato. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U., 23535/2019 e 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022