Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18399 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 09/07/2019), n.18399

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4942-2018 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA N. 58,

presso lo studio dell’Avvocato ALESSANDRO IODICE, unitamente

all’Avvocato MARCO CUCURACHI che lo rappresenta e lo difende giusta

delega in atti.

– ricorrente –

contro

PAGANI SERVIZI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO, 54,

presso lo studio dell’Avvocato FRANCESCO MASSINI, unitamente agli

Avvocati VALERIO DI STASIO e MARIA GIOVANNA ICOLARO che la

rappresentano e la difendono, anche con facoltà disgiunte, in

virtù di delega in atti.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 816/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 30/11/2017 R.G.N. 720/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/04/2019 dal Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO che ha concluso per i) rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO CUCURACHI;

udito l’Avvocato MARIA GIOVANNA ICOLARO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nella sentenza impugnata si legge che, con ordinanza depositata il 22.2.2017, il Tribunale di Nocera ha respinto il ricorso proposto, ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 da V.A. nei confronti della Pagani Servizi srl, diretta alla declaratoria di nullità del licenziamento per violazione della L. n. 68 del 1999 e per possibilità di impiego in mansioni alternative equivalenti (di impiegato e di custode) con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria.

2. Il licenziamento era stato intimato in data 6.5.2016 perchè il lavoratore aveva negato il suo consenso all’espletamento di una consulenza tecnica di ufficio medico-legale, disposta dal Tribunale nell’ambito della procedura ex art. 696 c.p.c., sull’assunto che le condizioni erano state già accertate in via definitiva dagli organi pubblici (INPS e ASL).

3. Con la pronuncia n. 1273 del 2017 il Tribunale di Nocera Inferiore ha respinto anche l’opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51 presentata dal V. e la Corte di appello di Salerno, con la sentenza n. 816 del 2017, ha confermato la pronuncia di prime cure.

4. A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha rilevato che: 1) erano intervenuti vari accertamenti medici – con esito non univoco – sullo stato di salute del V. da parte di vari organi (medico competente dell’azienda, Commissione medica presso la ASL; Commissione per l’accertamento dell’handicap; Commissione INPS) e, attese le risultanze non concordanti, l’azienda aveva chiesto al Tribunale di Nocera Inferiore ex art. 696 c.p.c. un apposito accertamento finalizzato a dissipare ogni dubbio; 2) il V. a tale accertamento aveva opposto un netto e persistente rifiuto, non presentandosi alle convocazioni, impugnando l’ordinanza di nomina del CTU anche con successivo reclamo, in sede di impugnazione, con esito sempre negativo; 3) tale rifiuto appariva ingiustificato e decisivo, in quanto l’accertamento ad opera del giudice sarebbe prevalso comunque su quello svolto in sede amministrativa; 4) il licenziamento non era stato intimato immediatamente, ma a seguito di sospensione dal servizio, durante la quale era stata constata la reiterata mancanza di cooperazione del lavoratore; 5) a fronte dei motivi del recesso, risultavano prive di fondamento le altre doglianze relative sia alle possibili mansioni alternative in riferimento a posti esistenti nell’organico della società, sia alla mancata osservanza da parte dell’azienda dell’apposita procedura prevista dalla L. n. 68 del 1999, art. 10: in primo luogo, perchè il V. era stato assunto ex novo dalla Pagani Servizi srl come operafio addetto al giardinaggio e non poteva, quindi, invocare l’inquadramento alle mansioni di impiegato; in secondo luogo, perchè non risultava che il V. era stato assunto presso la società come disabile ex lege n. 89 del 1999 o per la copertura della quota dei lavoratori disabili, restando irrilevanti le condizioni e la disciplina del pregresso rapporto di lavoro presso la fallita Multiservizi srl con cui, in sede giudiziaria, era stata accertata la mancanza di continuità.

5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione V.A. affidato a cinque motivi.

6. Ha resistito con controricorso la Pagani Servizi srl.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essersi i giudici di seconde cure pronunciati sul tema della assunzione del V. nell’ambito della L. n. 68 del 1999 per la copertura della quota dei disabili quando, invece, tale tipologia di assunzione non era stata mai oggetto di censure nei gradi merito.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale posto a base della decisione un fatto, costituito dall’assunzione in quota di obbligo ex lege n. 68 del 1999, mai contestato dalla Pagani Servizi srl e tra l’altro evincibile chiaramente dalla documentazione depositata agli atti del giudizio.

4. Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 5 dello Statuto dei lavoratori, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per essersi la Corte territoriale basata, nel suo assunto decisionale, sul comportamento ritenuto illegittimo con il quale il lavoratore si sarebbe sottratto all’accertamento della residua capacità lavorativa, quando, invece, vi era un giudizio medico di seconda istanza (rispetto al quale la società aveva prestato acquiescenza) che aveva espressamente dichiarato non idoneo il V. al servizio di giardinaggio.

5. Con il quarto motivo si denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa la compatibilità della mansione di addetto al giardinaggio con le capacità lavorative del dipendente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere erroneamente la Corte di appello affermato che le condizioni psico-fisiche del V. non gli consentivano di rientrare in organico come “impiegato” ma soltanto come “operaio”, sebbene tale aspetto fosse stato escluso dalla prospettazione difensiva e sul quale non vi era stata alcuna richiesta.

6. Con il quinto motivo il V. si duole della insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’assunzione ex lege n. 68 del 1999, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè, qualora non fossero ritenuti assorbenti il primo ed il secondo motivo di ricorso, comunque la Corte di appello aveva illegittimamente statuito sulla sua assunzione ritenendolo un normale lavoratore e non un disabile ex lege n. 68 del 1999.

7. I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

8. Sono inammissibili, per difetto di specificità, per mancata trascrizione degli atti processuali da cui evincere se effettivamente si possa ritenere che alcuna contestazione vi era stata in ordine alla assunzione del dipendente ex lege n. 68 del 1999 “in quota invalidi” (cfr. Cass. 12.10.2017 n. 24062).

9. Sono infondati perchè il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice del merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) emetta un provvedimento diverso da quello richiesto, oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 21.3.2019 n. 8048; Cass. 10.3.2004 n. 4924).

10. Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato fissato dall’art. 112 c.p.c. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante purchè restino immutati il petitum e la causa petendi e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio e oggetto di contraddittorio (Cass. 4.2.2016 n. 2209): ciò è valido anche per il giudice di appello (Cass. 25.9.2009 n. 20652).

11. Orbene, nel caso di specie, la Corte di merito, non incorrendo in nessun vizio di ultra o extra petizione, si è limitata a verificare, sulla base dei documenti presenti nel giudizio (cfr. pagg. 12 e 14 della gravata sentenza) che il lavoratore il quale, in precedenza era stato assunto come disabile con mansioni di impiegato presso la (OMISSIS) srl, dopo il fallimento di quest’ultima società, era stato assunto ex novo da Pagani Servizi srl, con instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro ex nunc e per lo svolgimento di mansioni di “operaio-addetto al giardinaggio”.

12. Non si è trattato, quindi, di violazione del principio di non contestazione ovvero di esame di domande nuove, ma di corretto inquadramento della fattispecie, sulla base delle risultanze probatorie, nell’ambito del petitum e della causa petendi già oggetto della domanda.

13. Il terzo motivo è infondato.

14. L’assunto della gravata sentenza è conforme, per quello che interessa in questa sede, all’orientamento di legittimità (Cass. 17.6.2015 n. 12489) secondo cui, in tema di licenziamento per inabilità al lavoro, il giudizio della Commissione medico-ospedaliera di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 5 non ha valore vincolante nè per il giudice, che può disporre consulenza tecnica d’ufficio per accertare la sussistenza delle condizioni di inabilità, nè per il datore di lavoro il quale, ai fini della risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione, è tenuto altresì a provare di non potere destinare il lavoratore ad altre mansioni (anche inferiori) compatibili con lo stato di salute e attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, sempre che il dipendente non abbia già manifestato a monte il rifiuto di qualsiasi diversa assegnazione.

15. Del resto, va anche sottolineata la natura garantistica dell’accertamento della idoneità al lavoro svolto in sede giudiziale (cfr. in motivazione Cass. n. 2104/2003; Cass. n. 13863/2000) per cui, avendo riguardo a tale ulteriore profilo, la sottrazione del lavoratore ad una verifica, in presenza di un contrasto di valutazioni medico-amministrative, del generale potere di controllo del giudice (Cass. n. 6554/2001; Cass. n. 2953/1997; Cass. n. 23068/2013) appare senza dubbio ingiustificata, come esattamente ritenuto dalla Corte territoriale.

16. Il quarto ed il quinto motivo, infine sono inammissibili, in primo luogo, perchè le censure sono state prospettate sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, nella versione applicabile ratione temporis, consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dello omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (per tutte cfr. Cass. n. 8053/2014): nel caso in esame, non si verte in tali ipotesi; in secondo luogo, perchè le doglianze attengono a questioni di fatto di talchè il loro esame è precluso ex art. 348 ter c.p.c., comma 4 vertendosi in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme”.

17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.

18. A parere del Collegio, non sussistono in questa sede i presupposti per la condanna del ricorrente al risarcimento ai sensi dell’art. 96 c.p.c. in quanto, avendo l’istituto natura sanzionatoria e officiosa, presuppone la mala fede e la colpa grave del soccombente, nel caso di specie non ravvisabili per la particolarità delle questioni trattate le cui problematiche, peraltro, per taluni aspetti, sono state oggetto anche di recente di interventi di questa Corte di legittimità.

19. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie della misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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