Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18397 del 12/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 18397 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GUIDA RICCARDO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22165/2011 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,
rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale
in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello
Stato.
– ricorrente contro
GOLDMAN SACHS INTERNATIONAL, rappresentata e difesa dall’avv.
Giancarlo Zoppini, dall’avv. Giuseppe Russo Corvace e dall’avv. Giuseppe
Pizzonia, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in
Roma, via della Scrofa n. 57.
– controricorrente e ricorrente incidentale –

Data pubblicazione: 12/07/2018

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione 9, n. 215, pronunciata
il 23/07/2010, depositata il 14/09/2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2018
dal Consigliere Riccardo Guida;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Cristiano Caumont Caimi.

FATTI DI CAUSA
1. Goldman Sachs International, con sede legale in Londra, propose
576 istanze di rimborso di crediti d’imposta, per un ammontare di oltre
euro 202 milioni, in relazione a dividendi percepiti su azioni di alcune
società italiane, in conformità delle disposizioni della Convenzione tra
Italia e Regno Unito sul divieto di doppia imposizione.
L’Amministrazione finanziaria, sulla base dei risultati di una verifica
fiscale mirata della Guardia di finanza (svoltasi dal 13/02/2007 al
4/04/2007), dopo che la società britannica aveva dichiarato di rinunciare
al 75% della pretesa creditoria, emise un provvedimento di diniego
parziale con il quale le riconobbe un credito di poco superiore a euro 36
milioni, impegnandosi a rimborsarlo, al netto di una parte già corrisposta,
pari a circa euro 10 milioni, e rigettò, per il resto, l’istanza.
La società impugnò l’atto di diniego dinanzi alla Commissione
tributaria provinciale di Pescara, e ne chiese l’annullamento parziale in
relazione a 11 istanze di rimborso, riguardanti i dividendi distribuiti, negli
anni 2000 e 2001, su azioni Telecom e San Paolo Imi, limitando la
domanda a euro 14.353.162,08, oltre accessori, pari alla differenza tra il
25% dell’originaria richiesta di rimborso (circa euro 50 milioni) e
l’ammontare dei crediti riconosciuti dall’erario (circa euro 36 milioni).
Il giudice di primo grado accolse il ricorso e la Commissione tributaria
regionale dell’Abruzzo

(hinc:

CTR), con la sentenza in epigrafe, ha

confermato tale pronuncia.
La CTR non ha ritenuto corretto un ragionamento astratto sulla
natura elusiva o meno delle operazioni di trasferimento titoli compiute
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RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

udito l’Avvocato dello Stato Lucrezia Fiandaca;

dalla società londinese – che, secondo la tesi erariale, aveva agito come
mera intermediaria di altri Enti, privi dei requisiti per fruire del credito
d’imposta previsti dalla Convenzione Italia-Regno Unito – in quanto
numerose istanze di rimborso erano risultate regolari, mentre per altre
Goldman Sachs aveva rinunciato al credito, sia pure pro bono pacis.
Si tratta, invece, a giudizio della CTR, di valutare la legittimità o
viceversa il carattere elusivo delle operazioni sottese a ciascun’istanza di

In base al materiale probatorio acquisito, il giudice d’appello ha
negato che la società d’investimenti inglese abbia compiuto quelle
operazioni – consistenti nella ricezione in prestito di pacchetti azionari di
società italiane, ceduti da Enti ai quali non è applicabile la citata
convenzione bilaterale, in prossimità della distribuzione dei dividendi con finalità elusiva, ossia al solo scopo di percepire indebitamente il
rimborso fiscale.
2. L’Agenzia delle entrate ricorre, con sette motivi, per la cassazione
della sentenza d’appello.
3. La società londinese resiste con controricorso, nel quale propone
ricorso incidentale, affidato a un solo motivo e deposita memoria ex art.
378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE
O. Preliminarmente ritiene la Corte che sia priva di pregio l’eccezione
della controricorrente d’inammissibilità del ricorso principale, per difetto
di autosufficienza e di specificità.
Si osserva, da un lato, che il ricorso soddisfa il principio di
autosufficienza, sancito dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.,
poiché, al proprio interno, sono riprodotti, nelle parti essenziali, gli atti
del giudizio di merito.
Neppure si ravvisa il lamentato difetto di specificità del ricorso per
cassazione, poiché l’atto dell’Ufficio reca un’esposizione sufficientemente
chiara ed esauriente dei fatti di causa e, più in generale, della vicenda
processuale, il che consente alla Corte di avere piena cognizione della
controversia e di cogliere il significato, anche sul piano giuridico, dei
rilievi mossi dall’Amministrazione finanziaria alla complessiva trama

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RG n. 2216,5/2011
Cons. est. Riccardo Guida

rimborso.

argomentativa della sentenza impugnata e, quindi, di valutare appieno il
fondamento delle denunciate violazioni.
1.

Primo motivo del ricorso principale: «Violazione e falsa

applicazione dell’art. 10, par. 5, della Convenzione stipulata tra il
Governo Italiano e il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna ed
Irlanda del Nord il 21 ottobre 1988 per evitare le doppie imposizioni,
ratificata in Italia con la legge 5 novembre 1990, n. 329, in relazione

31 dicembre 1992, n. 546.».
L’Agenzia delle entrate lamenta che la sentenza impugnata abbia
affermato contra legem che, in base all’art. 10, § 5, della Convenzione
Italia-Regno Unito sul divieto di doppia imposizione, incombesse
sull’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare l’insussistenza, in
capo alla società residente nel Regno Unito, delle condizioni, oggettive e
soggettive, per avvalersi del credito di imposta.
Rimarca, altresì, l’errore di diritto in cui è incorsa la CTR per avere
ritenuto che la condizione ostativa al riconoscimento del credito di
imposta consistesse nella dimostrazione, da parte dell’Ufficio, che
l’acquisto della partecipazione azionaria fosse diretta al solo scopo di
conseguire indebitamente il beneficio fiscale.
2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed all’art. 62,
primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
La ricorrente si duole del contrasto tra il suaccennato assunto della
CTR – relativo al criterio di ripartizione dell’onere della prova, tra l’erario
e la società britannica, circa la sussistenza o meno delle condizioni,
soggettive e oggettive, per fruire del credito di imposta – e il principio
generale dell’art. 2697 cod. civ., in virtù del quale compete a chi fa valere
un diritto provarne i fatti costitutivi.
3. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed all’art. 62, primo
comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
In via subordinata – ossia nel caso di adesione alla tesi in base alla
quale era onere dell’Ufficio dimostrare quale fosse la percentuale di
operazioni legittimamente compiute e, quindi, quale fosse la percentuale
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RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs.

di credito di imposta effettivamente spettante a Goldman Sachs -, si fa
valere la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e del principio di libertà
dei mezzi di prova, poiché, erroneamente, il giudice d’appello non ha
attribuito valenza probatoria all’indagine tecnica che ha permesso
all’Amministrazione finanziaria di circoscrivere la quota di credito di
imposta effettivamente spettante alla società inglese, rispetto alla
maggiore pretesa avanzata da quest’ultima.

della causa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. ed all’art.
62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
Si denuncia il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata
che, secondo la prospettazione difensiva della ricorrente, non ha
esaminato gli elementi in virtù dei quali l’Ufficio, coll’ausilio di un
autorevole consulente finanziario, aveva fissato nel 17,92% (pari a euro
36.353.365,85) il credito di imposta dovuto rispetto alla richiesta di
Goldman Sachs di euro 202.826.111,00.
5. Quinto motivo: «Violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo,
dell’art. 10, par. 5, della Convenzione stipulata tra il Governo Italiano ed
il Governo del Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord il 21
ottobre 1988 per evitare le doppie imposizioni, ratificata in Italia con la
legge 5 novembre 1990, n. 329, nonché degli artt. 2697 e ss. c.c., ed
insufficiente contraddittoria ed illogica motivazione su fatti controversi e
decisivi della causa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. ed
all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
Si deduce l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di appello nel
ritenere che la società britannica avesse provato, in relazione a molte
delle operazioni contestate: «che possedeva mediamente per un arco
temporale notevole una quantità di titoli media analoga o superiore a
quella oggetto dell’operazione contestata, e che quindi aveva interesse a
negoziare detti titoli anche a prescindere dalle acquisizioni dei dividendi.»
(cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
La ricorrente censura l’assoluta indeterminatezza degli elementi di
prova asseritamente offerti dalla società di investimenti e si duole della
contraddittorietà del ragionamento della CTR che, da un lato, ha preteso
che l’Amministrazione finanziaria provasse l’insussistenza dei presupposti
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RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

4. Quarto motivo: «Omessa motivazione su fatti controversi e decisivi

per il rimborso, facendo puntuale riferimento a ciascun acquisto di
partecipazioni azionarie, e, dall’altro, ha ravvisato che Goldman Sachs
avesse fornito la prova contraria, prescindendo dal riferimento ad ogni
singolo investimento, e anche dalle risultanze delle indagini tecniche e dei
modelli matematiche grazie ai quali l’Amministrazione aveva quantificato
l’ammontare del credito di imposta effettivamente dovuto.
6. Sesto motivo: « Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, par. 2

Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord il 21 ottobre 1988 per
evitare le doppie imposizioni, ratificata in Italia con la legge 5 novembre
1990, n. 329, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed
all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
L’Agenzia delle entrate premette che, ai sensi della Convenzione, il
credito di imposta spetta a condizione che il richiedente dimostri di essere
il beneficiario effettivo dei dividendi; aggiunge che, sul piano logico, le
partecipazioni azionarie possono ritenersi effettivamente di proprietà di
colui che riscuote il dividendo e chiede il rimborso del credito di imposta
solo quando i titoli siano rimasti in suo possesso per un periodo
sufficientemente lungo.
Conclude, sul punto, sostenendo che la CTR ha violato questi principi
nel riconoscere il credito di imposta per operazioni che, in base agli
accertamenti tecnici dell’Ufficio, erano state compiute dalla società
londinese nella veste d’intermediaria della controllante Goldman Sachs
Group Inc., con sede legale in New York.
7. Settimo motivo: « Violazione e falsa applicazione dell’art. 14,
comma 6 bis, del d.p.r., 22 dicembre [1986], n. 917, dell’art. 37 bis del
d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 e del principio comunitario di divieto di
abuso di diritto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed
all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.».
L’ultimo rilievo critico della ricorrente attiene a ciò, che la sentenza
impugnata, nel riconoscere il credito fiscale a una società che riscuoteva i
dividendi per conto terzi, quale mera intermediaria e non come titolare
effettiva dei pacchetti azionari, si è discostata dall’indirizzo della
giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria che, in applicazione dei principi

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RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

e 4, della Convenzione stipulata tra il Governo Italiano ed il Governo del

del contrasto all’abuso del diritto e del divieto di operazioni elusive,
afferma la nullità di schemi negoziali quali il c.d. dividend washing.
L’Ufficio, in conclusione, così si esprime: «Complessivamente,
l’investimento in “stock loan” era di fatto simulato, in quanto la banca
inglese non ha mai effettivamente acquistato gran parte degli strumenti
finanziari e, di conseguenza, non si è mai assunta alcun rischio né di
regolamento (eventuale insolvenza della controparte nelle operazioni

delle quotazioni, tassi di cambio), tipico, invece, delle operazioni di
borsa.» (cfr. pagg. 35, 36 del ricorso per cassazione).
8. Il primo, il secondo e il quinto motivo, suscettibili di valutazione
congiunta perché connessi, sono fondati.
8.1. Sul piano generale, occorre premettere che, ai sensi dell’art. 10,
§ 5, della Convenzioni Italia-Regno Unito, una “persona” residente nel
Regno Unito (nella specie Goldman Sachs) che riceve i dividendi da una
società residente in Italia matura, in Italia, un credito di imposta se
dimostra, su richiesta dell’autorità competente: «che la partecipazione
per la quale erano stati pagati i dividendi era stata acquistata da tale
persona, in buona fede, per ragioni commerciali oppure nell’ambito
dell’ordinaria attività di fare o gestire investimenti e che tale acquisizione
non costituiva il fine specifico o uno dei fini specifici del conseguimento
del credito d’imposta…».
Superato l’evidente errore sintattico della traduzione italiana del testo
della Convenzione (è ovvio, infatti, che il conseguimento del credito di
imposta rappresenta il fine e non il mezzo dell’acquisizione azionaria), in
forza di tale disposizione pattizia, la società inglese, per beneficiare del
credito di imposta sulle cedole riscosse, a ciò richiesta dell’Autorità,
avrebbe dovuto provare di avere acquistato la partecipazione azionaria
nell’ambito della sua normale attività e che tale acquisizione non avesse
quale fine specifico (“main object”

nel testo in lingua inglese della

Convenzione) il conseguimento del credito di imposta.
Così delineato il quadro normativo di riferimento, sia sul piano delle
regole della distribuzione dell’onere della prova che dal punto di vista
dell’individuazione dell’oggetto della prova, osserva la Corte che la CTR
non ha fatto corretta applicazione dei precetti della Convenzione.
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RG n. 2216.5/2011
Cons. est. Riceardo Guida

eseguite fuori dai mercati regolamentari) né di mercato (fluttuazione

Innanzitutto, con riferimento al criterio di ripartizione dell’onere della
prova, secondo il giudice d’appello: «Gli elementi portati dalla
Amministrazione a sostegno della sua tesi sono sostanzialmente: il fatto
che i titoli erano di proprietà di una società facente parte del gruppo
Goldman Sachs, non avente diritto al credito di imposta; che sono stati
acquisiti dalla società richiedente in prestito; che sono stati restituiti alla
società originaria (in genere, americana) subito dopo la riscossione dei

generale, ma in relazione a ciascuna delle diverse operazioni contestate.»
(cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
In tal modo, però, il giudice d’appello ha erroneamente trasferito in
capo all’erario un onere probatorio che, invece, ai sensi dell’art. 10, § 5,
cit. grava sulla società estera che intenda avvalersi del credito di
imposta.
In secondo luogo, per quanto concerne l’oggetto della prova, è dato
rilevare che, a giudizio della CTR, la società inglese: «ha provato che
possedeva mediamente per un arco temporale notevole una quantità di
titoli media analoga o superiore a quella oggetto dell’operazione
contestata, e che quindi aveva interesse a negoziare detti titoli, anche a
prescindere dalla acquisizione dei dividendi.» (ibidem).
Al riguardo la sentenza osserva, altresì, che: a) la circostanza che, in
prossimità della distribuzione dei relativi dividendi, si verifichi un picco di
compravendite di determinate partecipazioni azionarie, è
«commercialmente spiegabile»; b) da questo solo dato, non è ricavabile
un indizio certo di simulazione della complessiva operazione con finalità
di elusione fiscale; c) posto che l’elemento del carico fiscale è un aspetto
significativo degli investimenti sul mercato borsistico, è stata raggiunta la
prova che la società londinese, nel compiere le operazioni contestate, non
ha perseguito il solo scopo di beneficiare del credito di imposta (ibidem).
Osserva la Corte che la sentenza impugnata, laddove riconoscere la
legittimità delle istanze di rimborso dei crediti fiscali avanzate da
Goldman Sachs in virtù della prova che l’acquisto di titoli, in prossimità
del pagamento delle cedole, non fosse funzionale a finalità di elusione
fiscale, ma rientrasse nella normale attività della società di investimenti,
non si è conformata alla regola di diritto, che essa aveva correttamente
8
RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

dividendi. Tali elementi l’Amministrazione avrebbe dovuto provare non in

enunciato come corollario del proprio ragionamento, secondo cui la
sussistenza o meno dei presupposti (previsti dalla Convenzione bilaterale)
per il riconoscimento del credito di imposta doveva essere valutata
avendo riguardo alle «singole istanze oggetto di contenzioso» (ibidem).

è ovvio che la verifica della legittimità o meno della richiesta di
rimborso del credito di imposta necessiti di essere valutata in relazione a
ciascuna operazione di trading su titoli alla quale si riferisce.

tecnici) di alcuni caratteri di determinate operazioni di investimento, è
idonea esclusivamente a descrivere, in termini generali, un fenomeno
finanziario entro il quale vanno, poi, in concreto, inseriti i singoli rapporti
negoziali che, nella specie, l’Amministrazione finanziaria ha qualificato sia
come cessioni fittizie che come prestiti di titoli appartenenti ad altre
società del Gruppo Goldman Sachs (cfr. § 7) e che la CTR, dal canto suo,
ha genericamente reputato essere sorretti da valide ragioni economiche e
privi di una finalità elusiva, senza però addentrarsi nella doverosa analisi
circa la legittimità di ciascuna istanza di rimborso.
9. L’accoglimento del primo, del secondo e del quinto motivo di
ricorso rende superfluo l’esame delle altre censure che restano assorbite;
la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla CTR,
in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, alla luce delle
regole di diritto sopra enunciate, e anche per la liquidazione delle spese
del giudizio di legittimità.
10.

Il ricorso incidentale di Goldman Sachs – che, con un unico

motivo, si duole della decisione nella parte in cui è stata disattesa la sua
eccezione d’inammissibilità del gravame dell’Ufficio, per difetto di
specificità – è inammissibile perché proposto dalla parte totalmente
vittoriosa in appello.

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RG n. 22165/2011
Cons. est. Riccardo Guida

D’altra parte, l’individuazione (tramite indagini e accertamenti

P.Q.M.
accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo del ricorso principale,
assorbiti gli altri;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti;
rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, in diversa

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2018

Il Consigliere est.

Il Presidente

composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

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