Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18396 del 20/09/2016


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Cassazione civile sez. un., 20/09/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 20/09/2016), n.18396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente di Sez. –

Dott. CURZIO Pietro – Presidente di Sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez. –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Presidente di Sez. –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8902/2015 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,

presso lo studio dell’avvocato SALVINO GRECO, che la rappresenta e

difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI

15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la

rappresenta e difende, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18675/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Presidente Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

uditi gli avvocati MAURO LONGO per delega orale dell’avvocato Salvino

Greco e ROBERTO CATALANO per delega dell’avvocato Benedetto Gargani;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.G. ricorre per cassazione nei confronti della Intesa Sanpaolo s.p.a., articolando due complessi motivi, avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 18675 del 23.09.2014 di rigetto dell’appello dell’odierna ricorrente avverso la sentenza n. 14551/2012 con la quale il Giudice di pace di Roma aveva accolto l’opposizione all’esecuzione proposta da Intesa Sanpaolo s.p.a., dichiarando l’insussistenza del diritto della T. a procedere all’esecuzione forzata per il pagamento di Euro 2.197,96, a titolo di spese giudizialmente liquidatele quale avvocato antistatario, stante l’esaustività dell’importo trasmesso dalla Banca al legale, al netto della ritenuta d’acconto.

Ha resistito Intesa Sanpaolo s.p.a., depositando controricorso, con il quale ha dedotto l’inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 e, comunque, la sua infondatezza

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Tribunale – premesso che, nell’atto di appello, la T., aveva in primo luogo chiesto che venisse pronunciata l’estinzione del giudizio per mancata o tardiva riassunzione e, in via gradata, che venisse dichiarata la non debenza dell’importo imposto alla stessa appellante a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. – ha evidenziato, quanto alla ragione principale di appello, che la notificazione dell’atto riassuntivo era regolare e tempestiva e, quanto alla ragione subordinata, che la sentenza appellata non conteneva alcuna condanna al risarcimento ex art. 96 c.p.c., ma unicamente la condanna al pagamento delle spese processuali. Ha, quindi, ritenuto inammissibili le domande svolte da parte appellata, in difetto di appello incidentale e, comunque, di interesse della stessa parte a proporre altre domande, oltre alla mera richiesta di rigetto dell’appello, attesa l’assenza di soccombenza in prime cure; pervenendo, per tal via, alla compensazione delle spese del grado per reciproca soccombenza.

2. La ricorrente – premesso che il Tribunale, dopo avere rigettato il motivo di appello con cui si deduceva la mancata tempestiva riassunzione dell’opposizione innanzi al Giudice di pace ha dichiarato inammissibili i residui motivi di appello senza, peraltro, alcuna motivazione – denuncia:

– con il primo motivo di ricorso violazione o falsa applicazione di norme di diritto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) con riguardo agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e all’art. 1362 c.c.; al riguardo la ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia fatto corretta applicazione dei canoni di ermeneutica nella determinazione dell’atto con cui si era reiterata l’eccezione di difetto di giurisdizione in favore delle Commissioni tributarie e l’erroneità del calcolo della ritenuta di acconto;

– con il secondo motivo di ricorso violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) con riguardo all’art. 112 c.p.c., vizio/difetto assoluto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5; al riguardo la ricorrente si duole che il Tribunale non abbia motivato sul rigetto dell’eccezione di (in)adempimento per difetto della prova dell’avvenuto pagamento in data anteriore alla notifica del pignoramento presso terzi e comunque, sulla non esaustività di detto pagamento.

3. Il ricorso non merita accoglimento.

3.1. Relativamente al primo motivo, è assorbente la considerazione che la questione di giurisdizione, in ragione della quale il ricorso è pervenuto alle Sezioni unite, è manifestamente infondata.

Invero – secondo principio ormai consolidato, cui va data continuità – le controversie tra sostituto d’imposta e sostituito, relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte alla giurisdizione del Giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del Giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituto verso il sostituito nell’ambito di un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario (Sez. Unite, 18 aprile 2014, n. 9033; Sez. Unite 26 giugno 2009 n. 15032, Sez. Unite 8 aprile 2010 n. 8312). Del resto, come pure è stato precisato, in tali controversie manca di regola un “atto qualificato” rientrante nella tipologia di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, riconducibile all’autorità fiscale (Sez. Unite 8 novembre 2012 n. 19289; Sez. Unite 19 dicembre 2009 n. 26820; Cass. 6 giugno 2013 n. 14302) e l’Amministrazione finanziaria non assume la veste di litisconsorte necessario, tenuto conto dell’autonomia del rapporto tributario rispetto a quello privatistico intercorrente tra le parti e della diversità degli effetti della pronuncia relativa a quest’ultimo rispetto a quella sulla legittimità della pretesa tributaria, salvo il potere del giudice ordinario di sindacare in via incidentale la legittimità dell’atto impositivo e di disapplicarlo, ovvero di disporre la sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in caso di contemporanea pendenza del giudizio tributario (v. Sez. Unite 28 gennaio 2011 n. 2064; Sez. Unite 26 giugno 2009 n. 15032).

3.2. Relativamente al secondo motivo, va innanzitutto osservato che l’assunto della ricorrente, secondo cui faceva parte del thema disputandum in appello anche l’eccezione di inesatto e/o tardivo adempimento non è fondato sulla specifica indicazione degli atti con la quale siffatta eccezione sarebbe stata formulata e reiterata in appello ed è contraddetta dal tenore della decisione impugnata, laddove il Tribunale puntualmente individua altrimenti i contenuti delle doglianze dell’odierna ricorrente (cfr. sintesi sub 1.).

Invero la ricorrente muove da una premessa – qual è quella secondo cui il Tribunale avrebbe dichiarato inammissibili senza motivazione le domande da essa proposte e, più esattamente, i motivi dell’atto di appello sulla giurisdizione e sull’inesatto e/o tardivo adempimento – che non trova riscontro nella decisione impugnata. Questa – come si è visto in premessa ha dichiarato inammissibili le domande dell’appellata (e non già dell’appellante), tant’è che, proprio in considerazione di ciò, ha disposto la compensazione delle spese del grado, di cui curiosamente si duole la ricorrente.

Poichè il ricorso si disinteressa di tale effettiva motivazione e ne ascrive un’altra alla sentenza impugnata, del tutto inesistente, esso, in quanto non si risolve in una critica all’effettiva motivazione di detta sentenza, risulta inammissibile, perchè il motivo di ricorso per cassazione, come qualsiasi motivo di impugnazione, deve necessariamente criticare la motivazione della sentenza impugnata. A tacere dell’ulteriore profilo di inammissibilità, derivante dalla circostanza che la questione andava denunciata con apposito motivo in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 o comunque con univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (cfr. Cass. Sez. Un. 24 luglio 2013, n. 17931).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2016

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