Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18396 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 09/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 09/07/2019), n.18396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3555-2015 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato BENITO PANARITI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABIO SQUARCINI;

– ricorrente –

contro

PARCHI VAL DI CORNIA S.P.A. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAZZARO SPALLANZANI

22, presso lo studio dell’avvocato GUIDO GRANZOTTO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO CICONTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 590/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/08/2014 r.g.n. 737/2013.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di appello di Firenze con sentenza del 4.8.14, in accoglimento del gravame proposto da O.M., ha condannato la Parchi Val Cornia s.p.a. al pagamento Euro 29.260,23 oltre accessori, a titolo differenze retributive e T.f.r. per il rapporto di lavoro subordinato da ottobre ‘96 ad aprile ‘01 (così riformando la sentenza del Tribunale di Livorno del 6.6.2013, che aveva rigettato la domanda poichè ritenuta preclusa dall’esistenza di un precedente giudicato sul punto, formatosi in relazione a sentenza del Tribunale di Livorno n. 136/05);

Che, pertanto, la corte ha accertato il rapporto di lavoro subordinato dell’Ollino come operatore del parco, con maggiore impegno di sorveglianza nei mesi estivi, remunerabile con maggiorazione 30%, e ha condannato la società Parchi Val di Cornia al pagamento delle differenze retributive, calcolate come da c.t.u. contabile, con detrazione dalle stesse del valore del canone locativo dell’alloggio di servizio (oggetto del precedente giudicato);

che, a fondamento del decisum, la Corte territoriale ha ritenuto che la pregressa vicenda giudiziaria, con la quale pure l’Ollino aveva invocato il proprio diritto a differenze retributive per il periodo dal 4.10.1996 al settembre 2000, non fosse preclusiva alla riproposizione della domanda nel merito, poichè conclusasi con sentenza di inammissibilità della domanda;

che, nella quantificazione delle somme invocate a titolo retributivo, la corte ha tenuto conto di quanto accertato dalla sentenza n. 136 del 2005, passata in giudicato quanto a tale aspetto, da cui si evinceva che l’ O. aveva prima stipulato una convenzione quale lavoratore autonomo (il 28.6.1996), che regolava anche la concessione dell’alloggio e solo successivamente, con un contratto novativo del precedente, era stato assunto dalla s.p.a. Val di Cornia, quale operatore di parco; su tale presupposto la corte ha ritenuto che la concessione dell’alloggio compensasse solo parzialmente il lavoro svolto; comportante compiti di guardiania e di custodia svolti anche oltre l’orario cui il ricorrente era tenuto quale operatore di parco, ed ha quantificato le differenze retributive in relazione al maggiore impegno prestato in misura corrispondente al 30% (pag. 4) delle somme calcolate nella C.T.U. contabile in primo grado, sulla base di un orario di 18 ore giornaliere, fino ad aprile 2001, data della cessazione del rapporto;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione O.M., proponendo un unico motivo, illustrato da successive memorie;

che la s.p.a. Val di Cornia ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura il vizio di violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte di appello, omettendo la motivazione o rendendo una motivazione meramente apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione alla quantificazione delle somme, pur riconosciute come dovute, al ricorrente;

che, secondo il ricorrente, segnatamente, la corte nel determinare le differenze retributive riconosciute in base alla prova di un maggiore impegno giornaliero, per la attività di guardania e custodia, oltre l’attività di operatore di parco per complessive 18 ore circa, non avrebbe spiegato le ragioni della quantificazione finale, che risultava riduttiva, rispetto alla richiesta formulata dal ricorrente;

che, pertanto, si verserebbe in ipotesi di nullità della sentenza;

che il motivo è infondato; ed infatti, come da questa corte chiarito, anche recentemente, il vizio di omessa motivazione ricorre allorchè la decisione sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata (Cass. 10.8.17, n. 19956) ovvero quando sia totalmente omessa, mancando materialmente la parte di motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione; tali principi sono affermati in riferimento alla formulazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 tanto nella sua versione anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 (Cass. 10.11.10, n. 22845; Cass. 22.6.15, n. 12864), quanto in quella successiva, posto che la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa non costituisce un elemento meramente formale, bensì un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione dell’intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui assenza configura motivo di nullità della sentenza quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione (Cass. 20.1.15, n. 920);

che nel caso di specie non sussistono i suddetti presupposti, avendo la Corte territoriale dato argomentatamente conto, anche sulla base della c.t.u. contabile svolta in primo grado, del percorso decisionale (cfr. punto 7 di p. 4 della sentenza), neppure configurandosi, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una motivazione sindacabile in sede di legittimità, per essere il controllo circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” ex art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi (che appunto si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza) di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore detontroricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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