Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18390 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/09/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23155-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G., V.D., V.E.V.,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA P. BORSIERI 3, presso lo

studio dell’avvocato RENZO GATTEGNA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALBERTO MARASOI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 117/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 06/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSITA D’ANGIOLELLA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

Con sentenza n. 8146 dell’11/04/2011 questa Corte annullava, con rinvio, la sentenza n. 126/26 del 30/11/2006 della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, pronunciando sull’impugnazione proposta dal contribuente V.R. (il quale aveva impugnato la decisione di primo grado che aveva rigettato il proprio ricorso avverso due avvisi di mora, proponendo, poi, opposizione nei confronti del provvedimento di diniego relativo ad istanza avanzata ai sensi della L. n. 289 del 2002), annullava il provvedimento di diniego dell’istanza avanzata ai sensi della L. 289 del 2002, art. 6. In particolare, sul rilievo, in fatto, che il contribuente aveva impugnato due avvisi di mora, emessi in seguito alla definizione, in senso a lui sfavorevole, del giudizio relativo all’impugnazione di uno degli avvisi di accertamento, mentre l’altro non era mai stato impugnato, la Corte affermava che “con riguardo alla definizione agevolata prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, non può ritenersi lite fiscale pendente la controversia introdotta con l’impugnazione di una ingiunzione fiscale, la quale, al pari della cartella di pagamento, quando faccia seguito ad un avviso di accertamento, si esaurisce in un’intimazione al versamento della somma dovuta in base all’avviso, non integrante un nuovo ed autonomo atto impositivo, ma un atto meramente liquidatorio di una pretesa fiscale ormai definitiva”. Rilevava, altresì, che nella fattispecie, il giudice a quo, aveva omesso di verificare, in concreto, la natura impositiva o meno degli atti impugnati – se cioè l’avviso di mora fosse stato il primo atto con cui veniva esercitata la pretesa fiscale – sicchè non poteva applicarsi l’indirizzo più favorevole, pure espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., per tutte, Cass. 29/12/2010, n. 26270), nel senso della definizione della lite anche rispetto all’avviso di mora.

Gli eredi del contribuente V.R., riassumevano il giudizio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 63, deducendo la ricorribilità degli avvisi di mora in quanto fondati su titolo giammai notificato e comunque costituito tardivamente rispetto ai termini di decadenza (v. sentenza impugnata). Instauratosi rettamente il contraddittorio, la Commissione regionale adita in sede di riassunzione pronunciava la sentenza di cui in epigrafe, dichiarando ammissibile la domanda di definizione della lite fiscale e, conseguentemente, disponendo la rideterminazione dell’importo definibile ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 1 e 9, conteggiando quanto già versato dal contribuente ed escludendo le sanzioni amministrative non trasmissibili agli eredi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a tre motivi di ricorso. Resistono con controricorso C.G., V.E.V. e V.D., quali gli eredi di V.R..

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia dell’entrate lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., per aver dichiarato ammissibile la domanda di condono nonostante la notifica dei due avvisi di accertamento e nonostante le sanzioni fossero state irrogate contestualmente a tali accertamenti. Con il secondo motivo di gravame, lamenta la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, per aver dichiarato condonabile la lite e per aver rideterminato l’importo pur esattamente indicato nel provvedimento di riscossione. Con il terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 384 c.p.c., per avere la Commissione travalicato il principio di diritto enunciato dalla Cassazione con la sentenza n. 8146 del 2011 secondo cui gli avvisi di mora che non siano il primo atto di esercizio della pretesa tributaria non sono condonabili. Con il quarto motivo deduce l’omessa motivazione, in violazione dell’art. 132 c.p.c., sull’ammissibilità del condono. Con il quinto, la violazione dell’art. 389 c.p.c., per non aver considerato che gli avvisi di mora non erano i primi atti impositivi così come richiesto dalla sentenza di rinvio.

I motivi primo, secondo, terzo e quinto, in quanto riguardanti frammentazione di una stessa censura, si esaminano congiuntamente. Essi sono fondati per quanto di seguito esposto.

Alla luce dei principi affermati da questa Corte con la sentenza che ha disposto la cassazione con rinvio della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 126/26 del 30/11/2006, il giudice di rinvio avrebbe dovuto dapprima verificare, in concreto, la natura impositiva degli atti impugnati – accertamento che era stato già stato omesso nella prima sentenza impugnata in Cassazione – e, quindi, solo laddove l’avviso di mora fosse stato il primo atto con cui veniva esercitata la pretesa fiscale, dichiarare ammissibile la domanda di condono. D’altro canto, i principi affermati nella sentenza di rinvio, rispondono a quelli tutt’ora condivisi da questa Corte secondo cui l’opposizione avverso l’avviso di mora con cui si faccia valere l’omessa notifica della cartella esattoriale, deducendo fatti estintivi relativi alla formazione del titolo ha la funzione di recuperare l’impugnazione non potuta esercitare avverso la cartella, che costituisce presupposto indefettibile dell’avviso in tema di contributi previdenziali, cfr. Sez. L, Ordinanza n. 28583 del 08/11/2018; Rv. 651687-01; Sez. L, Ordinanza n. 24506 del 30/11/2016 (Rv. 642279 – 01).

La sentenza impugnata non pare aver fatto retta applicazione dei su esposti principi, travalicando i confini del giudizio di rinvio, effettuato proprio al fine di consentire al giudice di merito di accertare la sussistenza dei presupposti per l’ammissibilità della definizione agevolata della lite.

Ed invero, la Commissione regionale ha omesso di approfondire la questione alla cui verifica era finalizzato il rinvio, limitandosi a dare atto “che i crediti di cui ai setti avvisi di mora siano già stati oggetto di provvedimenti passati in giudicato” e che “dall’esame degli allegati sette avvisi di mora si rileva che i primi tre fanno riferimento alla cartella n. (OMISSIS), i restanti tre (a 5-7-) fanno riferimento alla cartella (OMISSIS)” nonchè “non risultano in fascicolo di causa depositati gli avvisi di accertamento nè le due cartelle riportate per cui è impossibile la verifica della completa imposizione dei predetti atti” e sorvolando completamente sulla questione eccepita dagli appellanti che gli avvisi di mora erano “fondati su titolo giammai notificato, costituito tardivamente rispetto ai termini di decadenza”.

In tale situazione, ove addirittura si dà atto che tutti gli avvisi erano stati preceduti da cartella e che i crediti di cui ai setti avvisi di mora erano stati oggetto di sentenza passata in giudicato, ha errato la Commissione regionale a dichiarare l’ammissibilità del condono che, nella sentenza di rinvio, era stato ricondotto ad altro “indirizzo maggiormente orientato nel senso del favor verso la normativa premiale” ma sempre che “l’avviso di mora sia il primo atto con cui venga esercitata la pretesa fiscale, ovvero contenga, per la prima volta, irrogazione di sanzioni, senza che sia stata emessa al riguardo cartella (cfr., per tutte, Cass., 29 dicembre 2010, n. 26270)”. Alla luce di tali considerazioni, appaiono dunque fondate le censure della ricorrente in quanto i giudici di appello hanno errato a dichiarare ammissibile la domanda di condono nonostante il passaggio in giudicato dei giudizi riguardanti gli avvisi di accertamento e nonostante le sanzioni fossero state irrogate contestualmente a tali accertamenti. I secondi giudici hanno malamente applicato anche la disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 16, considerato che, una volta esclusa la natura di atto impositivo dell’avviso di mora, avrebbero dovuto dichiarare l’inefficacia dell’istanza di definizione e, conseguentemente, confermare la legittimità del diniego senza rideterminare gli importi dovuti per la definizione. Vieppiù, laddove l’indicazione del quantum è indicato nel provvedimento di riscossione, il condono è condizionato all’integrale pagamento di quanto dovuto secondo le modalità i cui all’art. 16 L. cit..

Il quarto mezzo, relativo alla nullità della sentenza per omessa pronuncia, è infondato.

Nel processo tributario, è nulla, per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 36 e 61, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della Commissione tributaria regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, atteso che, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 28113 del 16/12/2013, Rv. 629873-01).

Nella specie, invece, la motivazione della sentenza impugnata, per quanto erronea ed in parte contraddittoria, non può considerarsi meramente apparente, consentendo di individuare il thema la sua ratio decidendi, poichè enuncia le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato all’accoglimento dell’appello del contribuente.

In conclusione, i motivi primo, secondo, terzo e quinto devono essere accolti e la sentenza impugnata va cassata in relazione a tali motivi; non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Sussistono giusti motivi (anche in considerazione del fatto che il giudizio proviene da un precedente rinvio) per compensare interamente le spese del giudizio di merito. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quinto motivo di ricorso e rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.

Compensa interamente le spese del giudizio di merito. Condanna i controricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi Euro 4.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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