Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1839 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1839 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 2805-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
:PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
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contro

FABBROCINI ANNA MARIA DITTA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 195/2005 della COMM.TRIB.REG.
di NAPOLI, depositata il 25/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 29/01/2014

udienza del 12/11/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
VALITUTTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato MARCHINI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per l’accoglimento del ricorso.

Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso


RITENUTO IN FATTO.
1. A seguito di processo verbale di constatazione emesso
dalla Guardia di Finanza in data 16.7.99, l’Ufficio notificava a Fabbrocini Anna Maria, titolare dell’omonima
ditta individuale, un avviso di rettifica ai fini IVA per
l’anno di imposta 1997, con il quale l’Amministrazione
finanziaria contestava alla contribuente l’omessa contaguente mancato versamento della relativa IVA, pari ad C
6.812,58.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente
dinanzi alla CTP di Napoli, che accoglieva il ricorso.
L’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate alla CTR
della Campania veniva, altresì, rigettato con sentenza n.
195/42/05, depositata il 25.11.05, con la quale il giudice di seconde cure riteneva illegittimo l’accertamento
induttivo effettuato dall’Ufficio, in presenza della riscontrata regolarità della documentazione contabile, nonchè eccessiva la percentuale di ricarico applicata.
3. Per la cassazione della sentenza n. 195/42/05 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i due motivi di ricorso – che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente- l’Agenzia
delle Entrate denuncia la violazione degli artt. 2729
c.c. e 54 d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n.
5 c.p.c.
1.1. Avrebbe invero, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere illegittimo il ricorso da parte
dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 d.P.R. 633/72, sebbene in
presenza di elementi presuntivi di sicura rilevanza probatoria, desunti dalla sostanziale antieconomicità del
comportamento della titolare della ditta Fabbrocini, che
aveva dichiarato una percentuale di ricarico, del 9,78%,

bilizzazione di ricavi, per £. 77.364.000, ed il conse-

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del tutto irragionevole in relazione al settore di appartenenza della medesima (vendita di abbigliamento al dettaglio).
1.2. L’impugnata sentenza sarebbe, dipoi, affetta da un
evidente vizio motivazionale, avendo, per un verso, affermato che “la bassa percentuale di ricarico dichiarata
costituisce sicuro indizio di evasione fiscale”, per alrilievo decisivo, ai fini della decisione della controversia, alla “riscontrata regolarità della documentazione
contabile”. E ciò, sebbene le risultanze del procedimento
di rideterminazione del volume di affari della contribuente, fondato sulla media aritmetica semplice, non fossero state specificamente contestate dalla stessa CTR.
2. Le censure suesposte sono fondate.
2.1. Questa Corte ha, difatti, più volte affermato – sia
in materia di imposte dirette che di IVA – che, una volta
contestata dall’Erario l’antieconomicità di un comportamento posto in essere dal contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell’economia aziendale, incombe su quest’ultimo l’onere di fornire, al riguardo, le
necessarie spiegazioni. In difetto, sarà pienamente legittimo il ricorso all’accertamento induttivo da parte
dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 39 del d.P.R.
n. 600/73 e 54 del d.P.R. n. 633/72, anche mediante il
ricorso ai parametri presuntivi di cui all’art. 3 1.
549/95 (Cass. 6918/13; 11599/07).
Ed invero, il potere accertativo dell’Ufficio, ai sensi
delle disposizioni succitate, una volta che l’Amministrazione finanziaria abbia applicato i parametri presuntivi,
personalizzati in relazione alla specifica situazione del
contribuente, ed abbia soppesato e disatteso le contestazioni proposte da quest’ultimo in sede amministrativa,
non può ritenersi condizionato da alcun altro incombente.
E neppure tale potere di accertamento potrebbe considerarsi in alcun modo impedito dalla regolarità della contabilità tenuta dal contribuente, che non può costituire
– a fronte di una condotta antieconomica del medesimo

tro verso, attribuito – del tutto contraddittoriamente –

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sintomatica dell’evasione di imposta – neppure una valida
prova contraria in presenza degli elementi presuntivi desumibili dai parametri suindicati (cfr.,

ex plurimis,

Cass. 7871/12; 6929/13; 3197/13).
2.2. Ebbene, tanto premesso in via di principio, ritiene
la Corte che, nel caso di specie, l’Ufficio abbia correttamente effettuato – su circa il 90% della merce esistensentenza – una comparazione tra i prezzi dei capi esposti
in vendita e le relative fatture di acquisto e, tenendo
conto del ricarico assai modesto (9,78%) esposto dalla
contribuente in dichiarazione, abbia – dipoi – correttamente operato, in assenza di elementi di segno contrario
forniti dalla Fabbrocini, un ricarico nella misura del
40%, secondo la media aritmetica semplice; criterio, questo, peraltro neppure espressamente censurato dalla CTR.
A fronte di tali elementi, il giudice di appello si è,
invero, limitato – peraltro in contrasto con l’indicata
misura del monte merci esaminate dall’Ufficio (90%)- ad
una generica allegazione circa il fatto che l’ accertamento si sarebbe fondato “su dati parziali”,

senza, tut-

tavia, dedurre espressamente, motivando al riguardo, che
il campione di merce fosse inadeguato per qualità e quantità (Cass. 7653/12).
2.3. Ma non basta. La sentenza impugnata appare, per vero, affetta anche dal censurato vizio motivazionale, laddove, dopo avere chiaramente affermato che “la bassa percentuale di ricarico dichiarata” costituisce “un sicuro
indizio di evasione

fiscale”, ha dipoi, del tutto con-

traddittoriamente, fondato la decisione essenzialmente
sulla ritenuta “regolarità della documentazione contabile”; dato, questo, tra l’altro, di per sé non significativo sul piano probatorio – come dianzi detto – a fronte
di una condotta della contribuente costituente sicuro indizio di evasione.
2.4. Per tutti i motivi esposti, pertanto, il ricorso
proposto dall’Agenzia delle Entrate non può che essere
accolto.

te in magazzino, come si evince dalla stessa impugnata

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3.

MATERIA TRIBUTCA141.4

L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione

dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. l
c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla
contribuente.
4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei
giudizi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della
contribuente; condanna l’intimata alle spese del presente
giudizio che liquida in 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12.11.2013.

poste a carico dell’intimata soccombente, nella misura di

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