Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18387 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/09/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19395-2013 proposto da:

L.L.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VELLETRI

35, presso lo studio dell’avvocato PIETRO FEDERICO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE SEDI CENTRALE (OMISSIS), in persona Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che a rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 187/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 21/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/01/2020 dal Consigliere Dott. ROSITA D’ANGIOLELLA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata, risulta che, con sentenza n. 630 del 14 dicembre 2010, la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva rigettato il ricorso proposto da L.L.S. avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei suoi confronti, in relazione all’anno d’imposta 2002, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 41 bis. L’accertamento e il conseguente avviso scaturivano da una verifica fiscale della guardia di finanza dalla quale emergeva che L.L.S. aveva intrattenuto rapporti commerciali con una società inglese, in regime di evasione totale, in quanto aveva effettuato la chiusura della partita Iva di cui risultava essere titolare precedentemente, non aveva presentato dichiarazione dei redditi e non aveva istituito le scritture contabili obbligatorie.

L.L.S. appellava tale sentenza deducendo che era stato raggirato da un amico londinese che gli aveva proposto l’operazione sicchè, resosi conto di quanto stava accadendo, si era liberato “in tutta fretta” della merce (v. pag. 2 della sentenza impugnata) che avrebbe dovuto consegnare alla società estera; eccepiva, altresì, l’illegittimità dell’avviso per intervenuto condono e per l’errata individuazione del presupposto del periodo, del soggetto e dell’oggetto dell’imposta.

La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello del contribuente confermando la decisione di primo grado ritenendo che la richiesta di determinazione del reddito prodotto nella misura del 5% dei ricavi era stata introdotta soltanto in sede d’appello con il deposito di note aggiuntive; che la Commissione provinciale aveva motivato adeguatamente sul presupposto, sul soggetto, sull’oggetto dell’imposta; che, quanto al condono, la documentazione offerta dal contribuente non provava il suo assunto, in quanto, i modelli “F24” facevano riferimento ad annualità diverse rispetto a quelle oggetto di accertamento. In ogni caso, evidenziava che le deduzioni del contribuente erano completamente sfornite di prova.

L.L.S. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione regionale di cui in epigrafe, proponendo tre motivi di ricorso.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

Col primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, e, segnatamente, delle norme in materia di condono, nella parte in cui la Commissione tributaria regionale non ha ritenuto che la controversia era stata definita a mente della L. n. 289 del 2002, art. 15, ed ha erroneamente affermato che i modelli F24 si riferissero ad altre annualità.

Il motivo è inammissibile con esso denunciandosi, non l’inesatta ricognizione normativa compiuta dal primo giudice, ma una valutazione di fatto riguardante la riferibilità del cd. modello F24 al periodo di imposta oggetto di accertamento.

E’ pacifico che a seguito della notifica del PVC redatto dalla Guardia di Finanza, l’Ufficio aveva informato il contribuente della possibilità di definire, ai sensi L. n. 289 del 2002, art. 15, l’accertamento, così come è pacifico che il contribuente aveva presentato istanza relativa all’annualità 2002 ma aveva poi compilato (e prodotto in giudizio) il modello F24 per l’anno 2003 e 2004 (v. ricorso, pag. 6 ove il ricorrente assume che per errore aveva indicato le diverse annualità); pertanto, rispetto a tali fatti, la verifica del giudice d’appello – che ha ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente a sostegno della domanda di condono non era probante, riferendosi, il modello F24, ad altre annualità – non è qui censurabile riguardando un giudizio squisitamente di merito. Ed invero, a fronte della ragioni della decisione qui gravata, e a fronte delle stesse allegazioni del ricorrente, la percezione che si ha nell’esame del motivo, è che questi si duole perchè la ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito non risponde alla sua prospettazione, segnatamente con riguardo alla valutazione delle risultanze documentali; il motivo in esame, nella sue complessive doglianze, appare sottendere, cioè, un’inammissibile richiesta di revisione delle valutazioni e delle conclusioni raggiunte dal giudice di merito, che sono insindacabili in questa sede, rendendo il ricorso inammissibile. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge e segnatamente del t.u.i.r., art. 109, là dove secondi i giudici hanno ritenuto legittimo il calcolo del reddito imponibile – aggiungendo il 5% del costo complessivo delle merci, identificato con il ricavo lordo conseguito, confondendo, così, il costo delle merci con il reddito – e ciò nonostante avesse introdotto tale rilievo in appello con il deposito di note aggiuntive.

Il motivo è inammissibile.

Sebbene, in caso di accertamento induttivo puro (quale è pacificamente quello in esame) l’ente impositore ha obbligo di determinare forfettariamente i relativi costi e l’Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, e ciò al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anzichè quello netto (cfr. Sez. 6-5, Ordinanza n. 26748 del 23/10/2018, Rv. 651111-01), nella specie, la Commissione tributaria regionale ha rigettato la richiesta del contribuente di rideterminare il reddito nella misura del 5% dei ricavi lordi perchè domanda nuova formulata solo con “note aggiunte” depositate nel giudizio di appello.

L’inammissibilità del mezzo proposto in tale giudizio deriva, dunque, dalla violazione del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente localizzato e trascritto, come era sua onere, gli atti processuali (ricorso introduttivo ed appello) in cui sarebbe contenuta tale eccezione, indicazione necessaria al fine di consentire in questa sede l’esame della relativa doglianza e, quindi, il vizio della sentenza impugnata.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

In conclusione il ricorso in cassazione proposto da L.L.S. è interamente inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Il ricorrente è tenuto al versamento, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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