Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18386 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, (ud. 15/06/2017, dep.26/07/2017),  n. 18386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16702-2015 proposto da:

ROXBY SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore Dr.

P.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 91,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE BARTOLAZZI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOIA SACCONI,

GIOVANNI FIGA’ TALAMANCA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., e per essa UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK SPA in

persona del legale rappresentante Avv. V.F. nella sua

qualità di Quadro Direttivo, elettivamente domiciliata in ROMA,

P.ZA B. CAIROLI 6, presso lo studio dell’avvocato PIERO GUIDO ALPA,

che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.M.L.E., F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 14/2014 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

03/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato LUCA DI DONNA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Capitalia Service j.v. s.r.l., quale mandataria della Banca di Roma s.p.a., conveniva in giudizio la Roxby s.r.l. chiedendo l’accertamento della simulazione assoluta o, in subordine, la revocatoria ordinaria di un contratto rogato il 1 giugno 2006, e del relativo preliminare stipulato il 9 novembre 2004, con cui D.M.L.E. e F.G. avevano prima promesso di vendere e poi venduto alla società convenuta un immobile sito nel comune di (OMISSIS).

Resisteva in giudizio la sola Roxby s.r.l. negando innanzi tutto la simulazione, posta la prova dell’intervenuto pagamento del prezzo di vendita, in parte in contanti e in altra parte mediante accollo del debito che i venditori avevano nei confronti della Charlotte Ventures LLC per la restituzione di quanto loro versato in forza di un precedente contratto preliminare, avente ad oggetto il medesimo immobile, risolto prima della stipula del nuovo compromesso con la Roxby quale promissario acquirente. Quest’ultima contestava anche la sussistenza dei presupposti per la revocatoria e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna alla rifusione dei danni per l’indisponibilità commerciale dell’immobile in ragione dell’iniziativa giudiziaria, e, gradatamente, nell’ipotesi di accoglimento della pretesa ex art. 2901 c.c., la condanna dei venditori alla restituzione del prezzo versato, in uno al conseguente risarcimento.

Il tribunale di Roma rigettava la domanda di simulazione e accoglieva quella di revocatoria.

La Corte di appello della medesima città dichiarava inammissibile l’appello ex art. 348-bis c.p.c..

Ricorre per la cassazione di entrambi i provvedimenti di merito la Roxby, affidando le sue ragioni a due motivi.

Resiste con controricorso Unicredit s.p.a., nuova denominazione assunta dalla Banca di Roma, e per essa, quale sua mandataria, Unicredit Credit Management Bank s.p.a. La parte ha inoltre depositato memoria.

Non hanno svolto attività difensiva, anche davanti a questa Corte, D.M.L.E. e F.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 101,348-bis e 348-ter c.p.c., deducendo che la corte territoriale non si era limitata a una sommaria delibazione del gravame, ma aveva specificatamente preso in considerazione le ragioni dell’appello mostrando come non fossero manifestamente infondate. Così facendo, aveva compresso e dunque leso i più ampi diritti di difesa che sarebbero spettati ad essa ricorrente qualora, correttamente, avesse pronunciato sentenza. Inoltre, non aveva esaminato con il prudente apprezzamento necessario i complessi elementi indiziari sottesi all’accoglimento della revocatoria, specie quanto alla sussistenza del requisito soggettivo, la cui valutazione avrebbe dovuto imporre la più ampia trattazione ordinaria, escludendo, pertanto, la pronuncia “in limine” invece adottata.

Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2729 c.c., sia con riguardo alla pronuncia di primo grado che con riferimento a quella di appello, replicando i motivi del gravame di merito dal secondo al quarto. Inoltre, si deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., anche relativamente alla decisione della corte di appello, riportandosi al quinto e sesto motivo di appello.

1.1. Tale secondo e articolato motivo si compone quindi di plurimi profili, alcuni posti a base della dedotta erroneità della sentenza di primo grado, altri riferiti a pretesi vizi dell’ordinanza di secondo grado.

1.2. Quanto alla sentenza gravata si fa valere quanto segue.

Si nega (riferendosi al secondo motivo di appello) la sussistenza dell’eventus damni”, per essere stato pagato un prezzo di acquisto dell’immobile in questione non inferiore a quello di mercato, e dovendosi escludere una diminuzione della garanzia patrimoniale del creditore con la modifica del cespite aggredibile, non più un immobile ma denaro.

Si nega (riferendosi al terzo motivo di appello) la correttezza della decisione impugnata quando afferma la sufficienza della “scientia damni”, escludendo la necessità di un’indimostrata dolosa preordinazione, in relazione all’anteriorità del credito rispetto all’atto di disposizione: i crediti erano cristallizzati in decreti ingiuntivi del 2002 e due sentenze del 2005 e del 2006, e, ai finì in parola, doveva considerarsi rilevante non il contratto definitivo (del 2006) nè quello preliminare (del 2004) con la Roxby, ma il compromesso con la Charlotte, del 2001, nella cui posizione soggettiva era poi subentrata la Roxby.

Si nega (riferendosi al quarto motivo di appello) la correttezza della sentenza impugnata quando afferma che la Roxby era consapevole del pregiudizio arrecato con la vendita, essendo stato fatto malgoverno del valore probatorio delle presunzioni. In primo luogo, non venivano in gioco numerose alienazioni immobiliari ma solamente due, tra cui quella in esame. In secondo luogo, i rapporti tra la Roxby e la Charlotte, quale la condivisione della sede legale, o il rapporto di coniugio tra i relativi amministratori S.P. e P.O. non potevano logicamente provare una collusione tra le due società. In terzo luogo, erano stati valorizzati rapporti invece privi di concludenza tra gli intimati e la Roxby, quando, in particolare, si era rilevato, con un’indagine bancaria successiva alla vendita, che il figlio del D.M. e della F. era risultato amministratore unico di una società a sua volta socia di maggioranza di altra società il cui amministratore, anch’esso unico, era la stessa P.. In quarto luogo, il fatto che la Roxby avesse colto l’occasione di un peggioramento dei rapporti negoziali tra la Charlotte e i venditori per operare un investimento non poteva provare alcun rapporto specifico tra le due società o della Roxby con i venditori. In quinto luogo, l’iscrizione, da parte della Banca di Roma, di due ipoteche, nel 2006, prima del contratto definitivo ma dopo quello preliminare, non poteva avere alcun valore ricostruttivo, atteso che l’adempimento degli obblighi del compromesso, in quanto appunto atto dovuto, non configurava atto revocabile, e posto che, avendo la banca atteso il 2006 per accendere le garanzie ipotecarie pur essendo creditrice dal 2002, poteva ben essere indice di affidamento sul complessivo patrimonio dei debitori.

In conseguenza della sostenuta erroneità dell’accoglimento della revocatoria, la Roxby, richiamando il quinto motivo di appello, deduce inoltre il vizio del ritenuto assorbimento della domanda risarcitoria.

Infine, la ricorrente, con riferimento al sesto motivo di appello, allega l’erroneità della decisione di primo grado per aver ritenuto inammissibile la domanda restitutoria, avanzata nei confronti dei venditori per l’ipotesi di accoglimento della revocatoria, per omessa notifica ex art. 292 c.p.c. ai destinatari contumaci, non trattandosi di rilievo sollevabile d’ufficio poichè previsto nell’esclusivo interesse della parte.

1.3. Quanto all’ordinanza di secondo grado si fa valere, in aggiunta, quanto segue.

La ricorrente rileva l’erroneità dell’argomentazione spesa dalla corte, a supporto della diminuzione della garanzia patrimoniale, quanto al pagamento del bene immobile avvenuto quasi integralmente per accollo del debito restitutorio del D.M. e della F. per la risoluzione del primo contratto preliminare con la Charlotte. Si trattava infatti dell’adempimento di un’obbligazione valida ed efficace.

La stessa ricorrente addebita inoltre alla corte romana di aver omesso di estrapolare elementi di prova dalle proprie difese, quali il consistente patrimonio imprenditoriale del D.M. e la sua connessa rete di relazioni, nella quale si iscrivevano i professionisti che, nella sua piena fiducia, operavano in autonomia, senza che le relazioni societarie potessero quindi assumere le valenze ipotizzate.

2. Il ricorso è infondato.

2.1. Innanzi tutto va evidenziato che parte ricorrente ha depositato anche copia conforme dell’ordinanza della corte di appello, da cui emerge la tempestività del ricorso oltre che la sua procedibilità (ai fini di Cass., Sez. U., 13/12/2016, n. 25513).

2.2. Il primo motivo di ricorso, rivolto all’ordinanza che ha definito il giudizio di appello, è manifestamente inammissibile. Come noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno condivisibilmente affermato che l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui al’art. 348-bis c.p.c., comma 2, e art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso (Cass., Sez. U., 02/02/2016, n. 1914). E’ appena il caso di osservare che non integra alcuna violazione della legge processuale la presenza, nell’ordinanza in parola, di ulteriori profili argomentativi a supporto delle ragioni di fatto e diritto poste a base della decisione di primo grado e condivise dal collegio di appello.

Per il resto, ogni tutela giurisdizionale può utilmente rivolgersi nei confronti della decisione di prime cure. Nè, quindi, la ricorrente prospetta in cosa possa essersi concretato il pregiudizio ai suoi diritti di difesa solamente affermato per il mero fatto processuale della pronuncia dell’ordinanza d’inammissibilità in luogo della sentenza di rigetto.

2.3. Il secondo motivo di ricorso, ai limiti dell’ammissibilità posta la collazione dei motivi appello che ne ha estrinsecato la veste, è comunque manifestamente inammissibile, per le medesime ragioni appena enucleate, nella parte in cui è rivolto nei confronti dell’ordinanza pronunciata dalla corte di appello.

Quanto invece agli ipotizzati vizi della decisione di prime cure, esso è manifestamente inammissibile quanto ai profili evinti dal secondo e quarto motivo di appello, perchè, pur formalmente prospettandosi una violazione di legge, si articola, evidentemente, un vizio motivazionale non espressamente sollevato e precluso dalla sussistenza di una “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c., comma 5). Difatti, l’ordinanza di seconde cure si fonda, al di là di arricchimenti argomentativi, sulle medesime ragioni di fatto implementate dalla sentenza del tribunale, consistenti, in specie, nell’apprezzamento della sussistenza dell’evento di danno per la maggiore difficoltà di procedere all’esazione coattiva del credito sul denaro, e nella valutazione degli indizi presuntivi quanto al requisito della consapevolezza del pregiudizio arrecato alla garanzia patrimoniale.

Per ciò che concerne, invece, l’anteriorità o meno del credito rispetto all’atto dispositivo, va dato seguito alla giurisprudenza secondo cui “in tema di azione revocatoria ordinaria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza dell'”eventus damni” rispetto al creditore procedente va valutata in riferimento al momento della stipula del contratto definitivo, verificandosi soltanto in tale momento il compimento di un atto dispositivo del patrimonio del debitore; per contro, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato, invece, in relazione al momento della stipula del contratto preliminare, dovendosi contemperare, in ossequio alla “ratio” dell’azione revocatoria, la garanzia patrimoniale dei creditori con l’affidamento del terzo nello svolgimento della propria autonomia privata” (Cass., 18/08/2011, n. 17365). E non può che essere chiaro come il contratto preliminare cui va fatto riferimento è quello della ricorrente e destinataria della dichiarazione di revoca, e in alcun modo quello precedente stipulato da una diversa società. Sotto tale profilo, quindi, il ricorso resta infondato vista la deduzione di plurimi crediti precedenti, con assorbimento della questione inerente all’omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria.

Infine, per quello che riguarda la pretesa violazione dell’art. 292 c.p.c., deve osservarsi che, pur essendo corretta l’affermazione secondo cui l’inosservanza dell’obbligo di notificazione ex art. 292 c.p.c. non è rilevabile officiosamente (Cass., 27/10/2003, n. 16101, Cass., 17/06/2010, n. 14625), la domanda risulta egualmente infondata nel merito, atteso che, com’è pacifico, la revoca non determina, come ipotizzato in ricorso, l’annullamento o scioglimento del contratto revocato, bensì solo la sua inefficacia relativa. Difatti, la parte formula il motivo in relazione ai danni conseguenti all’annullamento della vendita (riprendendo la sentenza di prime cure), e in particolare relativi al pagamento effettuato in relazione al contratto (riprendendo l’ordinanza di seconde cure). Contratto, però, e come detto, affatto annullato o assolutamente inefficace tra le parti, salvi i diritti che possano derivare all’acquirente dall’espropriazione promossa nei suoi confronti. Per questo motivo, il profilo dell’errore processuale in parola risulta inammissibile per difetto d’interesse, considerata, cioè, l’infondatezza in diritto della pretesa correlata.

3. Spese secondo soccombenza.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 7.800,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese forfettarie, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione redatta con la collaborazione dell’assistente di studio dott. Po.Pa..

Il collegio ha stabilito che la motivazione sia semplificata.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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