Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18386 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 09/07/2019), n.18386

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10567-2018 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 22,

presso lo studio dell’Avvocato DARIO PROIETTI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’Avvocato VITTORIO SCANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 5616/4/2017 della COMMISSIONE TRIBTUARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 27/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa

ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

Che:

P.B. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva respinto l’appello proposto avverso la sentenza n. 338/2014 della Commissione tributaria provinciale di Roma in rigetto del ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF 2006;

l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. è infondata la prima censura, formulata dal ricorrente, di violazione dell’art. 112 c.p.c. e di extra petizione per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la CTR confermato quanto statuito dai Giudici di primo grado, che avrebbero trasposto “nella sentenza avente ad oggetto l’accertamento per il 2006 gli elementi della sentenza avente ad oggetto l’accertamento per il 2007” in quanto “gli incrementi patrimoniali per il 2007… non po(tevano)… essere utilizzati anche per il 2006”;

1.2. la censura è inammissibile sotto il dirimente profilo che in base alla regola dell’assorbimento dei vizi di nullità in motivi di gravame, applicativa del generale principio del carattere meramente processuale delle nullità formali il vizio di ultra o extra petizione della sentenza di primo grado non può essere prospettato per la prima volta nel ricorso per cassazione ove il ricorrente non l’abbia dedotto come specifico motivo di gravame nel giudizio d’appello (cfr. Cass. n. 11382/2011);

1.3. nel caso in esame il ricorrente non afferma di avere prospettato in appello un vizio di ultrapetizione, nè ciò emerge dalla sentenza impugnata, il che significa che non può di tanto dolersi per la prima volta in questa sede, giacchè altro è una doglianza, quale quella proposta in appello, relativa alla “corretta applicazione del redditometro” per “mancata valutazione di “tutti gli elementi positivi di reddito non soggetto a tassazione”, ed in particolare di un’apertura di credito concessa nel 2007, altro è prospettare, in relazione alla mera conferma del decisum da parte della corte d’appello, un error in procedendo;

1.4. la censura è, dunque, inammissibile, in quanto non è prospettabile per la prima volta col ricorso per cassazione il vizio di extrapetizione della sentenza di primo grado di cui il ricorrente non si sia doluto, sotto tale specifico profilo, in appello;

2.1. con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38) ex art. 360 c.p.c., n. 3, censurando la sentenza impugnata con riguardo alla “illegittimità dell’accertamento induttivo che si è avvalso di elementi successivi e non antecedenti al periodo sub iudice”;

2.2. con il terzo motivo di ricorso si lamenta “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, costituito dalla “assenza di incrementi patrimoniali per l’anno 2006”, per avere la CTR ritenuto sussistere maggiori redditi in capo al contribuente “considerando elementi e circostanze attinenti il periodo di imposta successivo oggetto di differente accertamento e giudizio e non quanto esclusivamente attinente all’anno 2006”;

2.3. i motivi, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connessi, sono infondati;

2.4. conformemente all’orientamento assolutamente prevalente espresso da questa Corte (cfr., ex multis, Cass. nn. 3403/2019, 12207/2017, 1510/2017, 19030/2014), al quale il Collegio intende dare continuità, va rilevato che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, disciplina, fra l’altro, com’è noto, il metodo di accertamento sintetico del reddito e, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. n. 413 del 1991 e il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010), prevede, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi), dall’altro (comma 5), contempla le “spese per incrementi patrimoniali”, cioè quelle – di solito elevate – sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (esempio tipico, l’acquisto di una casa di abitazione): in questo caso, è stabilita una presunzione di imputabilità del reddito, in quote costanti, all’anno in cui la spesa è stata effettuata ed ai cinque precedenti, cioè una disciplina di favore, adottata in base all’id quod plerumque accidit, ossia al fatto che la capacità di effettuare una determinata spesa ben può attribuirsi non al reddito prodotto nello stesso anno d’imposta cui l’accertamento si riferisce, bensì alla disponibilità di capitale accumulato negli anni precedenti;

2.5. la norma detta, quindi, una presunzione (iuris tantum) di favore per il contribuente: quella, cioè, che la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio sia sostenuta dal contribuente con redditi conseguiti non nel solo anno in cui la spesa risulta effettuata (e in misura pari al suo intero ammontare) ma già a partire dai cinque anni precedenti in misura costante (e ovviamente minore) pari ad una frazione dell’esborso per ciascuno degli anni contemplati dalla norma;

2.6. come puntualmente osservato da Cass. n. 1510/2017, citata, “tale disciplina implica necessariamente che, per ciascuno dei detti anni, la spesa per incremento patrimoniale autorizza bensì la determinazione sintetica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, di maggior reddito (…) ma lascia intatti – per ciascun anno – la facoltà e l’onere per il contribuente di dimostrare “che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta”, con documentazione idonea a comprovare “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso””;

2.7. in tale prospettiva, a dimostrazione che l’interpretazione qui condivisa non si risolve in un’ingiustificata compressione delle facoltà e delle prerogative del contribuente, va particolarmente rimarcato che lo stesso ha la facoltà (e, ovviamente, anche l’onere) di dimostrare che la spesa per incremento patrimoniale in realtà sia stata sostenuta per intero (con redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta conseguiti) nell’anno stesso in cui essa risulta effettuata ovvero in uno solo dei cinque anni precedenti: prova contraria, questa, che ovviamente escluderebbe l’attribuzione “spalmata” del maggior reddito presunto, pro quota, in ciascuno degli anni compresi nell’arco temporale di cinque anni considerati dalla norma, suscettibili di accertamento (cfr. anche Sez. 5, n. 14509 del 15/07/2016, in motivazione);

2.8. tale prova, in particolare, è idonea a privare di fondamento la presunzione di maggior reddito fondata su quella spesa non soltanto per l’anno oggetto dell’accertamento impugnato ma anche per gli altri anni cui la presunzione si estende ai sensi del cit. art. 38, comma 5, posto che non potrebbe più ritenersi che le risorse necessarie a sostenere la spesa sono state rappresentate da “redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei quattro precedenti”;

2.9. al contribuente, peraltro, è altresì riconosciuta la facoltà di provare, nel giudizio relativo all’accertamento sintetico relativo ad uno dei cinque anni coperti dalla detta presunzione, di aver percepito redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta per un ammontare pari a (o comunque idoneo a giustificare solo) la quota di maggior reddito presunta per quell’anno. Ed anche tale prova vale, evidentemente, a superare la presunzione di maggior reddito “parcellizzata” per quel dato anno, pur senza poter impedire che la presunzione valga per ciascuno degli altri anni, precedenti o successivi, ai quali si estende;

2.10. nell’ipotesi delle spese per incrementi patrimoniali, che qui interessa (“autovetture ed unità immobiliari acquistate, rispettivamente, nel 2006 e nel 2007”), l’accertamento deve basarsi, quindi, sulla diretta dimostrazione dell’effettiva erogazione della spesa – costituente il fatto noto, manifestazione di ricchezza – da parte del contribuente in un determinato momento o arco di tempo (uno o più anni d’imposta), e salva restando, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365/2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass. nn. 9539/2013, 20588/2005), o, ancora, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’acquisto effettuato non denota una reale disponibilità economica, poichè il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita, anzichè quella onerosa apparente (cfr. Cass. nn. 5991/2006, 8665/2002);

2.11. nel caso in esame, dall’esame della sentenza impugnata, che richiama anche la pronuncia di primo grado, emerge che l’avviso di accertamento fu emesso in via induttiva determinando il reddito per l’anno 2006 anche in ragione di “investimenti patrimoniali fatti negli anni successivi”, tra cui le “unità immobiliari acquistate… nel 2007” e che, secondo la CTR, l’Ufficio aveva correttamente valutato tutti gli elementi positivi di reddito, compresa l’apertura di credito concessa nel 2007, che “non poteva da sola essere considerata come effettiva disponibilità patrimoniale in assenza da parte del contribuente di prova in tal senso”;

2.12. la decisione impugnata ha, quindi, correttamente affermato che l’Ufficio potesse far gravare sul computo dei redditi per l’anno 2006, oggetto di accertamento, anche gli incrementi patrimoniali verificati in periodi successivi – precisamente nel 2007-, per effetto del criterio di ripartizione nei cinque anni antecedenti dell’esborso a ciò correlato;

2.13. va peraltro evidenziato che il ricorrente non può neppure porre, in questa sede, un problema di valutazione del materiale probatorio (con riguardo al preteso mancato esame da parte della CTR della “disponibilità finanziaria accertata al 31/12/2004; il ricavato della vendita di un terreno di famiglia nel 2005, l’assenza di movimentazione di risorse finanziarie tale da far presumere la mancata dichiarazione del contribuente di alcun reddito”), contravvenendo tale censura motivazionale al principio, cui questo Collegio aderisce, per cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 5528/2014), adempimento non svolto;

2.14. nel caso di specie, infatti, la CTR ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso del contribuente sulla base di quanto accertato dalla CTP circa la corretta applicazione del redditometro sulla base degli elementi fattuali dianzi illustrati;

2.15. non poteva, pertanto, essere proposto ricorso per cessazione invocando la violazione dell’art. 360, n. 5, in quanto la sentenza che conferma la decisione di primo grado è basata sulle stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto, poste a base della sentenza confermata;

3. in conclusione, il ricorso va integralmente respinto;

4. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione Sesta Sezione, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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