Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18385 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, (ud. 13/06/2017, dep.26/07/2017),  n. 18385

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13177-2015 proposto da:

D.M., D.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PARENTI, che li rappresenta e difende giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.C., P.B. quali EREDI P.F.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA PIEVE DI CADORE 30 VILL.

56/58, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO USSANI D’ESCOBAR, che

le rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2220/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO SALMERI per delega;

udito l’Avvocato ANTONELLA MICELE per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 8 ottobre 2005 i fratelli F. e D.M. convenivano innanzi al Tribunale di Roma, per essere risarciti dai danni patiti in conseguenza della sua responsabilità professionale, l’avvocato P.F., adducendo che quest’ultimo era stato imperito e negligente nell’adempiere i suoi obblighi derivanti da mandato ricevuto dagli attori per agire nei confronti del loro padre D.P. in relazione ai loro diritti successori, quali eredi della madre, aventi ad oggetto un immobile, sito in (OMISSIS), di proprietà ICAM, e per omesso sfratto alla inquilina di tale immobile. Il convenuto si costituiva, resistendo. Con sentenza del 7 giugno 2007 il Tribunale accoglieva in parte le pretese attoree, condannando il convenuto a corrispondere a D.M. la somma di Euro 12.914,42 e a D.F. la somma di Euro 11.782,93, oltre a interessi e spese di causa.

Avendo proposto appello principale P.F. e appello incidentale i fratelli D., la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2 aprile 2014, in riforma della pronuncia di primo grado, riduceva le somme risarcitorie dovute ai fratelli D. a Euro 3425 ciascuno – per detrazione degli onorari relativi al giudizio d’appello e al giudizio di cassazione nella causa tra i fratelli D. e il loro padre, onorari percepiti dall’avvocato che il primo giudice aveva condannato a restituire -, condannando pertanto Maurizio D. a restituire a P.F. Euro 9489,42 oltre interessi legali e D.F. a restituire a P.F. Euro 8357,93 oltre interessi legali; rigettava poi l’appello incidentale e condannava i D. a rifondere a controparte i due terzi delle spese processuali del grado.

2. Hanno presentato ricorso i fratelli D. – sulla base di quattordici motivi – nei confronti degli eredi di P.F., deceduto il (OMISSIS), impersonalmente e collettivamente. Si sono difese con controricorso le eredi P.C. e P.B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2236 e 1176 c.c.

Con l’avvocato P.F. gli attuali ricorrenti avrebbero costituito un rapporto di prestazione d’opera professionale ai sensi dell’art. 2230 c.c., per cui egli avrebbe dovuto agire con una diligenza superiore alla diligenza del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1176 c.c., comma 1. Pertanto avrebbe dovuto, di regola, essere responsabile ex art. 2236 c.c. anche per colpa lieve; e nel caso in esame l’azione nei confronti di D.P. non sarebbe stata particolarmente complessa. Viene pertanto analizzata ampiamente la condotta professionale di P.F., richiamando pure la sentenza di primo grado che è stata riformata dalla pronuncia qui impugnata, per concludere che il giudice d’appello avrebbe dovuto, se avesse esaminato correttamente “la documentazione di causa” decidere in modo opposto.

Il motivo dimostra proprio con questa sua conclusione che è diretto a chiedere al giudice di legittimità una valutazione alternativa in punto di fatto, e cioè sull’esistenza di effettiva negligenza professionale, nel caso concreto, dell’avvocato P.F., per cui è una doglianza inammissibile.

3.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c. per avere il giudice d’appello ritenuto che l’assenza di qualificazione di diritto nell’atto di citazione notificato a D.P. non abbia generato responsabilità dell’avvocato, perchè “è compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti”. Al contrario, l’avvocato P. non avrebbe rispettato l’art. 163 c.p.c., n. 4 e comunque avrebbe (sul punto viene richiamato ancora quanto affermato nella sentenza di primo grado) effettuato una erronea individuazione della causa petendi e instaurato il contraddittorio su un diritto eterodeterminato, solo nella comparsa conclusionale per la prima volta prospettando una responsabilità del convenuto ai sensi degli artt. 324,2043 o 2028 c.c.. La conclusione del motivo è analoga a quella del motivo precedente.

Il motivo consiste, per lo più, in una sorta di riproposizione della sentenza di primo grado, perseguendo comunque una riforma in punto di fatto della sentenza d’appello. Se è vero, peraltro, che l’avvocato deve rispettare pienamente le norme del rito quando presta la sua attività nell’ambito di un processo, ciò non toglie la correttezza di quanto affermato dal giudice d’appello, il quale, in sostanza, ha semplicemente applicato il noto principio da mihi factum dabo tibi jus, così giungendo ad escludere alcuna incidenza della omissione in cui è incorso l’avvocato P. nella stesura dell’atto di citazione de quo; e ha ritenuto, sempre esercitando il potere di identificazione giuridica di cui gode il giudicante, che le “novità” della conclusionale del primo grado integrano soltanto una diversa qualificazione di fatti costitutivi già addotti. Anche questo motivo, pertanto, non è accoglibile.

3.3 Il terzo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 190 c.p.c.: l’avvocato P. sarebbe incorso in grave errore professionale, erroneamente non riconosciuto dal giudice d’appello per non aver tenuto conto della disciplina decadenziale del processo. Viene richiamata ancora la sentenza di primo grado per giungere ad una conclusione analoga a quelle del primo e del secondo motivo.

La sostanza di questo motivo, in effetti, è una riproposizione di argomenti già fatti valere nei due motivi precedenti, cui pertanto si rimanda a quanto all’illustrazione delle ragioni di inaccoglibilità.

3.4 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per omessa pronuncia sulle domande e sulle eccezioni degli attuali ricorrenti.

Il motivo adduce a suo fondamento due passi motivazionali: nel primo la corte territoriale afferma che “il giudizio di inidoneità dell’attività difensiva…si fonda essenzialmente sulla totale carenza di illustrazione in diritto del fondamento della pretesa attorea”; nel secondo la corte dichiara assorbito l’appello incidentale dall’accoglimento di quello principale.

Si adduce che gli attuali ricorrenti avevano eccepito al giudice di secondo grado che l’avvocato P. non aveva impugnato: il secondo profilo di colpa riscontrato dal primo giudice, cioè l’avere effettuato impugnazioni d’appello e di legittimità palesemente infondate e sostanzialmente inutili e l’avere violato l’obbligo di ottenere un valido consenso informato per tali impugnazioni; il profilo di responsabilità per omessa richiesta di risarcimento del danno nel giudizio nei confronti di ICAM; l’ulteriore profilo di responsabilità per mancata allegazione dei fatti costitutivi riguardanti la pretesa di interessi e rivalutazione. Tutto questo pertanto sarebbe passato in giudicato.

Quel che il motivo definisce secondo profilo di colpa del P. la corte territoriale nota che in realtà era stato impugnato dall’avvocato P. (motivazione della sentenza impugnata, pagina 5: “L’odierno appellante trae da tali considerazioni la conseguenza che anche nella decisione di intraprendere i successivi giudizi non potessero ravvisarsi estremi di responsabilità professionale”). E, avendo ritenuto fondato l’appello, la corte territoriale ha, implicitamente ma ineludibilmente su un piano logico, deciso anche questo.

La doglianza della pretesa violazione, poi, dell’obbligo dell’avvocato di ottenere un valido consenso dei clienti per impugnare non gode di autosufficienza: non solo non è indicato nel motivo dove in primo grado si sarebbe stata fatta valere la violazione suddetta, ma addirittura, nella premessa in fatto del ricorso (pagine 5-6), si afferma che gli attuali ricorrenti, rassicurati, diedero consenso alle impugnazioni, senza specificare per quale ragione il consenso non sarebbe stato valido; e d’altronde anche qui incide in modo assorbente il precedente profilo.

In ordine all’omessa richiesta a ICAM di risarcimento dei danni la corte territoriale si è pronunciata: a pagina 4, invero, ha dato atto che il giudice di primo grado aveva condannato l’avvocato P. a restituire agli attori le somme da loro pagate a ICAM “a titolo di quota parte dei canoni di sublocazione per il periodo dal 1991 al 1996 che avrebbero potuto essere richiesto risarcimento danni all’ICAM per il ritardo nel trasferimento dell’immobile” e, poi, a pagina 6, afferma di non ravvisare “motivi specifici di doglianza riguardo alla condanna per la perdita della possibilità di richiedere il risarcimento del danno rappresentato dal pagamento dei canoni di sublocazione anche per il periodo 1991-1992”.

Inoltre, per quanto concerne la mancata allegazione di fatti costitutivi degli accessori, il motivo indica soltanto i dati di alcuni atti, che però non sono trascritti, per cui patisce di carenza di autosufficienza.

Sempre nel quarto motivo, in riferimento all’appello incidentale che era stato proposto dagli attuali ricorrenti, viene richiamato il suo contenuto (pagina 43 del ricorso) che però è menzionato anche nella sentenza impugnata (si veda il periodo che congiunge la pagina 4 alla pagina 5 della motivazione), per cui non sussiste omessa pronuncia.

In conclusione il motivo risulta infondato.

3.5 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità della sentenza per omessa pronuncia su domande ed eccezioni degli attuali ricorrenti.

Vengono indicati (a pagina 48 del ricorso) due passi tratti dall’atto d’appello (pagine 12-13) e viene richiamata la sentenza di primo grado, per concludere ancora che, alla luce di quanto esposto ed esaminando correttamente la “documentazione di causa”, il giudice d’appello sarebbe pervenuto a risultati favorevoli ai fratelli D..

Si tratta di due passi di mere difese, che non integrano quindi specifici motivi d’appello su cui si possa configurare la violazione dell’art. 112 c.p.c.; in ogni caso, reputando l’assenza di responsabilità professionale per inadempimento dell’avvocato P., anche su tali profili giudice d’appello ha – implicitamente ma logicamente – deciso; e, comunque, riconsiderando la decisione impugnata che ha escluso appunto la responsabilità professionale dell’avvocato, si torna a perseguire – viene infatti invocata la sentenza di primo grado – una inammissibile rivalutazione del merito da parte del giudice di legittimità. Il motivo non ha dunque pregio.

3.6 Il sesto motivo è presentato con una rubrica analoga a quella del quinto, tolto il riferimento alle eccezioni. Lamentano i ricorrenti che il giudice d’appello osserva che “non sono stati svolti argomenti specifici diretti alla modificazione” della liquidazione delle spese in primo grado. Al contrario, nel loro appello i fratelli D. avrebbero chiesto la liquidazione delle spese di primo grado “nella misura da loro effettivamente sostenuta e pari a Euro 15.158,00”. Tale “motivo d’appello” sarebbe stato coltivato fino alla precisazione delle conclusioni. Pertanto il giudice d’appello avrebbe violato l’art. 112 c.p.c.

In realtà, se il “motivo d’appello” si riduceva al passo appena riportato (cioè alla richiesta di liquidazione delle spese nella misura globale indicata), non può affermarsi che la corte territoriale abbia omesso di pronunciare al riguardo, perchè ha – fondatamente ictu oculi rilevato l’assenza di argomenti specifici. Se vi fossero state ulteriori argomentazioni a sostenerlo, invece, l’attuale doglianza non sarebbe autosufficiente. Da entrambi i punti di vista pertanto il motivo non risulta accoglibile.

3.7 Il settimo motivo presenta una rubrica uguale a quella del sesto e lamenta che il giudice d’appello abbia erroneamente ritenuto che gli importi degli onorari per i due gradi di giudizio di impugnazione fossero individuabili con la detrazione cui la corte fa riferimento (a pagina 6 della motivazione, la corte territoriale afferma di accogliere l’appello parzialmente “nel senso della riduzione della somma dovuta dall’appellante previa detrazione degli importi degli onorari del giudizio di appello e di quello di Cassazione”). “Dalla documentazione degli atti di causa” – osservano i ricorrenti – sarebbe risultato che la corte avrebbe dovuto procedere diversamente.

Si tratta di un motivo che mostra di non condividere una decisione, in realtà effettuata per quanto il motivo stesso adduce, della corte territoriale, per cui non è fondato il riferimento all’art. 112 c.p.c., con conseguente inaccoglibilità.

3.8 L’ottavo motivo offre la stessa rubrica del sesto, e imputa al giudice d’appello, “nell’esecuzione dei calcoli” di alcuni passi ivi trascritti, “due errori evidenti” che illustra anche con riferimento alla sentenza di primo grado. Vale evidentemente quanto si è appena osservato a proposito del motivo precedente.

3.9 Il nono motivo, ancora con rubrica come quella del sesto, contrasta la decisione del giudice d’appello sull’idoneità dell’attività difensiva svolta dall’avvocato P., nuovamente richiamando la sentenza di primo grado e scendendo all’esame di vari dati, e aggiungendo al difetto di identificazione da parte dell’avvocato della causa petendi fatta valere altre sette condotte asseritamente omissive.

La natura del motivo, ictu oculi, non è riconducibile all’art. 112 c.p.c., bensì è fattuale, perseguendo una valutazione alternativa di merito: il motivo è quindi inammissibile.

3.10 Il decimo motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2236,1176 c.c., art. 1189 c.c., comma 2, e art. 2033 c.c.: si argomenta su quanto, in forza della sentenza del Tribunale di Roma ottenuta dall’avvocato P. a favore dei fratelli D., Pasquale D. corrispose ai figli. Ad avviso del ricorrente, il giudice d’appello non avrebbe correttamente esaminato i fatti esposti nel motivo e la documentazione di causa. Anche la natura di questo motivo è evidentemente fattuale, per cui è inammissibile.

3.11 L’undicesimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2236,1176,328,1189 e 2033 c.c.: pure questo motivo censura l’esclusione da parte del giudice d’appello di profili di responsabilità professionale dell’avvocato P., richiamando ampiamente (ricorso, pagine 86-94) “documentazione di causa”. Vale quanto appena osservato per il motivo precedente.

3.12 Il dodicesimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2236,1176,2041,2042,1189 e 2033 c.c.: il suo effettivo contenuto, peraltro, lo rende del tutto analogo al precedente.

3.13 Il tredicesimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulle domande dei ricorrenti.

Si lamenta il fatto che il giudice d’appello non ha ritenuto pretestuosi l’atto di appello e il ricorso per cassazione redatti dall’avvocato P. per i fratelli D.. Si riporta un’ampia parte della motivazione della sentenza di questa Suprema Corte su tale ricorso (nelle pagine 101-106 del ricorso) per poi commentarla allo scopo di sostenere la inidoneità dell’attività difensiva dell’avvocato, richiamando altresì la sentenza di primo grado e la comparsa di costituzione in appello degli attuali ricorrenti. Anche questo motivo, quindi, non è riconducibile all’articolo 112 c.p.c., bensì persegue una revisione in punto di merito dal giudice di legittimità, per cui è inammissibile.

3.14 il quattordicesimo motivo offre una rubrica come quella del motivo precedente. In ulteriori passi della motivazione della sentenza impugnata diretti ad escludere profili di responsabilità professionale dell’avvocato P. vengono ravvisati “vizi logici”; e comunque se ne critica il contenuto, riportando anche ampia parte della motivazione della sentenza d’appello derivata dall’impugnazione dell’avvocato P. a favore degli attuali ricorrenti, sempre per dimostrare la pretestuosità dell’appello che l’avvocato predispose per loro; allo scopo viene richiamata pure una parte della motivazione della sentenza di questa Suprema Corte ed altri atti processuali. La natura del motivo è del tutto identica a quella del motivo precedente, per cui non può che essere considerato inammissibile.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, ritenendo – in particolare per la difformità tra le sentenze di primo e secondo grado – sussistenti, in riferimento al testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, ratione temporis applicabile, giusti motivi per la compensazione delle spese processuali del grado. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

 

Rigetta il ricorso e compensando le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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