Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18384 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, (ud. 13/06/2017, dep.26/07/2017),  n. 18384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2304-2015 proposto da:

(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo liquidatore e

rappresentante legale Dott. P.V., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso lo studio

dell’avvocato PIER FILIPPO GIACOMO GIUGGIOLI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati FRANCESCO GIOVANNI OROMBELLI, LUIGI

FUMAGALLI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA REGIONALE TERRITORIALE PER L’EDILIZIA PROVINCIA GENOVA ARTE,

in persona del suo amministratore e legale rappresentante ING.

A.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

162, presso lo studio dell’avvocato LUCIA SCALONE DI MONTELAURO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO VIGOTTI

giusta procura speciale in calce controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1467/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 27/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del motivo 1 e

3, assorbito il 2, rigetto degli altri;

udito l’Avvocato LUIGI FUMAGALLI;

udito l’Avvocato FRANCO VIGOTTI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 8 ottobre 1970 una frana a Genova travolse una parte di un complesso di edilizia popolare detto “(OMISSIS)” e una zona a valle di questo, nella quale si trovava un cantiere di (OMISSIS) Srl (d’ora in avanti (OMISSIS)), che si stava costruendo sei edifici. Il (OMISSIS) il Tribunale di Genova dichiarò il fallimento di tale società; e nel 1975 il fallimento cedette il suddetto complesso edile a Idrocarburi Nazionali S.p.A. Venne a svolgersi anche un giudizio relativo all’accertamento della responsabilità per la frana e alla conseguente condanna al risarcimento del danno tra (OMISSIS) e il suo appaltatore dei lavori del cantiere, Cooperativa Matteotti, da un lato e dall’altro A.R.T.E., successore di I.A.C.P., nel quale con sentenza del 6 marzo 1992 la Corte d’appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Genova, dichiarò responsabile per la frana al 90% A.R.T.E. e al 10% (OMISSIS). Tale sentenza divenne definitiva perchè il ricorso per cassazione proposto da A.R.T.E., venne respinto da questa Suprema Corte con sentenza del 18 novembre 1994.

Il 9 gennaio 1997 il fallimento (OMISSIS) fu chiuso; la società, ritornata quindi in bonis, citò con atto notificato il 3 maggio 1999 A.R.T.E., dinanzi al Tribunale di Genova per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni derivati dalla frana. La convenuta si costituì resistendo. Con sentenza del 9 febbraio 2007 il Tribunale rigettò ogni domanda compensando le spese.

Avendo (OMISSIS) proposto appello ed essendosi costituita resistendo controparte, la Corte d’appello di Genova, con sentenza del 18-27 dicembre 2013, respinse il gravame.

2. Ha presentato ricorso (OMISSIS) sulla base di nove motivi.

2.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione dell’art. 2909 c.c. e addebito all’attuale ricorrente della responsabilità per i danni.

Nella sentenza impugnata il giudice d’appello afferma, prima di esaminare le voci di danno di cui (OMISSIS) chiede il risarcimento, che i danni sarebbero stati in buona misura evitati se (OMISSIS) avesse operato con l’ordinaria diligenza prima e dopo la frana: il c.t.u. evidenzia infatti che, se (OMISSIS) avesse diversamente sbancato la roccia, con o senza il (OMISSIS), la frana non vi sarebbe stata. Quindi la corte di merito esclude “in gran parte” la risarcibilità del danno perchè derivato dal comportamento colposo di (OMISSIS). Ciò viene censurato perchè nel giudicato di condanna generica sarebbe già stata esclusa la responsabilità per sbancamento, fondando il 10% della responsabilità di (OMISSIS) per causazione della frana nel non avere dato peso a segni di “allarme”.

2.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del’art. 180 c.p.c. nel testo vigente quando era in corso il giudizio di primo grado, e inammissibilità della proposizione tardiva di eccezione.

La corte territoriale si riferisce all’art. 1227 c.c., comma 2, eccezione accolta dai giudici di merito ma proposta per la prima volta da A.R.T.E. nella prima conclusionale di primo grado: oltre, quindi, il termine di decadenza, trattandosi di eccezione stricto sensu.

2.3 Il terzo motivo lamenta, violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2: ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: non sarebbe norma applicabile alla fattispecie in esame, perchè concerne l’aggravamento ulteriore della iniziale lesione, mentre, secondo la corte territoriale, la condotta di (OMISSIS) – in particolare, lo sbancamento della roccia – riguarda la fase genetica del danno e non un’attività di aggravamento dello stesso.

2.4 Il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su domanda e su motivo d’appello e mancata rinnovazione di consulenza tecnica d’ufficio.

La violazione del giudicato deriverebbe dall’essersi adeguato il giudice d’appello, come il primo giudice, in modo acritico alla consulenza disposta in primo grado, di cui l’attuale ricorrente aveva chiesto – perchè sarebbe fondata su rilievi incondivisibili e inattendibili – rinnovazione in atto d’appello, senza che su ciò la corte si sia poi pronunciata.

2.5 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. nonchè dei “principi in tema di quantificazione del danno” con riferimento alla distinzione tra danno emergente e lucro cessante; ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, denuncia altresì violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia su domanda e motivo d’appello.

Le domande dell’attuale ricorrente sarebbero state respinte perchè producenti duplicazioni delle voci di danno: in tal modo, però, il giudice d’appello avrebbe obliterato la distinzione tra danno emergente e lucro cessante. (OMISSIS) non avrebbe effettuato alcuna duplicazione, bensì chiesto soltanto tre voci di danno: in primo luogo, il danno da perdita dell’immobile per il crollo; in secondo luogo, il danno da perdita dell’utile che poteva conseguire dal complesso edilizio se l’avesse completato; in terzo luogo, il danno consistito dei costi del fallimento.

Il motivo analizza il contenuto di tali voci, e adduce poi che la corte territoriale avrebbe trascurato, ex art. 112 c.p.c., le seguenti doglianze d’appello:

a) in ordine alla perdita di valore dell’immobile, l’attuale ricorrente avrebbe addotto di chiedere non il risarcimento di un lucro cessante, bensì una reintegrazione patrimoniale per cui il prezzo pagato dall’acquirente del complesso edilizio, Idrocarburi Nazionali S.p.A., sarebbe stato un solo elemento al fine di determinare il valore degli immobili dopo la frana, potendosi invece calcolare il danno con altro metodo;

b) in ordine ai costi di ripristino l’atto d’appello avrebbe illustrato che non furono sostenuti da I.A.C.P. – come aveva invece ritenuto il Tribunale -, e al riguardo il giudice d’appello non avrebbe dato risposta, limitandosi a seguire il primo giudice;

c) in ordine al lucro cessante per perdita della possibilità di vendita degli immobili completati, l’attuale ricorrente nell’atto d’appello avrebbe dimostrato che la suddetta possibilità non era una “mera speranza”; ma, come nella doglianza sub b), anche qui il giudice d’appello si sarebbe limitato a seguire il primo giudice, senza effettivamente pronunciarsi.

2.6 Il sesto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un punto decisivo della controversia; lamenta altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia sui motivi d’appello, in riferimento ai motivi sulla decadenza delle licenze edilizie.

In un motivo d’appello non esaminato dalla corte territoriale, l’attuale ricorrente avrebbe evidenziato che la perdita delle licenze edilizie non sarebbe derivata dalla revoca delle stesse in forza della legge Ponte, bensì da una variante del PRG di Genova avvenuta dopo la frana.

2.7 n settimo motivo viene rubricato come il sesto, aggiungendo riferimento al rilievo della svalutazione monetaria tra il 1970 e il 1975.

Il giudice d’appello, anche per raffrontare il valore degli immobili e il prezzo versato dalla Idrocarburi Nazionali S.p.A., avrebbe dovuto attualizzare tutti i valori alla data dell’8 ottobre 1970, quando si verificò la frana. Ad avviso della ricorrente, il giudice d’appello su questo tace. Sempre ad avviso della ricorrente, probabilmente la corte di merito avrebbe frainteso le deduzioni al riguardo addotte da (OMISSIS) laddove (a pagina 15 della motivazione della sentenza) prende posizione invece sulle domande per il riconoscimento di rivalutazione ed interessi.

2.8 L’ottavo motivo espone anch’esso la rubrica del sesto, aggiungendo il riferimento ai motivi determinati dal fallimento di (OMISSIS) e l’effetto del sequestro conservativo ottenuto da A.R.T.E..

(OMISSIS) aveva chiesto il risarcimento del danno consistente nei costi del fallimento, domanda che il Tribunale aveva rigettato per assenza di nesso causale tra la frana e il fallimento, essendo già, quando quest’ultima accadde, la società in stato di insolvenza, e già non potendo portare a termine l’operazione immobiliare; ulteriore motivo di rigetto da parte del primo giudice era stata una compensazione dei costi del fallimento con la privazione dei creditori di interessi e rivalutazione. A ciò avrebbe aderito il giudice di secondo grado, benchè nell’atto di appello (OMISSIS) avesse illustrato che la documentazione in atti dimostrerebbe che la società non si era “lasciata fallire” e che il fallimento era derivato dalle “improvvide iniziative giudiziarie” di A.R.T.E.. E la corte territoriale avrebbe omesso di pronunciare sulla sussistenza di un nesso causale tra il sequestro conservativo da quest’ultima ottenuto e il fallimento dell’attuale ricorrente.

2.9. Il nono motivo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2909 c.c.; si riferisce a motivi determinanti del fallimento di (OMISSIS). Sarebbe stato violato il giudicato di cui alla sentenza della Corte d’appello di Genova pronunciata nel giudizio sulla condanna generica, la quale avrebbe negato che una concomitante rilevanza causale sussistesse in difetti costruttivi del muro elevato da (OMISSIS), difetti che sarebbero invece mancati. Al contrario, come dimostrazione della incapacità dell’attuale ricorrente di portare a termine l’operazione immobiliare, la corte territoriale avrebbe richiamato la consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di questo processo, per cui il muro sarebbe stato erroneamente progettato per evitare costi insopportabili da (OMISSIS).

Si è difesa A.R.T.E. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato.

3.1 Deve anzitutto darsi atto che la ricorrente premette che i propri nove motivi sono suddivisi in due gruppi: il primo gruppo, ovvero i primi quattro motivi, concerne il rilievo della corte territoriale di un asserito concorso dell’attuale ricorrente nella causazione del danno di cui chiede il risarcimento; il secondo gruppo, cioè i motivi residui, riguarda l’esame della corte territoriale sulle pretese risarcitorie di (OMISSIS). Ad avviso di quest’ultima, l’illegittimo rilievo – su cui verte il primo gruppo dei motivi – del giudice d’appello, in violazione del giudicato, sulla causazione del danno, “di per sè forse irrilevante” qualora sia “considerato isolatamente”, riveste invece un ruolo determinante nelle complessive argomentazioni su cui si fonda l’impugnata sentenza. Pertanto, sempre ad avviso dell’attuale ricorrente, le violazioni censurate con il primo gruppo dei motivi “determinano le violazioni oggetto del secondo gruppo”.

3.2 Per meglio comprendere, allora, la configurazione del ricorso e, in ultima analisi, il significato globale della sentenza impugnata che la ricorrente ha così prospettato è il caso di prendere le mosse da una sintesi della motivazione della sentenza della corte territoriale.

Dopo avere ricostruito con attento dettaglio lo svolgimento del processo, includendo anche la vicenda del processo da cui era sortita la condanna generica di A.R.T.E., per il 90% dei danni derivati dalla frana e di (OMISSIS) per il 10%, più sopra già menzionata, la corte territoriale avvia la parte motivazionale in senso stretto della sua pronuncia, cioè “Motivi della decisione”, immediatamente dopo aver ancora richiamato il contenuto di tale condanna generica, con le seguenti osservazioni: “Deve infine osservarsi, prima di passare all’esame delle singole voci di danno rivendicate dall’appellante, che i danni che (OMISSIS) ha patito avrebbero potuto, in buona misura, essere evitati se essa avesse adoperato l’ordinaria diligenza prima e l’evento franoso. Infatti, il c.t.u. ha evidenziato che se (OMISSIS) non avesse operato gli sbancamenti con il taglio continuo della roccia della collina, “con o senza la presenza del (OMISSIS), la frana non si sarebbe verificata” e che “il progettista avrebbe dovuto prevedere ulteriori poderosi interventi prima di iniziare la costruzione degli edifici… Ma era in grado, il progettista, di contemperare la dovuta prudenza… con l’assoluta necessità di limitare le spese che l’opprimeva in veste di socio al 50% dell’operazione immobiliare?” Emerge dunque dagli atti che i danni provocati dalla frana sono almeno in gran parte non risarcibili in virtù del disposto dell’art. 1227 c.c., comma 2″ (motivazione, pagina 10).

Se è vero, allora (come, si è visto, segnala la ricorrente al terzo motivo), che il riferimento finale all’art. 1227 c.c., comma 2, concerne una norma regolante l’ipotesi della non debenza del risarcimento per i danni evitabili da chi li subisce con l’ordinaria diligenza (cfr. Cass. sez. 2, 5 dicembre 2013 n. 27298; Cass. sez. 2, 28 novembre 2013 n. 26639; Cass. sez. 3, 25 settembre 2009 n. 20684; Cass. sez. 3, 5 luglio 2007 n. 15231; Cass. sez. 3, 30 marzo 2005 n. 46735; Cass. sez. 3, 24 gennaio 2002 n. 842; Cass. sez. 3, 10 ottobre 1997 n. 9874; Cass. sez. 3, 9 aprile 1996 n. 3250; Cass. sez. 1, 20 novembre 1991 n. 12439) – e dunque un’ipotesi afferente alla condotta negligente del creditore dopo che l’evento dannoso è già stato causato dalla condotta del debitore -, è altrettanto vero, peraltro, che questo riferimento, appunto, è l’ultimo periodo di una descrizione complessiva che, ictu oculi, investe proprio la causazione dell’evento dannoso. Infatti, sulla base degli esiti di una c.t.u. effettuata nel primo grado del giudizio in questione (non è dato comprendere se è la prima o la seconda c.t.u. disposta dal Tribunale: cfr. motivazione, pagina 8), questa prima parte della motivazione in senso stretto della sentenza impugnata attiene proprio alla causazione della frana: e lascia chiaramente intendere che tale causazione è attribuibile alle modalità di esecuzione dei lavori nel cantiere di (OMISSIS), perchè “se (OMISSIS) non avesse operato gli sbancamenti con il taglio continuo della roccia” sarebbe stata proprio la frana a non verificarsi (pienamente condivide, si è visto, il giudice d’appello la frase che cita del c.t.u.: senza sbancamenti in tal modo effettuati, “con o senza la presenza del (OMISSIS), la frana non si sarebbe verificata”). E ancora, sempre a sottolineare che la responsabilità della frana è di (OMISSIS), la corte territoriale rimarca che quest’ultima ha errato anche nella progettazione “prima di iniziare la costruzione degli edifici”, per contenere il suoi costi nell’operazione edificatoria.

Dunque, nonostante ponga alla fine, per così dire, come “sigillo” legittimante una norma che regola le attività del creditore posteriori all’evento dannoso, la corte territoriale ha espletato un accertamento non attinente alle attività posteriori, bensì alle attività anteriori di (OMISSIS), ovvero alle attività che, sulla scia del c.t.u., afferma apertis verbis essere state quelle che hanno causato la frana, perchè “la frana non si sarebbe verificata” senza di esse; e del tutto irrilevante per la causazione della frana, rimarca altresì la corte territoriale, sarebbe stata “la presenza del (OMISSIS)”: vale a dire, nessuna causazione della frana è attribuibile ad A.R.T.E., perchè tutto proviene dalla progettazione di (OMISSIS) e dalla sua esecuzione del progetto nel cantiere edilizio.

3.3 Dopo questa ricostruzione sulla causazione della frana, allora, la corte territoriale affronta, nelle pagine successive, “le tre voci di danno di cui l’appellante chiede il risarcimento” consistenti, però, secondo l’esposizione della corte, in quattro riferimenti: “1) ai costi sostenuti per i lavori successivi alla frana; 2) alla perdita di valore dei lotti D ed F a causa della loro sopravvenuta inedificabilità e alla svalutazione patrimoniale cagionata dal prezzo ottenuto dalla vendita dei lotti nella procedura fallimentare; 3) alla perdita dell’utile che si sarebbe ottenuto attraverso la commercializzazione degli immobili; 4) ai costi della procedura fallimentare”. E su tutte queste – in realtà quattro – voci di danno la corte territoriale argomenta (motivazione, pagina 11-15) per concludere, in sintesi, che neppure un minimo danno è derivato a (OMISSIS) dalla frana che è caduta 1’8 ottobre 1970 sul suo cantiere dove stava costruendo un complesso edilizio di sei unità. Senza, pertanto, dover scendere a valutare se i danni richiesti siano o meno riconducibili all’art. 1227 c.c., comma 2, la corte territoriale conclude che, “nulla venendo riconosciuto a (OMISSIS)” (così in motivazione, pagina 15, anche se a proposito degli accessori), l’appello deve essere respinto, con condanna alle spese di lite.

3.4 A questo punto, allora, in un’ottica logica la sentenza può essere adeguatamente vagliata in rapporto ai due gruppi di motivi proposti in ricorso.

Apparentemente, invero, la corte territoriale si è avvalsa, per respingere il gravame, di due rationes decidendi.

La prima è quella relativa alla causazione della frana: la corte, come si è visto, pur partendo e concludendo con il riferimento all’art. 1227 c.c., comma 2, (in principio afferma che “i danni che (OMISSIS) ha patito avrebbero potuto, in buona misura, essere evitati” – si noti che questo inciso contraddice quel che poi afferma la corte territoriale sull’assenza di alcun danno patito da (OMISSIS) -; e poi conclude con l’espresso riferimento all’art. 1227 c.c., comma 2, ancora per definire i danni “in gran parte non risarcibili”), a pagina 10 della sua motivazione effettua un vero e proprio accertamento sulla causazione dell’evento dannoso, nel senso che questa è del tutto attribuibile alla attuale ricorrente, sia per come ha progettato, sia per come ha eseguito i lavori: senza (OMISSIS), “con o senza la presenza del (OMISSIS) la frana non si sarebbe verificata”. E secondo la corte ciò è oggetto di un accertamento che essa avrebbe dovuto effettuare: questa parte della motivazione viene infatti introdotta con il verbo “deve” (“Deve… osservarsi, prima di passare all’esame delle singole voci di danno ecc.”). Quindi, non è un obiter dictum, bensì rientra, secondo l’ottica del giudice d’appello, in quanto gli è stato devoluto: è un componente imprescindibile della regiudicanda.

La seconda ratio decidendi concernerebbe, invece, le quattro voci di danno: e si tenga in conto che l'”accertamento” della corte sulle suddette quattro voci perviene alla assoluta inesistenza di danni a (OMISSIS) come conseguenza della frana dell’8 ottobre 1970.

Partendo da quest’ultimo profilo, allora, non si può non rilevare che, globalmente considerato nel suo drastico risultato, si afferma una verità giuridica completamente contrastante tanto con una verità logica quanto con il senso comune. Secondo la corte, infatti, una frana che travolge d’improvviso un cantiere edilizio, su cui si stavano costruendo da parte di una società privata “sei edifici per complessivi 1000 vani circa, da destinare ad abitazioni civili”, lavori già iniziati dal 1968 (questo espone la corte territoriale nello “Svolgimento del processo” come addotto nella citazione, e appare pacifico) non provoca nessun danno a tale società, neppure se, guarda caso, dopo tredici mesi questa viene dichiarata fallita, e il fallimento poi vende tutto il complesso ad un’altra società. Sul fatto che la società che stava costruendo sia andata in fallimento a così prossima distanza temporale, secondo la corte la frana non avrebbe inciso per nulla; e dunque, la dichiarazione e poi le conseguenze del fallimento sarebbero tutte imputabili alla società stessa, già in irrecuperabile insolvenza al momento della frana, la quale, quindi, non ha neppure aggravato la situazione di chi stava costruendo il complesso immobiliare. Eppure, se il complesso era in costruzione da due anni, il notorio insegna che molto probabilmente almeno una parte avrebbe potuto essere messa ormai in vendita (e ciò infatti era stato addotto nella citazione, così come sintetizzata dalla corte territoriale: “al momento del crollo era già stata iniziata la vendita dell’edificio E, che era ultimato al 98%, ed era previsto che nell’arco di tre mesi sarebbe stato messo sul mercato anche l’edificio C, che era in quel momento realizzato per il 65%”, per cui (OMISSIS) sarebbe stata “in procinto di percepire un primo ritorno dell’investimento che aveva effettuato, da utilizzare per saldare i debiti che aveva contratto con i fornitori; secondo una stima prudenziale dalla vendita dell’edificio E si sarebbero ricavati circa 340 milioni di lire e da quella dell’edificio C circa 270 milioni di Lire”: motivazione, pagina 5). Però, secondo la corte territoriale, quanto poteva guadagnarsi la società (come impresa, nell’ottica della corte, un malato terminale) sarebbe stato guadagnato con la vendita fallimentare a Idrocarburi Nazionali S.p.A. (anche se sempre il notorio insegna ma la corte non lo considera – che quello che viene acquistato in un fallimento comporta di solito un costo alquanto vantaggioso per l’acquirente, poichè l’interesse della procedura concorsuale è esclusivamente il pagamento dei creditori, e non il profitto di un’impresa) perchè il resto sarebbe stato “soltanto una speranza”, mancando “concreti elementi che possano far ritenere che effettivamente (OMISSIS) avrebbe realizzato un certo importo dalla vendita degli immobili in questione” (motivazione, pagina 11). Ad avviso della corte, dunque, un’impresa edilizia nel 1970 – quando, sempre secondo il notorio, l’Italia si trovava in una fase economica di crescita complessiva ed evidente – nel mettere in vendita dei nuovi complessi immobiliari in una città avrebbe avuto “soltanto una speranza” di ricavarne un profitto che ben si distaccasse, in sostanza, dal ripianamento del costo della costruzione.

3.5 Non occorre analizzare punto per punto le argomentazioni che la corte territoriale ha esposto in questa parte della sua motivazione: quel che si vuole porre in luce non è d’altronde una valutazione alternativa di fatto, bensì la constatazione che il complessivo risultato dell’ “accertamento” della corte territoriale attuato in questa “ratio decidendi” si scontra a tale livello con la logica e con il notorio da imporre di qualificarla una ratio decidendi fittizia. E ciò perchè – ben si comprende, ora – non è infondata la premessa ai suoi motivi di ricorso che ha offerto la ricorrente: il primo gruppo di motivi, “considerato isolatamente”, sarebbe “di per se forse irrilevante”, ma in realtà sono le violazioni censurate con il primo gruppo a incidere su quelle del secondo. A ben guardare, il giudice d’appello ha ritenuto di non condividere quanto era stato già accertato con il giudicato formatosi all’esito del giudizio sulla condanna generica: e cioè che la causazione della frana, per il 90%, era stata di responsabilità dell’istituto di edilizia popolare. Ha ritenuto allora di “dovere” correggere il suddetto accertamento, e ha esposto quanto a suo avviso sarebbe accaduto: causazione della frana tutta ascrivibile a (OMISSIS). Il giudice d’appello, peraltro, in tal modo – come denunciano in sostanza il primo e il quarto motivo del ricorso – ha violato il giudicato. Si è visto, infatti, che il contenuto della vera ratio decidendi – quella espressa a pagina 10 della motivazione – non è rapportabile all’art. 1227 c.c., comma 2, bensì proprio, si ripete ancora, all’accertamento della causazione dell’evento dannoso, che non è discusso essere stato l’oggetto del giudizio sfociato in giudicato ricordato pure dalla stessa sentenza impugnata (motivazione, pagina 7). Per schermare che questo è il reale fondamento del rigetto dell’appello è stata quindi introdotta, magari inconsapevolemente, una ratio decidendi apparente, perchè fondata su argomentazioni che effettuano una reductio ad absurdum, ovvero negano che la frana abbia avuto alcun effetto pregiudizievole sulla società che stava realizzando sei edifici di 1000 vani in un cantiere che dalla frana è stato travolto.

In conclusione, dato atto che la decisione della sentenza impugnata oggettivamente trova il suo reale fondamento nella violazione del giudicato, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.

PQM

 

In accoglimento del ricorso cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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