Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18382 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/09/2020, (ud. 28/05/2019, dep. 04/09/2020), n.18382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. RG 24497/2013, proposto da:

Azeta Costruzioni s.r.l. in liquidazione, rappresentata e difeso

dall’avv. Accordino Mario del foro di Messina ed elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’avv. Martino Gianluigi, via

Lungotevere Flaminio, 22 – Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 213/27/12 emessa inter partes il

14/3/2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez.

stacc. di Messina:

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con avviso di accertamento n. 55/’97 l’Agenzia delle Entrate di Messina contestò ad Azeta Costruzioni s.r.l. maggiori redditi ai fini IRPEG e ILOR conseguenti al disconoscimento di agevolazioni territoriali.

L’avviso, notificato sia alla società che personalmente al suo rappresentante legale, fu impugnato con due distinti ma identici ricorsi che dettero luogo a due separati procedimenti, mai riuniti, iscritti rispettivamente ai NN. R.G. 715/’98 e 873/’98.

Per entrambi i ricorsi l’Agenzia delle Entrate si costituì con identiche difese.

La Commissione Tributaria Provinciale di Messina, con sentenza 53/3/2000 del 1 febbraio 2000 dichiarò il primo ricorso inammissibile in quanto non sottoscritto dal difensore nominato dalla ricorrente.

La stessa Commissione, con sentenza 295/12/05, del 15 giugno 2005, accolse il secondo ricorso e annullò l’avviso di accertamento.

Su appello dell’Agenzia delle Entrate la Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza qui impugnata, ha riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, rilevando in essa il vizio di ultrapetizione, avendo deciso sulla base di un fatto che non era stato addotto come motivo d’impugnazione; e ritenendola “conseguenza” della violazione del principio “ne bis in idem” in quanto non aveva tenuto conto del fatto che sulla stessa questione era stata emessa altra sentenza – divenuta irrevocabile – che aveva dichiarato inammissibile il ricorso.

Azeta costruzioni s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore A.D., ricorre per due motivi.

Con il primo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18, 29 e 60, art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., per avere detta sentenza ritenuto precluso dal principio ne bis in idem la proposizione del ricorso di primo grado avverso l’avviso di accertamento n. 55/97 dell’Agenzia delle Entrate di Messina.

Con il secondo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, art. 324 c.p.c., e dell’art. 100 c.p.c.; ex art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 4 c.p.c., la mancata rilevazione del “giudicato interno formatosi sulla pronuncia di primo grado in favore della società ricorrente e per non aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio per violazione dell’art. 112 c.p.c. per carenza di interesse”, perchè la sentenza non aveva tenuto conto dell’accertamento delle condizioni previste dalla legge per la fruizione delle agevolazioni fiscali negate dall’Ufficio, eseguito dalla Commissione Tributaria Provinciale, senza che sul punto l’Ufficio avesse proposto appello.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 28 maggio 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Il primo motivo è infondato.

Va premesso che l’omessa riunione dei giudizi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29 del e dall’art. 273 c.p.c., non è sanzionata processualmente, avendo il provvedimento di riunione natura ordinatoria (Cass. n. 12989/10; Cass. n. 24496/14) e potendo la riunione avvenire anche nei successivi gradi di giudizio.

Nella fattispecie in esame tuttavia, non essendo stati i due ricorsi di identico contenuto avverso il medesimo avviso di accertamento oggetto di riunione, ne è derivato che il primo è stato dichiarato inammissibile dalla citata sentenza della CTP di Messina, 53/3/2000 del 1 febbraio 2000, per difetto di sottoscrizione del difensore della ricorrente, sentenza pacificamente passata in giudicato per difetto d’impugnazione nei termini.

Il secondo ricorso del pari proposto dinanzi alla stessa CTP di Messina è stato invece accolto nel merito, venendo quindi detta pronuncia totalmente riformata dalla sentenza della CTR oggetto d’impugnazione in questa sede.

Parte ricorrente fonda la propria impugnazione sulla considerazione che il giudicato basato su questioni di rito non può assumere rilievo come giudicato sostanziale.

Tale considerazione non coglie, peraltro, che, in relazione alla natura impugnatoria, quantunque nella forma d’impugnazione – merito, del processo tributario, l’effetto del giudicato formale, quand’anche conseguito a ragioni di rito, comporta la definitività dell’atto impugnato, che non può essere rimessa in discussione dalla successiva impugnazione del tutto identica, ciò comportando che resta preclusa la proposizione della stessa domanda davanti allo stesso giudice (cfr., in generale, con riferimento al processo civile, Cass. n. 15383/14).

Nè giova il riferimento che parte ricorrente fa a Cass. n. 7303/12, che attiene a lite tributaria di rimborso, la cui natura, di là dal meccanismo di formazione del silenzio – rifiuto e della relativa impugnazione, è propriamente quella di giudizio di accertamento negativo della non debenza di quanto versato, in cui il contribuente riveste la natura di attore in senso sostanziale.

La sentenza impugnata, rilevando la preclusione della riproposizione della medesima questione in ragione della definitività del provvedimento impugnato conseguente al giudicato formatosi sulla prima impugnazione, ha fatto quindi corretta applicazione dell’anzidetto principio.

Ugualmente va rigettato il secondo motivo.

Richiamato quanto innanzi osservato in relazione al primo motivo, va ulteriormente osservato che nell’ambito del processo tributario il thema decidendum resta delimitato dalla pretesa dell’Amministrazione così come formulata nell’atto impositivo e dei correlativi motivi d’impugnazione.

Il motivo per un verso difetta di specificità, non trascrivendo il contenuto del ricorso di primo grado, neppure allegato tra gli altri atti posti a fondamento del ricorso per cassazione, non consentendo dunque di verificare se, ancor prima che la sussistenza del preteso giudicato interno che avrebbe reso carente d’interesse l’impugnazione proposta dall’Ufficio limitatamente al difetto di ultrapetizione, fosse invece divenuto definitivo per carenza d’impugnazione, come dedotto invece dall’Ufficio, l’accertamento sulla carenza del requisito oggettivo per la fruizione dell’agevolazione richiesta (sui presupposti e condizioni per l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito laddove sia denunciato un error in procedendo, cfr. Cass. n. 19410/15; Cass. n. 11738/16); per altro è infondato, essendo incontroverso che la ricorrente non si era doluta, come motivo di nullità dell’atto, dell’omessa allegazione all’avviso di accertamento del provvedimento di archiviazione dell’UTE, posto invece dalla sentenza della CTP di Messina n. 295/12/2005 alla base dell’accoglimento del ricorso.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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