Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18380 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/09/2020, (ud. 28/05/2019, dep. 04/09/2020), n.18380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. RG 11596/2013, proposto da:

F.D., rappresentato e difeso dagli avv. Ferroni Sandro del

Foro di Pistoia e Rizzo Carla, presso il cui studio in Roma, via

Anapo, 20, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 101/09/12 emessa inter partes il

30 ottobre 2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della

Toscana.

 

Fatto

CONSIDERATO

Che:

F.D. – titolare di una tranceria – ha impugnato per due motivi la sentenza n. 101/09/12 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana che, in conformità a quella di primo grado, ha validato tre avvisi di accertamento, con i quali l’Ufficio di Pistoia ha liquidato maggiori imposte i.r.pe.f., i.r.a.p. e i.v.a. per gli anni dal 2005 al 2007. Le rettifiche erano state effettuate sulla base di controlli effettuati dalla Guardia di Finanza nei confronti della ditta individuale Tomaificio Valfranc di A.Z., che risultava avere emesso fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti anche nei confronti di F.D..

Con il primo motivo il ricorrente deduce “(ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 2727 c.c.”, per aver ritenuto “fatti noti”, dai quali sono stati dedotti maggiori redditi contestati, sia i documenti extracontabili dello Z. sia la confessione dello stesso.

Con il secondo motivo deduce “(ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.; nonchè “(ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) nullità della sentenza o del procedimento; nonchè “(ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

L’Agenzia delle Entrate resiste sostenendo, quanto al primo motivo, l’esistenza della minuziosa documentazione extracontabile effettuata dallo Z. e le specifiche spiegazioni date dallo stesso anche riguardo alle modalità di restituzione parziale degli importi degli assegni ricevuti; l’inidoneità dell’azienda dello Z. a rendere la somma delle operazioni attive formalmente documentate; la menzione, nel rapporto della Guardia di Finanza e negli accertamenti, della confessione resa dallo stesso; e deducendo, quando al secondo motivo, la sua inammissibilità, in quanto sussumerebbe un punto della sentenza – costituito dal valore indiziario attribuito agli elementi sopradetti – in una triplice violazione di legge sostanziale, processuale e ad vizio motivazionale.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 28 maggio 2019, ai sensi degli artt. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

RITENUTO

Che:

La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto giustificate le rettifiche operate dall’Ufficio a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 in base ai documenti extracontabili dello Z., che li aveva compiutamente spiegati alla Guardia di Finanza, e alle compiute ammissioni rese dallo stesso agli agenti accertatori.

Il ricorrente con il primo motivo non ritiene questi fatti “noti”, a norma dell’art. 2729 c.c., i primi perchè oggetto di mere valutazioni e interpretazioni da parte dei finanzieri; la seconda perchè di essa non ci sarebbe stata traccia di verbalizzazione.

Il motivo è inammissibile e, in ogni caso, infondato.

Premesso che, pur sub specie del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto parte ricorrente tende a sollecitare, in realtà, una diversa valutazione del materiale istruttorio rispetto a quella del giudice di merito, ciò che è inibito in questa sede, va osservato che il fatto “noto”, dal quale è scaturito l’accertamento, è costituito, nella sentenza impugnata, dall’esistenza – che il ricorrente non contesta – di una contabilità riservata (“agende e prospetti manoscritti”) che, secondo quanto comunemente accade, non è stata di immediata lettura e ha richiesto un certo sforzo interpretativo. I brani del p.v. di constatazione trascritti nel ricorso riportano la valutazione prudentemente espressa dei verbalizzanti, non già in ordine alla natura riservata (o, in gergo, “in nero”) di quei documenti contabili, ma alla chiave di lettura che ha poi trovato conferma nelle dichiarazioni di Z., che, con specifico riferimento al Fedi, aveva annotato le cifre realmente incassate e l’importo eccedente l’iva che poi era stata restituita.

Riguardo a dette ammissioni, ad esse si fa riferimento nel p.v. di constatazione (il cui tenore risulta testualmente a pag. 10 del ricorso) e le stesse – come conviene lo stesso ricorrente – costituiscono un indizio, in questo caso serio (trattandosi di dichiarazione contra se) e convergente, sul piano inferenziale, con la contabilità riservata rinvenuta dai verbalizzanti.

Così motivata, la sentenza si pone nel solco della giurisprudenza secondo cui sia le risultanze tratte da altri procedimenti (Cass., sez. un. 9040 del 2008; Cass., n. 840 del 2015), sia l’esistenza di una contabilità occulta (Cass. n. 27622 del 2018; Cass. n. 12680 del 2018) costituiscono indizi che ben possono essere valorizzati dal giudice, tanto più – come nel caso in esame – se valutati complessivamente (Cass. n. 23201 del 2005; Cass. n. 22801 del 2014).

Analoga considerazione vale riguardo al fatto che il ricorrente sia stato assolto in sede penale con la formula “perchè il fatto non sussiste”. Correttamente la sentenza impugnata richiama i “diversi presupposti” dei due giudizi, facendo implicito riferimento sia ai diversi criteri di valutazione delle prove, segnatamente di quelle indiziarie (art. 654 c.p.p.: Cass., n. 19786/2011; Cass., n. 8129/2012; Cass., n. 16262/2017), sia al fatto che la rilevanza penale della condotta può essere subordinata a soglie di punibilità che non incidono sull’accertamento tributario.

Riguardo infine alla prove testimoniali emerse dal dibattimento penale, esse – che possono essere introdotte nel processo tributario quali documenti e che vanno valutate alla stregua di indizi (Cass., n. 21153 del 2015; Cass., n. 6616 del 2018) – attengono ad ulteriore elemento di prova a base dell’accertamento e costituito dall’inidoneità dell’azienda dello Z. (priva di personale dipendente, senza giacenze di magazzino e sprovvista di documenti rappresentativi di acquisto di merci) a produrre il volume d’affari formalmente rappresentato dalle fatture emesse. Ma questo elemento di prova non è stato utilizzato dalla CTR, che non ha escluso – quantunque avanzando seri dubbi l’effettiva operatività in toto dell’azienda, affermando, di contro, che “ciò non risulta essere avvenuto nei confronti della ditta del ricorrente”, in ragione di quanto emerso dalla contabilità riservata e dalle ammissioni di Z..

Il secondo motivo del ricorso è per la parte che riguarda la violazione dell’art. 2729 c.c. e per la parte che riguarda la nullità della sentenza la motivazione della quale non consentirebbe di seguire l’iter logico attraverso cui il giudice sia pervenuto alla decisione, assorbito dalle considerazioni sopra esposte.

Per la parte riguardante la mancata valutazione delle emergenze del processo penale che ha portato all’assoluzione del ricorrente, alla prova dell’effettività dell’azienda di Z. e alla sopravvalutazione delle dichiarazioni accusatorie di quest’ultimo nei riguardi del ricorrente, si tratta di questioni in parte assorbite dalle su estese considerazioni, in parte inammissibili alla luce della nuova disciplina dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile anche alle sentenze emesse dalle CTR (Cass., sez. un. 8053 del 2014).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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