Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18379 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, (ud. 26/04/2017, dep.26/07/2017),  n. 18379

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8807/2015 proposto da:

PROVINCIA REGIONALE MESSINA, in persona del suo Presidente e legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUNGOTEVERE DELLA VITTORIA N. 10, presso lo studio dell’avvocato

CATERINA SIDOTI, rappresentata e difesa dall’avvocato VITO ZUMBO

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.B.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 98/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/04/2017 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 12/2/2014, la Corte d’appello di Messina ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato la Provincia Regionale di Messina al risarcimento, in favore di O.B. e O.V. (quest’ultimo in qualità di procuratore generale di O.F.), dei danni da questi ultimi subiti a seguito dello smottamento franoso di una strada provinciale custodita e gestita dall’ente convenuto che, riversatasi sul sottostante fabbricato degli attori, ne aveva provocato il grave danneggiamento;

che, inoltre, in accoglimento dell’appello incidentale delle originarie attrici, e in parziale riforma della sentenza di primo grado, la corte territoriale ha altresì condannato la Provincia Regionale di Messina all’esecuzione delle opere necessarie alla stabilizzazione dell’area;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui ha ricondotto la responsabilità dell’amministrazione convenuta al paradigma di cui all’art. 2051 c.c., senza incorrere in alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, confermando, nel resto – oltre all’irritualità della domanda di garanzia avanzata nei confronti del Comune di Galati Mamertino – la sussistenza dei presupposti argomentativi e probatori indicati a sostegno dell’accoglimento della domanda risarcitoria proposta;

che, avverso la sentenza d’appello, la Provincia Regionale di Messina ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione;

che il Comune di Galati Mamertino resiste con controricorso cui ha fatto seguito il deposito di memoria;

che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente trascurato di rilevare il vizio di extra petizione in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado nel qualificare la causa petendi introdotta dagli attori nella prospettiva di cui all’art. 2051 c.c., omettendo inoltre di rilevare, anche da tale angolazione, la totale infondatezza dell’avversa domanda;

che la censura è infondata;

che, infatti, la corte territoriale, nel respingere il corrispondente motivo di appello proposto dalla Provincia Regionale, si è correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità ai sensi del quale non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato il giudice che, investito di una domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c., fondi l’accoglimento della domanda sulla responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c. (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12694 del 16/11/1999, Rv. 531174 – 01), riconducendosi tale indicazione al generale principio in forza del quale, nel caso in cui la parte agisca prospettando condotte astrattamente compatibili con la fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c., la loro eventuale riconduzione all’art. 2043 c.c. è financo tale da non vincolare il giudice d’appello nel potere di riqualificazione giuridica dei fatti costitutivi della pretesa azionata (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 11805 del 09/06/2016, Rv. 640195 – 01), rilevando unicamente, ai fini della limitazione imposta dall’art. 112 c.p.c., il rigoroso rispetto dei confini posti dall’ambito oggettivo dei fatti legittimamente allegati e dedotti in giudizio dalle parti;

che, peraltro, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Sez. 6 – 1, Sentenza n. 118 del 07/01/2016, Rv. 638481 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 23794 del 14/11/2011, Rv. 620426 – 01);

che, sotto altro profilo, il rilievo riferito alla pretesa infondatezza della domanda risarcitoria proposta dagli attori risulta inammissibilmente proposta in questa sede sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 3, trattandosi della denuncia di una errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta delle norme di legge richiamate, secondo i tratti del modello impugnatorio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, neppure ricorrendo, tra le indicazioni critiche in questa sede proposte dall’amministrazione ricorrente, gli estremi per il riscontro di eventuali fatti obiettivamente decisivi il cui esame sarebbe stato in ipotesi trascurato dall’indagine del giudice d’appello, secondo il paradigma normativo di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.;

che, con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ricondotto la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio al modello della consulenza c.d. ‘percipientè, in contrasto con il carattere meramente ‘deducentè delle considerazioni dettate dall’ausiliario del giudice, con la conseguente impossibilità di ascrivere alla stessa l’idoneità a costituire fonte di prova a sostegno della domanda risarcitoria proposta dagli attori;

che la censura è infondata;

che, al riguardo, del tutto correttamente la corte territoriale ha ascritto alla consulenza tecnica disposta dal giudice di primo grado una natura percipiente, dovendo intendersi, con tale formulazione definitoria, l’esecuzione di attività di natura tecnico-valutativa vertente su dati acquisiti dall’ausiliario (ma già adeguatamente allegati dalla parte) che soltanto un tecnico sia in grado di accertare, per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 1190 del 22/01/2015, Rv. 633974 – 01);

che, peraltro, del tutto impropriamente l’odierna amministrazione ricorrente attribuisce alla natura della consulenza tecnica disposta (percipiente o deducente) la virtù di dirimere la questione relativa al corretto assolvimento, ad opera degli attori, degli oneri probatori afferenti la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata, atteso che, acquisiti o meno dal c.t.u., i dati posti a sostegno della valutazione tecnica devono essere stati in ogni caso ritualmente e tempestivamente dedotti (come correttamente avvenuto nel caso di specie) al contraddittorio processuale dalla parte interessata (cfr., sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 18770 del 26/09/2016, Rv. 642105 – 01);

che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè per contraddittorietà, insufficiente e/o omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale confermato l’accoglimento della domanda risarcitoria originariamente proposta dagli attori sulla base di una motivazione contraddittoria e insufficiente, omettendo altresì la dovuta considerazione della circostanza di fatto costituita dal profondo dissesto idrogeologico insistente sul versante a monte della tratta della strada provinciale oggetto d’esame (e dunque dello scenario di profonda instabilità dell’intero versante) ch’ebbe ad assumere un rilievo causale determinante nella verificazione del sinistro per cui è causa, giungendo all’erronea conclusione della mancata dimostrazione, da parte della ricorrente, della sussistenza di uno specifico caso fortuito (ovvero dell’esclusiva o concorrente responsabilità dell’amministrazione comunale di Galati Mamertino) a fondamento dell’evento dannoso dedotto in giudizio;

che il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

che, sotto il profilo della violazione di legge, osserva il collegio come, nel riproporre una diversa considerazione dei fatti così come ricostruiti e interpretati dalla corte territoriale, l’odierna ricorrente abbia trascurato di procedere alla necessaria deduzione dell’errata ricognizione, ad opera del giudice a quo, delle fattispecie normative astratte dalla stessa richiamate, nonchè a un’adeguata specificazione dell’eventuale erronea sussunzione di fatti incontroversi nello spettro di applicazione delle norme invocate, avendo l’amministrazione ricorrente propriamente rivendicato una diversa lettura e configurazione dei fatti controversi rispetto a quanto operato, nella sentenza impugnata, sulla base di una coerente e lineare interpretazione dei fatti di causa;

che, in tali termini, la censura dedotta si risolve nella proposizione di un’impostazione critica del tutto estranea al paradigma della violazione o della falsa applicazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, in questa sede, pertanto, inammissibilmente richiamata dall’amministrazione ricorrente;

che, quanto alle denunce relative al preteso omesso esame dei fatti controversi richiamati nel motivo di censura, si osserva che la ricorrente trascura di articolare in modo specifico, tanto le occorrenze concrete dell’omissione denunciata, quanto i profili di decisività dei fatti dedotti, non emergendo, in modo incontroverso e inequivocabile, il disegno del differente esito della risoluzione della controversia che sarebbe emerso con certezza là dove la corte territoriale avesse tenuto conto in modo specifico e analitico dei fatti richiamati;

che, da questo punto di vista, si tratta, dunque, della mera invocazione, da parte della ricorrente (non già dell’omesso esame, ad opera del giudice d’appello, di fatti decisivi già controversi tra le parti, bensì) di una rilettura nel merito degli elementi istruttori e dei fatti emersi nel corso del processo, riproposti in una diversa prospettiva interpretativa, essendosi la Provincia Regionale limitata a criticare (inammissibilmente) le valutazioni di fatto espresse dalla corte territoriale in ordine ai riconosciuti profili delle occorrenze relative alla specifica causalità del danno;

che, con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1292,1298,1299 e 2055 c.c., anche in riferimento agli artt. 106 e 269 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente precluso la chiamata in garanzia del Comune di Galati Mamertino, avanzata dalla Provincia Regionale, sul presupposto di una pretesa omessa proposizione di un’apposita domanda di ripartizione interna della responsabilità dell’amministrazione comunale di Galati Mamertino in proporzione della rispettiva colpa e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate, in contrasto con il chiaro tenore delle conclusioni assunte con l’originario atto di chiamata in garanzia;

che la censura è infondata;

che al riguardo, la corte territoriale risulta aver ritualmente interpretato il contenuto delle domande proposte dalla Provincia Regionale nei confronti del Comune di Galati Mamertino, avendo correttamente escluso (sulla base di un’interpretazione degli atti processuali logicamente coerente e rispettosa dei canoni legali di ermeneutica negoziale) la proposizione di un’idonea chiamata di garanzia di detto Comune, avendo la Provincia trascurato di invocare (pur deducendo la concorrente responsabilità del Comune) l’accertamento della ripartizione interna della responsabilità tra i diversi co-obbligati, in proporzione delle rispettive colpe, e dell’entità delle conseguenze derivabili, essendosi limitata a dedurre l’esclusiva (o quantomeno concorrente) responsabilità del Comune nella causazione del fatto dannoso, in relazione al profilo esterno della responsabilità verso terzi, senza che il generico (ed equivoco) riferimento alla garanzia o rivalsa da ogni onere che possa derivare “dalla conclusione del presente giudizio” (di cui al punto 7 riportato alla pag. 34 del ricorso) sia valsa a surrogare la decisiva lacuna di specificazione della domanda;

che, con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 342 c.p.c. (nella formulazione anteriore alla sua riforma) (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile per difetto di specificità la doglianza di cui al sesto motivo d’appello;

che la censura è infondata quando non inammissibile;

che, infatti, al di là della persistente genericità dello stesso motivo di ricorso per cassazione sul punto proposto dalla Provincia Regionale, osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente sottolineato il carattere generico e indifferenziato del richiamo contenuto, nel motivo d’appello in esame, alla documentazione e ai rilievi precedentemente riportati, non consentendo, tali formulazioni, nè la delimitazione del campo del riesame della sentenza impugnata, nè l’identificazione dei punti investiti dall’appello e delle ragioni delle censure critiche avanzate: si tratta di una motivazione esaustiva e coerentemente elaborata, giuridicamente corretta e logicamente inappuntabile, come tale immune dai vizi in questa sede denunciati dall’odierna ricorrente;

che, con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per contraddittorietà, insufficiente e/o omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale irritualmente ritenuto superflue le prove testimoniali richieste nel corso del giudizio di appello, con particolare riferimento a quelle concernenti l’accertamento della responsabilità concorrente degli attori, ex art. 1227 c.c., in relazione alla produzione dell’evento dannoso oggetto di giudizio;

che, con il settimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per contraddittorietà, insufficiente e/o omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale erroneamente riformato la sentenza di primo grado, in relazione alla condanna della Provincia Regionale all’esecuzione dei lavori di stabilizzazione dell’area oggetto di esame, sulla base di una motivazione contraddittoria e infedele rispetto al contenuto delle risultanze processuali;

che entrambe le censure (sesto e settimo motivo) sono inammissibili;

che, sul punto, osserva il collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (quale risultante dalla formulazione dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

che, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianze della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

che, sulla base delle argomentazioni che precedono, accertata la complessiva infondatezza delle censure articolate dalla Provincia Regionale di Messina, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la condanna della stessa al rimborso, in favore dell’amministrazione comunale di Galati Mamertino, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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