Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18375 del 31/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 18375 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

ORDINANZA
sul ricorso 28498-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in

persona

del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, TRIOLO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE,
STUMPO VINCENZO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
LACATENA MARGHERITA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA QUINTINO SELLA, 41, presso lo studio dell’avvocato
MARGHERITA VALENTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 31/07/2013

PONZONE GIOVANNI GAETANO, giusta mandato speciale in
calce al controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 4985/2010 della CORTE D’APPELLO di
t1 2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/06/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per il ricorrente l’Avvocato Emanuele De Rose che si riporta ai
motivi del ricorso.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso al Tribunale di Bari, Lacatena Margherita, operaia
agricola a tempo determinato, aveva convenuto in giudizio l’Inps,
chiedendo venisse accertato il suo diritto alla differenza dell’indennità
di disoccupazione per l’anno 1999; la ricorrente – premesso che il
trattamento di disoccupazione le era stato corrisposto dall’Istituto
sulla base del salario medio convenzionale congelato all’anno 1995 sosteneva che il medesimo trattamento doveva essere invece
calcolato, ai sensi del D. Lgs. n. 146 del 1997, art. 4, sui minimi
retributivi previsti dalla contrattazione collettiva provinciale, ivi
compreso l’elemento denominato t.f.r., con conseguente diritto alle
differenze tra quanto spettante e quanto percepito.
La domanda è stata respinta dal giudice di primo grado e
accolta dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 30
novembre 2010.
Avverso detta sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione,
notificato in data 16 novembre 2011, affidato a tre motivi.
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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BARI del 30.9.2010, depositata i1

La parte intimata si è costituita in questa sede eccependo
preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per omessa indicazione,
da parte dell’Istituto ricorrente, del valore della causa, come
prescritto dall’art. 38 d.l. del 6.1uglio 2011, conv. in legge n. 111 del 15
luglio 2011.

nella relazione e ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per la
definizione del giudizio in camera di consiglio.
L’eccezione preliminare è infondata.
L’art. 52 comma 6 legge 69/2009 ha aggiunto il seguente
periodo nell’art. 152 disp. att. c.p.c. ” Le spese, competenze ed
onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali
non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio.”
Ai sensi dell’art. 58 comma 1 della medesima legge, tale disposizione
si applica ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore,
ossia dal 4 luglio 2009.
Il decreto legge 6 luglio 2011, n.98, conv. in legge 111/2011,
all’ art. 38 (Disposizioni in materia di contenzioso previdenziale e
assistenziale) ha ulteriormente aggiunto, all’articolo 152 disp. att.
c.p.c., il seguente ultimo periodo: “A tale fine la parte ricorrente, a
pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del
valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone
l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo.”.
Ritiene questa Corte: a) che l’obbligo di specificare il valore
della causa a pena di inammissibilità del ricorso valga solo per i
giudizi instaurati in primo grado dopo il 4 luglio 2009, giacché la
norma introdotta nel 2011 si lega strettamente con la disposizione
che immediatamente la precede, secondo cui le spese legali non
possono superare il valore della prestazione, e quindi solo dal 4 luglio
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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Ti Collegio ha condiviso e fatto proprie le considerazioni svolte

2009 vi è l’obbligo di indicare il valore della prestazione (nel caso in
esame la causa è stata introdotta in primo grado nel 2006); b) che
detto onere sia posto a carico della parte (privata) che agisce in
giudizio per ottenere una prestazione previdenziale, considerato che
la finalità della previsione normativa è quella di impedire che in

misura superiore al valore della prestazione.
Col primo motivo, l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 47
D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 e successive modificazioni.
Col secondo e col terzo motivo l’Istituto ricorrente,
lamentando la violazione dell’art. 18, comma 18° del D.L. n.
98/2011, convertito in L. n. 111/2011 e, in via subordinata, degli
artt. 46, 51 e 55 del CCNL per gli operai agricoli e florovivaisfi del
2002 in relazione all’art. 6, comma 4°, lettera a) del dIgs. n. 314/97
nonché in relazione agli artt. 1362 e ss., 2120 cod. civ. ed all’ artt. 4
commi 10 0 e 11 0 legge 297/82, censura, in via logicamente
subordinata, la sentenza unicamente per avere incluso nella
retribuzione da prendere a base per la liquidazione dell’indennità di
disoccupazione anche la voce denominata “quota di TFR”, la quale
invece non dovrebbe esserlo, per avere essa — contrariamente a
quanto affermato la Corte territoriale — effettiva natura di
retribuzione differita.
Il ricorso è manifestamente infondato nel primo motivo e
manifestamente fondato nel secondo e nel terzo, qui trattati
unitariamente.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 12720 del
29 maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza insorto
nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La
decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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favore della parte vittoriosa nella causa siano liquidate le spese in

interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con
modificazioni, nella L 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione

in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il
riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo
l’adeguamento di detta prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a

quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in
errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia
disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite
che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Successivamente, l’art. 38, primo comma, lett. d) del D.L. 6
luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno, ha
aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: `Le

decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni
giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in
parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza
decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della
sorte”, precisando al quarto comma che “Le disposizioni di cui al comma
1, lett. c) e d) si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di
entrata in vigore del presente decreto”.
Sulla questione questa Corte è da ultimo intervenuta con
la sentenza n. 6959 dell’8 maggio 2012, che ha affermato il
seguente principio di diritto:
“In tema di decadenza delle azioni giudiziarie volte ad ottenere
la riliquidazione di una prestazione parzialmente riconosciuta, la
novella dell’art. 38 lett. d) del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in 1. 111
del 2011 – che prevede l’applicazione del termine decadenziale di cui
all’art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, anche alle azioni aventi ad
oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il
pagamento di accessori del credito -, detta una disciplina innovativa
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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A

con efficacia retroattiva limitata ai giudizi pendenti in primo grado
alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, con la
conseguenza che, ove la nuova disciplina non trovi applicazione,
come nel caso di giudizi pendenti in appello, o in cassazione alla data
predetta, vale il generale principio dell’inapplicabilità del termine

7068, 7069, 7070 7073, 7075, 7076, 7078, 7079, 7080, 7088, 7127,
7128, 7129, 7130, 7132, 7133, 7236, 7240, 7244, 7244, 7245, 7246,
7247, 7248, 7476, 7478, 7479, 7480, 7482 del 2012 ed altre ancora).
Con tale sentenza, questa Corte ha osservato quanto segue: ”
non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il proposito
del legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia
retroattiva la regola preesistente, quale consolidatasi per effetto delle
recente pronuncia delle sezioni unite del 2009, conferma
indirettamente la corrispondenza di quest’ultima all’originario
contenuto dell’art. 47. nel testo vigente fino alla novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle sezioni unite della
Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza proveniente dallo
stesso legislatore convincono in definitiva il collegio della
inapplicabilità del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 prima delle
integrazioni apportate del D.L. n. 98 del 2011, art. 38 al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo
parzialmente riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale. Pertanto,
la modifica di cui al d.l. n. 38 del 2011, da ultimo introdotta, prevede
l’applicabilità della nuova norma anche ai giudizi pendenti in primo
grado alla data di entrata in vigore del decreto, così implicitamente
escludendola riguardo ai giudizi, come il presente, pendenti in fase di
impugnazione”.
Dunque, il primo motivo di ricorso deve essere respinto.
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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decadenziale” (successive conformi, Cass. sent. nn. 6960, 6962, 6963,

Meritano accoglimento il secondo e il terzo motivo.
In proposito, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente
enunciato, ad es. con la sentenza n. 202/2011, con riferimento a
fattispecie analoghe a quella in esame, il seguente principio:

“Confermandosi quanto già ritenuto dalla precedente sentenza di questa Corte n.

agricoltura, la nozione di retribuzione – definita dalla contrattazione collettiva
provinciale, da porre a confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del
D.lgs. 16 aprile 1997 n. 146 – non è comprensiva del trattamento di fine
rapporto, va ulteriormente affermato che, sulla base del suddetto principio, la voce
denominata “quota di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del
27.11.1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in
considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato
disattendere in forza della diosizione di cui all’art. 3 D.L. 14 giugno 1996 n.
318 convertito in legge 29 luglio 1996 n. 402, a norma del quale, agli effetti
previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere
individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Dovendo
escludersi che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti
stipulanti, non è ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da
parte dell’autonomia collettiva.”
Si rileva altresì, in proposito, che recentemente il significato
della norma di cui all’art. 4 del D. Lgs. n. 146 del 1997 individuato
dalla giurisprudenza sopra citata è stato esplicitato anche dal
legislatore, che all’art. 18, comma 18° del D.L. n. 98 del 2011,
convertito nella legge n. 111 dello stesso anno, ha specificato che
“L’art. 4 del D. Lgs. 16 aprile 1997 n. 146 e l’art. 1, comma 5 0 del
D.L. 10 gennaio 2006 n. 2, convertito con modificazioni dalla legge
11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la retribuzione
utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in favore degli operai
Ric. 2011 n. 28498 sez. ML – ud. 14-06-2013
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10546/2007 per cui ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in

agricoli a tempo determinato non è comprensiva della voce del
trattamento di fine rapporto comunque denominato dalla
contrattazione collettiva”.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi
dell’art. 384, secondo comma, c.p.c. può provvedersi nel merito e

Tenuto conto dei dubbi interpretativi che hanno riguardato le
questioni oggetto del presente giudizio, è giustificata la
compensazione delle spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo e il terzo;
cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel
merito, rigetta l’originaria domanda quanto all’inclusione del TFR
nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione; compensa le
spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 giugno 2013
Il Presidente

rigettarsi la domanda.

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