Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18374 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 26/07/2017, (ud. 10/03/2017, dep.26/07/2017),  n. 18374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19585-2015 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.A.

GUALTIERO 70, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE GASTALDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO PONGELLI giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, già INA ASSITALIA SPA, in persona del

procuratore speciale e legale rappresentante p.t. Dott. GIOVANNI

DIGITO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI TRASONE N. 16,

presso lo studio dell’avvocato ASSUNTA DI SANTO, rappresentata e

difesa dall’avvocato NATALINO GUERRIERI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 644/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/03/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso

chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

1. P.G. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Generali Italia (già I.N.A. Assitalia s.p.a.), nella qualità di Impresa Designata per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, avverso la sentenza del 29 gennaio 2015, con la quale la Corte d’Appello di Roma, in accoglimento dell’appello principale dell’allora I.N.A. Assitalia ed in riforma della sentenza di primo grado, resa dal Tribunale di Frosinone, Sezione Distaccata di Anagni, ha rigettato la domanda da lui proposta nel giugno del 2001, per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente a suo dire sofferti, allorquando, il giorno (OMISSIS) circa, mentre ere alla guida di un ciclomotore, in una via di (OMISSIS), immediatamente dopo aver percorso una curva, era stato investo da un’autovettura che faceva retromarcia ad elevata velocità sulla corsia da lui percorsa, venendo sbalzato dal mezzo e cadendo rovinosamente, per il che subiva gravi lesioni e veniva ricoverato in ospedale.

2. Il Tribunale in prime cure, nella costituzione dell’impresa designata, che eccepiva l’inesistenza del coinvolgimento di un’altra autovettura nell’accaduto, all’esito dell’istruzione, svoltasi con l’assunzione dell’interrogatorio formale dell’attore, l’audizione di testi e l’espletamento di una c.t.u., accoglieva la domanda, liquidando il danno nell’importo di Euro 774.685,34 oltre accessori.

3. Sull’appello principale della società la Corte capitolina, reputando che la dinamica del sinistro non fosse stata provata, è pervenuta alla riforma della decisione ed al rigetto della domanda, cui ha accompagnato la condanna del qui ricorrente alla restituzione della somma percepita in forza dell’esecutività provvisoria della sentenza di primo grado, che non aveva sospeso.

4. Al ricorso per cassazione del P., che è affidato a tre motivi, ha resistito con controricorso la Generali Italia.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis, comma 1 ed in vista dell’adunanza il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto rigettarsi il ricorso, adducendo che esso sollecita impropriamente una nuova valutazione della vicenda in fatto. La resistente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: omesso esame di elementi istruttori da parte della Corte d’Appello”.

Il motivo è illustrato con due distinti paragrafi, il primo intitolato “omesso esame di un fatto decisivo e di elementi istruttori sulla presenza e sulla posizione della vettura investitrice”, ed il secondo “omesso esame di un fatto decisivo e di elementi istruttori sulle risultanze delle prove testimoniali”.

2. La stessa intestazione dei due paragrafi evidenzia che il motivo si pone al di fuori di quanto è riconducibile al nuovo paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 che è applicabile al ricorso.

La lettura dell’illustrazione lo conferma.

Nel primo paragrafo anzi, all’inizio si prospetta che la sentenza impugnata avrebbe affermato che il ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio aveva prospettato “una posizione dell’autovettura investitrice parallela all’asse stradale” e si assume che così non era stato e che invece si era affermato che l’autovettura era all’interno della corsia di marcia del ricorrente.

Questa deduzione, concretandosi nell’assunto che la corte territoriale avrebbe affermato un fatto – la cennata allegazione – non esistente nella citazione, si connota come errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e tanto basta per collocarlo al di fuori del paradigma del n. 5 e ascriverlo alla deducibilità con il mezzo della revocazione ordinaria.

Nell’illustrazione successiva del primo paragrafo si addebita alla corte territoriale di avere erroneamente ritenuto che il ricorrente aveva cambiato, dopo l’espletamento della c.t.u., la sua versione della dinamica del sinistro rispetto a quella indicata nella citazione. Il preteso errore viene illustrato riproducendo brani di un atto con cui si erano svolti rilievi critici alla c.t.u. e brani della stessa ed adducendo che la corte romana avrebbe mal valutato detti rilievi critici, desumendone la conclusione che il ricorrente aveva cambiato la versione della dinamica.

Nel secondo paragrafo l’illustrazione si risolve, conforme all’intestazione, in una critica alla valutazione delle risultanze delle prove testimoniali e si identificano i fatti di cui si sarebbe omesso l’esame in risultanze delle dette prove.

2.1. Dato il tenore dell’illustrazione del motivo, è palese che esso non è in alcun modo riconducibile a quanto consente il paradigma del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., in quanto ciò che vi si deduce esula dal contenuto che ad esso hanno attribuito Cass. sez un. n. 8053 e 8054 del 2014, statuendo i seguenti principi di diritto: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”. Le stesse Sezioni Unite hanno soggiunto che: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”.

Nel solco di dette decisioni Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881, ha ulteriormente rilevato che da un lato, il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sè, cioè alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; dall’altro lato, che il controllo previsto dal nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.”.

A maggior ragione dopo una tale novella legislativa resta fermo il principio, già del tutto consolidato (per tutte: Cass. 27 ottobre 2015, n. 21776; Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2015, n, 20412; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. sez. un” 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 17 novembre 2005, n. 23286) dell’esclusione del potere di questa Corte di legittimità di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico – formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile) e pervenendo all’esito alla ricostruzione della quaestio facti oggetto del giudizio: sicchè sarebbe inammissibile (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum), sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

2.2. Il primo motivo di ricorso si connota proprio nei sensi ora detti e tanto ne determina l’inammissibilità, tenuto conto che, in base alla riformulazione del nuovo n. 5 ed alla sua esegesi, bene si è concluso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile nè nel paradigma del n. 5 nè in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 nei termini ora indicati), non trova di per sè alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione (Cass. n. 11892 del 2016).

3. Con un secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 115 c.p.c.”, ma nell’illustrazione si evoca il cattivo esercizio del criterio di valutazione di cui all’art. 116 c.p.c. con riferimento all’apprezzamento della testimonianza del teste A..

Quanto si argomenta, non solo non è riconducibile alla violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., evocato nell’intestazione, ma non appare nemmeno riconducibile – dando rilievo alla norma che si evoca nell’illustrazione – alla violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c.

Cass. sez. un. n. 16598 del 2016, infatti, ha statuito che: “per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che, per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove””.

Cass. n. 11892 del 2016, già citata, ha, a sua volta, precisato (con principio ribadito da Cass. sez. un. n. 16598 del 2016) che “poichè l’art. 116 c.p.c. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi)”.

Il motivo, dunque, è privo di fondamento.

4. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: omesso esame della perizia medico-legale del Dott. G.”.

Vi si denuncia l’omessa considerazione di una valutazione risultante da detta perizia di parte, adducendo che sarebbe stata rilevante per escludere la veridicità della diversa dinamica del sinistro dedotta dalla società assicuratrice.

4.1. Il motivo è nuovamente non riconducibile al paradigma invocato, per le considerazioni sulla sua ricostruzione svolte a proposito del primo motivo.

Ne segue la sua inammissibilità.

5. Il ricorso è, conseguentemente, rigettato.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro quattromila, oltre duecento per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 10 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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