Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18371 del 27/08/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 18371 Anno 2014
Presidente: CECCHERINI ALDO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 1195-2013 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. (c.f. 00471850016), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47,

Data pubblicazione: 27/08/2014

presso l’avvocato LATTANZI FILIPPO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2014
1391

ROBALDO ENZO, PIETRO FERRARIS, giusta procura in
calce al ricorso;
– ricorrente contro

1

REGIONE LOMBARDIA (P.I. 80050050154), in persona del
Presidente della Giunta regionale pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIO
VENETO 108, presso l’avvocato GIULIANO MARIA POMPA,
rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO CEDERLE,

controricorrente

avverso la sentenza n. 1737/2012 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/07/2014 dal Consigliere Dott. SERGIO
DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato ROBALDO ENZO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato POMPA
GIULIANO M., con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

giusta procura a margine del controricorso;

l’accoglimento del primo motivo, assorbimento del
secondo motivo, parzialmente assorbito il terzo
motivo, inammissibile o comunque infondato nel
resto.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 17 maggio 2012 la Corte di appello di
Milano confermava la sentenza in data 22 aprile 2010 con
cui il Tribunale della stessa città aveva respinto
l’opposizione proposta dalla s.p.a. Telecom Italia avverso

l’ordinanza ingiunzione emessa dalla Regione Lombardia per
il pagamento di una somma a titolo di «canone per
l’occupazione e uso di beni del demanio e del patrimonio
indisponibile dello Stato» e precisamente per
l’attraversamento del c.d. reticolo idrico demaniale con
infrastrutture della rete di telecomunicazione. In
particolare, la Corte di appello osservava che: 1) l’art.
93 del Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs. n.
259/2003) stabilisce al primo comma che «le Pubbliche
Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non
possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio
dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni
che non siano stabiliti per legge»; nell’ambito dei canoni
od oneri stabiliti per legge devono ricomprendersi
canoni di concessione del demanio idrico (art. 822 c.c.),
la cui determinazione ed introito sono delegati alle
regioni dagli artt. 86, comma l, e 89, coma 1, del d.
lgs. n. 112/1998 e sono stati disciplinati dalla Regione
Lombardia con la legge regionale n. 1/2000, poi sostituita
dalla legge regionale n. 26/2003; ne consegue che nella
specie il canone di occupazione è prestazione imposta per
3

legge ed è, pertanto, fatta salva dalle norme del Codice
delle telecomunicazioni; 2) l’imposizione di un canone per
l’attraversamento del reticolo idrico non si pone in
contrasto con i principi sanciti dagli artt. 88 e 93 del
d. lgs. n. 259/2003, ed in particolare con la finalità di

uniformare le condizioni di fornitura delle reti e dei
servizi di comunicazione elettronica, poiché la Regione
Lombardia nell’omogeneo contesto del suo territorio
pratica verso tutti i soggetti le stesse tariffe; 3) la
disciplina dettata dal d. lgs. n. 259/2003 non deroga alla
disciplina del demanio idrico e, pertanto, l’imposizione
di un canone non postula che lo stesso sia previsto da una
legge successiva, condizione non contemplata dall’art. 93
del citato d. lgs., che richiede soltanto che la
prestazione sia prevista dalla legge; 4) l’imposizione di
un canone non è in contrasto con l’art. 23 Cost. sia
perché il canone in questione è previsto dalla legge sia
perché non si tratta di un’imposizione tributaria, e
neppure è in contrasto con la direttiva comunitaria
2002/20/CE, ricorrendo i requisiti di trasparenza,
obiettiva giustificazione, proporzionalità e non
discriminazione; 5) non è rilevante l’eccezione di
incostituzionalità della legge regionale n. 10/2009 (che
prevede la decadenza della concessione in caso di mancato
pagamento di due annualità del canone), in quanto la
stessa non è applicabile nella specie ratione temporls; 6)
4

è inconferente il richiamo della sentenza n. 450/2006
della Corte costituzionale relativa alla imposizione di
una tassa per spese di istruttoria; 7) non si può
prospettare una lesione dei principi a tutela della
concorrenza in quanto tutte le Regioni devono introitare i

canoni di occupazione; 8) il canone è dovuto
indipendentemente dall’effettiva occupazione dell’area
concessa.
La

s.p.a.

Telecom

Italia

propone

ricorso

per

cassazione, deducendo tre motivi illustrati anche con
memoria. La Regione Lombardia resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Con il primo articolato motivo la ricorrente deduce,

oltre al vizio di motivazione, la violazione dell’art. 10
del d. lgs. n. 198/2002; degli artt. 5, 25, 35, 50, 58, 88
e 93 del d. lgs. n. 259/2003; dell’art. 2 del d. lgs. n.
112/1998; degli artt. l, 3 e 10 della legge n. 241/1990;
dell’art. 97 Cost.; degli artt. 11 e 13 nonché del 15 °

considerando della direttiva comunitaria 2002/20/CE; degli
artt. 822 e 823 c.c.; degli artt. 90 e 92 della legge
della Regione Lombardia n. 10/2003. La ricorrente a
sostegno delle censure svolge le argomentazioni che così
possono sinteticamente riassumersi: a) dagli artt. 35, 88,
93 del d. lgs. n. 259/2003 discende che solo una legge
statale successiva in tema di telecomunicazioni può
prevedere oneri o canoni ulteriori; b) l’art. 823 c.c. non

5

impone che i modi attraverso ± quali beni demaniali
possono formare oggetto di diritti di terzi comprendano
necessariamente il pagamento di un canone; c) il d. lgs.
112/1998 non disciplina la materia delle
telecomunicazioni; d) la legge regionale della Lombardia

n. 10/2009 e qualsiasi altra legge regionale in tema di
canoni di concessione demaniale dovrebbero ritenersi
costituzionalmente illegittime se ritenute applicabili
alla materia delle telecomunicazioni in quanto in
contrasto con i principi fondamentali, la cui
determinazione è riservata dall’art. 117 Cost. allo Stato,
che nella specie ha provveduto con il d. lgs. n. 259/2003;
e) il r.d. 523/1904 ed il r.d. 2669/1933 richiamati
dall’art. 89 del d.lgs. 112/1998 non menzionano o
disciplinano canoni idraulici o di polizia idraulica; f)
l’applicazione di un canone concessorio per
l’attraversamento del demanio idrico rappresenterebbe una
duplicazione di altri oneri (indennizzo per ripristino,
COSAP e TOSAP); g) la direttiva comunitaria 2002/20/CE
lascia piena libertà agli Stati membri per la disciplina
delle modalità di utilizzazione dei beni pubblici, non
prevedendo affatto l’imposizione di canoni, la cui
esclusione è, invece, ricavabile dalla legislazione
nazionale.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’erroneità
del capo della sentenza che ha considerato assolto l’onere
6

della prova a carico della Regione con la produzione del
provvedimento concessorio senza la prova di una effettiva
occupazione.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata riunione dei
numerosi giudizi aventi ad oggetto controversie connesse

soggettivamente ed oggettivamente. Con lo stesso motivo si
censura la condanna della s.p.a. Telecom al pagamento
delle spese processuali liquidate in € 2.000,00 per
ciascuno dei giudizi e perciò in un importo notevolmente
superiore a quello recato dall’ordinanza opposta.
2.

Il primo motivo è fondato. Sul punto questa Corte si

è pronunciata di recente, nel contraddittorio tra le
stesse parti, con le sentenze nn. 14788 e 14789 del 30
giugno 2014, che hanno affermato il seguente principio di
diritto: «l’attraversamento del demanio idrico gestito
dalle Regioni, ai sensi degli artt. 86 e 89 del d. lgs. n.
112/1998, da parte di infrastrutture di comunicazione

CJ(//

elettronica non è soggetto al pagamento di oneri o canoni
che non siano previsti dal d. lgs. n. 259/2003 o da legge
statale ad esso successiva». A tale orientamento deve
essere data continuità.
Con il Codice delle comunicazioni elettroniche (d. lgs.
n. 259/2003) l’Italia ha recepito, come dimostra la loro
menzione nel preambolo, le direttive quadro sulle
comunicazioni elettroniche, emanate nelle date del 7 marzo
2002 e del 16 settembre 2002 dal Parlamento europeo e dal
7

Consiglio (direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle
reti di comunicazione elettronica e alle risorse
correlate, e all’interconnessione delle medesime;
direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le
reti e i servizi di comunicazione elettronica; direttiva

2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per
le reti ed i servizi di comunicazione elettronica;
direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai
diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di
comunicazione elettronica; direttiva 2002/77/CE, relativa
alla concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di
comunicazione elettronica).
La finalità perseguita con tali direttive, come risulta
anche dai principi e criteri direttivi fissati dalla legge
delega [art. 41, comma 2, lett. al ) e a8), della legge 1 0
agosto 2002, n. 166], è quella, per quanto qui interessa,
di garantire: al) agli imprenditori l’accesso al mercato
con criteri di obiettività, trasparenza, non
discriminazione e proporzionalità; a8) agli utenti finali
la fornitura del servizio universale, senza distorsioni
della concorrenza.
In tale contesto l’art. 93 del Codice, con la rubrica
«divieto d’imporre altri oneri», così testualmente recita:
«l. Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province
ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o
per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica,
8

oneri o canoni che non siano stabiliti per legge. 2. Gli
operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica
hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica
Amministrazione (n.d.e.:

il riferimento alla Pubblica

Amministrazione, non rilevante in questa sede, è stato

70/2012),

l’Ente locale, ovvero

inserito dal d. lgs. n.

l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per
le opere di sistemazione delle aree pubbliche
specificamente coinvolte dagli interventi di installazione
e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree
medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Nessun
altro onere finanziario, reale o contributo può essere
imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui
al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione
elettronica,
(n.d.e.:

fatta salva l’applicazione della tassa

c.d. TOSAP)

per l’occupazione di spazi ed aree

pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15
novembre 1993, n. 507, oppure del canone (n.d.e.:

c.d.

COSAP) per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui
all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997,
n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo
quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del
medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una
tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui
all’articolo 47, coma 4, del predetto decreto legislativo
15 novembre 1993, n. 507».
9

Tale disposizione è stata ritenuta dalla Corte
costituzionale, con riferimento all’art. 117 Cost. ed alla
competenza riservata allo Stato, «espressione di un
principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di
garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e

non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto
di porre a carico degli stessi oneri o canoni. In mancanza
di un tale principio, infatti, ciascuna Regione potrebbe
liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei
soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio,
appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad
operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali
obblighi potrebbero non essere imposti. t evidente che la
finalità della norma è anche quella di tutela della
concorrenza,

sub specie

di garanzia di parità di

trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso
di nuovi soggetti nel settore. Ad analogo criterio si
ispira la disposizione che sancisce, in capo agli
operatori, l’obbligo di tenere indenni gli enti locali o
gli enti proprietari delle spese necessarie per le opere
di sistemazione delle aree pubbliche» (Corte cost. 27
luglio 2005, n. 336, i cui principi sono stati ribaditi da
Corte cost. 28 dicembre 2006, n. 450 e da Corte cost. 22
luglio 2010, n. 272).
Si deve, poi, escludere che «il citato art. 93 si
limiterebbe a sancire una riserva di legge per così dire

lo

”generica”; ciò che, pertanto, non precluderebbe un
intervento delle Regioni, purché esso sia disposto con
atto legislativo. Sul punto è sufficiente osservare che la
citata disposizione ha inteso riferirsi, con tutta
evidenza, alla sola legge statale. È quanto si desume, in

primo luogo, dalla circostanza che il richiamo alla legge,
contenuto in una norma dello Stato, deve essere
interpretato – in assenza di ulteriori specificazioni come rinvio ad una fonte legislativa comunque di
provenienza statale». Inoltre, se così non fosse sarebbe
contraddetta «la stessa

ratio legis,

come individuata da

questa Corte nella già citata sentenza n. 336 del 2005, e
cioè evitare che ogni Regione possa “liberamente prevedere
obblighi

pecuniari

a carico dei soggetti operanti sul

proprio territorio, con il rischio, appunto, di una
ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di
altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi
potrebbero non essere imposti”» (Corte cost. luglio 2010,
n. 272).
Da quanto sinora detto consegue che il punto decisivo
della questione sottoposta all’esame di questa Corte
consiste nella possibilità o meno di individuare le norme
statali che consentono l’imposizione di oneri negli artt.
822 e 823 c.c. e negli artt. 86 e 89 del d. lgs. n.
112/1998 (c.d. decreto Bassanini) che delegano alle
Regioni la gestione del demanio idrico, le relative
11

concessioni, la determinazione dei canoni e l’introito dei
relativi proventi.
Tale possibilità deve essere, tuttavia, esclusa. Le
disposizioni in esame non sono, infatti, compatibili con i
principi sopra richiamati e, in particolare, con la

liberalizzazione del mercato secondo principi di non
discriminazione e proporzionalità e con il principio di
universalità del servizio. La determinazione dei canoni di
concessione del demanio idrico da parte delle singole
Regioni consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto
escluso in radice dal d. lgs. n. 259/2003 e dai suoi
principi ispiratori, condizioni diverse per i singoli
operatori a secondo delle determinazioni delle Regioni che
governano il territorio sul quale essi operano; inoltre,
l’imposizione di canoni di concessione, in assenza di un
riferimento agli utenti raggiunti rinvenibile nelle
disposizioni statali invocate dalla Regione, violerebbe il
principio di universalità poiché, da un lato, imporrebbe
oneri non proporzionati secondo criteri di incentivazione
dello sviluppo della comunicazione elettronica e, d’altro
canto, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe
a disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti
isolati, mentre obiettivo del Codice è il raggiungimento
«di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo
stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei
medesimi» (art. 53).

12

L’incompatibilità di fondo della normativa che la
controricorrente Regione invoca come deroga alla
esclusione di ulteriori oneri, prevista dall’art. 93
citato, è confermata dal fatto che il Codice delle
comunicazioni elettroniche si pone come normativa speciale

rispetto alla materia da esso regolata. In tal senso
depongono chiaramente sia la scelta della legge di
delegare al Governo «l’istituzione di un quadro normativo
comune per le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica» [art. 41, primo comma lett. a), legge n.
166/2002], sia la scelta di racchiudere in un “codice” le
disposizioni legislative e regolamentari in materia di
telecomunicazioni [art. 41, secondo comma, lett. a), legge
n. 166/2002]. Non può sfuggire, infatti, che il termine
“codice” sottintende un testo normativo in grado di
disciplinare compiutamente la materia, un «corpo organico
e sistematico comprensivo di tutte le norme pertinenti a
un ramo del diritto» (enciclopedia Treccani

on

line).

Da quanto sinora detto e, in particolare, dalla
riaffermata necessità che, in materia di infrastrutture
di comunicazione elettronica, eventuali oneri o canoni,
diversi da quelli previsti dal d. lgs. n. 259/2003, siano
stabiliti legge statale ad esso successiva discende quanto
segue.
Resta assorbita, vertendo su norme di leggi statali
anteriori al Codice, la questione se dagli artt. 822 e 823
13

c.c. e dagli artt. 86 e 89 del d. lgs. n. 112/1998
discenda o meno l’obbligo di imporre un canone di polizia
idraulica.
Le leggi della Regione Lombardia anteriori al d. lgs.
n. 259/2003, le quali avessero previsto un canone per

l’attraversamento del demanio idrico da parte di
infrastrutture di comunicazione elettronica, dovrebbero
ritenersi abrogate ai sensi dell’art. 10 della legge n.
10/1953 («Le leggi della Repubblica che modificano i
principi fondamentali … abrogano le norme regionali che
siano in contrasto con esse»); ne consegue che non è
possibile alcun utile riferimento alla legge della Regione
Lombardia n. 1/2000.
Per le leggi regionali successive all’entrata in vigore
del Codice, non si può uscire da questa alternativa: a) la
legge regionale successiva prevede espressamente un canone
per le infrastrutture di telecomunicazione ed allora si
pone una questione di legittimità costituzionale, in
relazione all’art. 117 Cost., per la violazione dei
principi fondamentali dettati dallo Stato; b) la legge
regionale successiva detta una generica disposizione in
tema di canoni di concessione del demanio idrico, senza
riferirsi specificamente alle infrastrutture di
telecomunicazione ed allora se ne deve presumere, in sede
.

interpretativa, la legittimità, escludendo dal suo ambito
di applicazione le dette infrastrutture, in quanto non

14

specificamente previste ed assoggettate a regime speciale
dal Codice delle comunicazioni elettroniche.
Il Collegio ritiene che tutte le leggi della Regione
Lombardia successive al d. lgs. n. 259/2003 ricadano nella
seconda alternativa sopra descritta. Invero, nella sua

formulazione originaria, la legge regionale n. 26/2003,
attribuiva agli organi regionali (art. 44 lett. d) «la
riscossione e l’introito dei canoni di cui all’art. 52,
comma 4» e cioè «(de)i canoni d’uso delle acque e (de)i
sovracanoni comunali, provinciali e dei bacini imbriferi
montani, con riferimento alle caratteristiche delle
risorse utilizzate, alla destinazione d’uso delle stesse,
ed in applicazione del principio del risarcimento dei
costi ambientali causati». Nella formulazione del citato
art. 52, coma 4, compare, dopo le modifiche dettate dalla
legge regionale n. 18/2006, il riferimento ai «canoni per
l’uso delle aree del reticolo principale». In entrambe le
formulazioni manca, tuttavia, un riferimento alle
infrastrutture di telecomunicazione.
Lo stesso deve dirsi per la legge regionale n. 10/2009
che, per quanto interessa, si limita a dettare una
disciplina dei «canoni di concessione per l’occupazione»
accanto a quelli per l’uso dei beni del demanio (art. 6),
ancora una volta senza alcuno specifico riferimento alle
infrastrutture di telecomunicazione.
15

In conclusione, la pretesa regionale di imporre canoni
per l’attraversamento del demanio idrico con cavi e
infrastrutture di telecomunicazione, non è giustificata da
alcuna norma, statale o regionale, ma è stata esercitata
in attuazione di atti amministrativi (delibere della

Giunta regionale, supposte come integrative della
disciplina di legge), la cui illegittimità ne comporta la
disapplicazione.
3.

Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento

del primo. Lo stesso deve dirsi per il terzo motivo
laddove lamenta l’entità della liquidazione delle spese;
tale motivo è, invece, inammissibile laddove lamenta la
mancata

riunione

delle

cause.

I

provvedimenti

di riunione e separazione di cause costituiscono, infatti,
esercizio del potere discrezionale del giudice, hanno
natura ordinatoria e si fondano su valutazioni di mera
opportunità, con la conseguenza che essi non sono
sindacabili in sede di legittimità e non comportano, per
gli effetti che ne discendono sullo svolgimento dei
processi, alcuna nullità (e plurimis Cass. 15 maggio 2007,
n. 11187).
4.

La sentenza impugnata deve essere cassata e, poiché

non sono necessari ulteriori accertamenti e valutazioni di
fatto, questa Corte, decidendo nel merito, dichiara non
dovuta la somma ingiunta.
16

Soccorrono giusti motivi, in considerazione della novità
della questione, per compensare le spese dell’intero
giudizio.
. Q . M.

secondo motivo e parzialmente il terzo che dichiara
inammissibile nel resto; cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, dichiara non dovuta la somma
ingiunta; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 luglio
2014.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il

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