Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18371 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 09/07/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28072-2013 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA XXIV MAGGIO

43, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PURI, che lo rappresenta e

difende, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 320/2013 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

KATE TASSONE che ha concluso per l’inammissibilità di tutti e tre i

motivi di ricorso, in subordine infondato il primo motivo;

udito per il ricorrente l’Avvocato MULA per delega dell’Avvocato PURI

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 320/38/13 pubblicata il 24 luglio 2013 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha rigettato l’appello proposto da P.R. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma n. 329/58/12 pubblicata il 15 maggio 2012 con la quale era stato rigettato il ricorso da lui proposto avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso delle ritenute d’acconto per Euro 599.000,00 operate sulla somma di Euro 1.500.000,00 erogatagli dal datore di lavoro a titolo di risarcimento dei danni derivatagli dalla cessazione del rapporto di lavoro. La Commissione Tributaria Regionale, confermando il giudizio del primo giudice, ha considerato che dal verbale di conciliazione che prevedeva l’erogazione oggetto della ritenuta alla fonte contestata, risultava che la somma era stata corrisposta a titolo transattivo a fronte della rinuncia del lavoratore ad ogni pretesa o possibile rivendicazione nei confronti del datore di lavoro senza alcun riferimento ai danni psicofisici lamentati dal lavoratore; pertanto detta Commissione Tributaria Regionale ha affermato la natura reddituale della somma erogata e la sua conseguente assoggettabilità ad imposta ai sensi del TUIT, art. 6, comma 2.

P.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorso è stato chiamato all’odierna pubblica udienza a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi il 5 aprile 2019.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6, 17 e 49, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In particolare si deduce la natura risarcitoria e non reddituale della somma oggetto della ritenuta contestata, e la sua conseguente non tassabilità ai sensi delle norme richiamate. Il motivo è inammissibile. Come affermato dallo stesso ricorrente, in tema di imposta sui redditi, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, nella parte in cui dispone che “le indennità conseguite…a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli…perduti”, va inteso nel senso che le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio costituiscono reddito imponibile nei limiti in cui abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. L’applicazione in concreto della norma comporta, quindi, che la questione relativa alla imponibilità delle somme riscosse dal lavoratore a titolo risarcitorio non possa mai prescindere dall’accertamento in ordine alla natura del pregiudizio che l’importo ricevuto ha la funzione di indennizzare, dovendo in particolare il giudice di merito verificare se la dazione di tali somme trovi o meno la sua causa nella funzione di riparare la perdita di un reddito, potendo in caso di risposta positiva – e sempre che non si tratti di danni da invalidità permanente o da morte – affermarsi la tassazione della relativa indennità (Cass. 2009/10972, 2012/2196, 2015/632, 2018/23713).

Nel caso in esame i giudici di merito, sia di primo che di secondo grado, hanno operato tale verifica pervenendo concordemente alla conclusione per cui la dazione della somma trova la sua causa nella funzione di riparare la perdita di un reddito, e affermando puntualmente che nella medesima transazione non vi è traccia di un risarcimento riconducibile al danno fisico patito dal lavoratore a causa dell’anticipata risoluzione del rapporto. Non è ammissibile, in questa sede, il riesame della valutazione di merito relativa alla natura della transazione in questione, come pretende il ricorrente che adduce documentazione attestante il danno fisico subito e che, come accertato nel giudizio di fatto operato dai giudici del merito, non figura compreso nel danno risarcito dall’erogazione tassata.

Con il secondo motivo si assume omessa motivazione e comunque omesso esame di alcune circostanze dirimenti e controverse ai fini della dimostrazione della natura meramente risarcitoria delle somme in questione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Con tale motivo si ripropone la questione della natura del risarcimento sollevata al motivo precedente, sotto il profilo delle prove che si assumono non correttamente valutate.

Con il terzo motivo si lamenta omesso esame, e, comunque, omessa motivazione relativamente a fatti decisivi e controversi inerenti la non imponibilità delle somme soggette a ritenute d’acconto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alla individuazione di almeno parte del risarcimento da imputarsi al danno fisico e conseguentemente non imponibile.

Anche tali ultimi due motivi sono inammissibili perchè riguardano la valutazione di prove e l’accertamento già compiuto dal giudice del merito non rivisitabili in sede di legittimità se compiutamente e logicamente motivati, come nel caso in esame e come detto riguardo al primo motivo.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 13.300,00 oltre alle spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13 comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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