Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18366 del 31/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18366 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 7603-2011 proposto da:
RADIO TELE SPAZIO S.P.A. 01333130795, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DELLA FREZZA 59, presso lo
studio dell’avvocato MIRIGLIANI RAFFAELE, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1527

LAMANNA DAVIDE, DE LUCA NICOLA, SCALZO ALFONSO, BIANCO
GABRIELE;
– intimati –

Data pubblicazione: 31/07/2013

avverso la sentenza n. 346/2010 della CORTE D’APPELLO
di CATANZARO, depositata il 18/03/2010 r.g.n. 203/09;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato MIRIGLIANI RAFFAELE;

R.G. n. 7603/11
Ud. 7.5.2013

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 10
marzo 2010, ha confermato la decisione di primo grado che aveva
dichiarato illegittimo il licenziamento di Davide Lamanna e degli
altri litisconsorti indicati in epigrafe, tutti addetti alla redazione di
Radio Telespazio S.p.A., nell’ambito della procedura di cui alla
legge n. 223 del 1991, avviata da tale società per riduzione del
personale, ordinando la reintegra dei lavoratori nel posto di lavoro,
con condanna della parte datoriale

al risarcimento dei danni ed

accessori .
La Corte territoriale ha rilevato che il datore di lavoro non
aveva osservato gli adempimenti previsti dalla legge anzidetta in
merito alla individuazione dei lavoratori da licenziare.
La società avrebbe avuto infatti l’obbligo, ai sensi dell’art. 4,
comma 9, di comunicare alle organizzazioni sindacali e alla parte
pubblica le modalità seguite nell’applicazione dei criteri di scelta.
Nella specie, detta comunicazione era stata prodotta solo in
appello, ma tale produzione era inammissibile per il divieto posto
dall’art. 345 cod. proc. civ.
Peraltro, anche a voler ritenere ammissibile la produzione, la
comunicazione non era conforme ai requisiti previsti dall’art. 4,
comma 9, sopra citato, atteso che non erano stati puntualmente
indicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la società
Radio Tele Spazio sulla base di quattro motivi.
I lavoratori sono rimasti intimati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso, denunziando falsa
applicazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, la
ricorrente deduce che sentenza impugnata è errata per avere
ritenuto che

“la lettera di licenziamento dovesse contenere

licenziare”.
Essa, viceversa, deve contenere solo la notizia del recesso,
senza la necessità di alcuna motivazione.
2. Con il secondo, denunziando violazione e falsa applicazione

“dei principi sulla disponibilità della prova” e degli artt. 421 e 437
cod. proc. civ., nonché, “in subordine”, vizio di motivazione, la
ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia ammesso la
produzione, in appello, della comunicazione di cui all’art. 4,
comma 2, seconda parte, della legge n. 223 del 1991. Trattandosi
di un documento integrativo “di altri regolarmente depositati” e
indispensabile ai fini della decisione, il giudice d’appello,
avvalendosi dei poteri officiosi, avrebbe dovuto consentirne la
produzione.
3. Con il terzo motivo, denunziando falsa applicazione dell’art.
4, comma 9, 1. 223 del 1991 nonché, in subordine, vizio di
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la
ricorrente rileva che nella lettera di comunicazione del recesso a
ciascuno dei lavoratori, “pur senza il dettaglio, era stata indicata

l’applicazione dei criteri legali fissati per la selezione del personale”.
Aggiunge, quanto alla comunicazione all’Ufficio regionale del
lavoro e della massima occupazione, che, con riguardo ai criteri di
scelta, era stato precisato che l’intero reparto della redazione era
stato posto in mobilità, onde

“non aveva alcuna funzione

strumentale la formalità della loro selezione”.
Su tali punti, rileva, la Corte di merito ha omesso di motivare.
4. Con il quarto motivo, denunziando violazione dell’art. 112
cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che il giudice d’appello ha

esaustiva indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da

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omesso di pronunciare in ordine al contestato riconoscimento delle
retribuzioni, a favore dei lavoratori, dalla data del licenziamento
sino a quella della reintegra. Parimenti, non era stata esaminata la
censura, riguardante i lavoratori Bianco e Lamanna, relativa

all’aliunde perceptum
connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
La Corte di merito ha posto, alla base della decisione, la
mancata produzione in primo grado della comunicazione di cui
all’art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991, nella parte in cui è
previsto che l’impresa, dopo aver comunicato per iscritto a
ciascuno dei lavoratori il recesso, nel rispetto dei termini di
preavviso, deve comunicare contestualmente per iscritto all’Ufficio
regionale del lavoro e della massima occupazione, alla
Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di
categoria l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con
l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di
residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del
carico di famiglia, con puntuale indicazione delle modalità con le
quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1
(carichi di famiglia, l’anzianità, esigenze tecnico produttive od
organizzative).
Tale comunicazione è finalizzata a consentire ai lavoratori
interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi
amministrativi di controllare la correttezza e la trasparenza
dell’operazione. Inoltre deve avere quel livello di adeguatezza
sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perché lui – e
non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in
mobilità o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter
eventualmente contestare l’illegittimità della misura espulsiva
(Cass. 9.8.2004 n. 15377; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455;
Cass. 8 novembre 2007 n. 23275; Cass. 5 agosto 2008 n. 21138;
Cass. 6.6.2011 n. 3603).

5. I primi tre motivi del ricorso, che in ragione della loro

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La violazione della procedura di cui all’art. 4 della legge n.
223 del 1991 comporta l’inefficacia del recesso (art. 5, comma 3).
Assume la ricorrente che il giudice d’appello avrebbe dovuto
consentire la produzione di detta comunicazione, trattandosi di un
documento integrativo “di altri regolarmente depositati”.
questione, infatti, aveva non già carattere integrativo, ma era
determinante al fine di accertare la trasparenza del potere
decisionale del datore di lavoro di operare il recesso ed assolveva
alla funzione di tutelare, oltre gli interessi delle organizzazioni
sindacali, quello dei lavoratori alla conservazione del posto di
lavoro e, in particolare, alla verifica dei criteri di scelta sotto il
profilo del loro carattere di generalità, obiettività e coerenza con il
fine dell’istituto della mobilità.
Inoltre, sotto altro profilo, l’ammissione in grado d’appello del
documento in questione avrebbe introdotto altri temi di indagini in
relazione al contenuto dello stesso ed in particolare ai criteri di
scelta adottati dal datore di lavoro.
Correttamente dunque il giudice del merito ha negato
ingresso a tale documento, rilevandone la tardività.
Deve al riguardo rilevarsi che nel processo del lavoro i poteri
istruttori d’ufficio in grado d’appello non possono essere esercitati
in presenza di una colpevole inerzia della parte interessata ovvero
per supplire ad una carenza probatoria della parte stessa. Inoltre
tali poteri possono essere esercitati sempre con riferimento a fatti
oggetto di contraddittorio delle parti, che richiedono ulteriori
approfondimenti, e non già quando concernono circostanze che
investono il nucleo essenziale della decisione, quali nella specie i
criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.
Peraltro, come risulta dalla sentenza impugnata,
diversamente da quanto assume la ricorrente, la comunicazione di
avvio della procedura riguardava diciotto lavoratori, di cui sette

L’assunto non può essere condiviso. Il documento in

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addetti alla redazione, onde rivestiva particolare importanza il
criterio prescelto dal datore di lavoro per i licenziamenti.
I motivi in esame, assorbita ogni altra censura, devono
pertanto essere rigettati.
6. Anche il quarto motivo è infondato.

anche nella parte in cui l’odierna ricorrente è stata condannata, ex
art. 18 St. lav., al pagamento delle retribuzioni a favore dei
lavoratori a decorrere dalla data del licenziamento sino a quella
della reintegra. Così facendo ha implicitamente rigettato la censura
della società – che aveva contestato l’applicabilità di tale
disposizione -, in conformità al disposto di cui all’art. 5, comma 3,
della legge n. 223 del 1991, che espressamente stabilisce che al
recesso di cui all’art. 4, comma 9, del quale sia stata dichiarata
l’inefficacia o l’invalidità, si applica l’art. 18 della legge 20 maggio
1970 n. 300 e successive modificazioni.
E’ infine inammissibile, per violazione del principio di
autosufficienza, la censura riguardante i lavoratori Bianco e
Lamanna, relativa all’aliunde perceptum, non avendo la ricorrente
esposto i termini in cui essa è stata proposta, richiamando nel
ricorso la “pag. 9, 3° periodo dei rispettivi atti di appello”.
7. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato
Non v’è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio,
stante la mancata costituzione dei lavoratori.
P. Q . M .
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2013.

La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado

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