Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18365 del 31/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18365 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA
sul ricorso 10204-2011 proposto da:
PANTA REI S.R.L. 01797560602, in persona del legale
rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA,
VIALE ANGELICO 70, presso lo studio dell’avvocato
ROEFARO BARBARA, rappresentata e difesa dall’avvocato
FURLAN VANDA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1375

MAIORANI

MARIO

MRNMRA60L19F534Q,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo
studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo

Data pubblicazione: 31/07/2013

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 6940/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/09/2010 R.G.N.
5602/2006;

udienza del 17/04/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato PUCCI MASSIMILIANO per delega
ASSENNATO GIUSEPPE SANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con sentenza del 21/9 — 28/9/10 la Corte d’appello di Roma ha rigettato
l’impugnazione proposta dalla Panta Rei s.r.I awerso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale di Velletri che l’aveva condannata a pagare a Mario Maiorani

subordinato di autista intercorso tra le parti.
La Corte ha spiegato il proprio convincimento sulla base delle seguenti
considerazioni: la memoria difensiva di primo grado della società non conteneva
alcuna contestazione dei fatti costitutivi della pretesa creditoria del dipendente; nel
corso dell’interrogatorio formale il legale rappresentante della convenuta aveva
affermato di non conoscere l’orario di lavoro osservato dal Maiorani e nell’atto
d’appello la ricorrente aveva riconosciuto di non aver contestato i presupposti di
fatto della domanda, essendosi limitata ad affermare di aver corrisposto più di
quanto richiestole; il lavoratore non aveva smentito i propri conteggi e non aveva
modificato la propria deduzione in merito a quanto realmente percepito; le ricevute
non contenevano un preciso riferimento al titolo di pagamento, ma solo un
generico richiamo al saldo di ogni competenza per lavoro ordinario e straordinario;
i prospetti paga erano stati firmati solo per la loro ricezione e non per ricevuta delle
somme in essi indicate; le contestazioni della società in ordine ai conteggi erano
tardive, mentre le allegazioni del lavoratore in merito allo straordinario non erano
generiche.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la Panta Rei s.r.I che affida
l’impugnazione a due motivi di censura.
Resiste con controricorso il Maiorani.
Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e
falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., la società ricorrente contesta l’affermazione

1

À,v5

la somma di € 7201,43 a titolo di differenze retributive relative al rapporto di lavoro

contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la memoria difensiva di
primo grado non faceva riferimento ai fatti costitutivi della pretesa avversaria,
posto che l’unica censura in quella sede espressa era rappresentata dalla tesi
della datrice di lavoro di aver corrisposto più del dovuto, assumendo che, al

la Corte di merito al convincimento opposto, stante la chiara indicazione in esso
degli emolumenti effettivamente corrisposti e documentati dalle buste paga e dalle
ricevute sottoscritte dal Maiorani ed il loro raffronto con quanto preteso da
quest’ultimo. Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, era onere del lavoratore
contestare specificatamente l’assunto della società sulle retribuzioni corrispostegli,
non essendo, invece, sufficiente il richiamo ai conteggi dal medesimo presentati
col ricorso.
2. Attraverso il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., la
ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2733
cod. civ. e nel contestare quanto affermato dalla Corte territoriale in ordine alla
tardività della proposizione delle sue eccezioni che investivano il merito della
pretesa avversaria, assume che, al contrario, avrebbe dovuto essere onere del
lavoratore quello di dimostrare di aver percepito somme inferiori rispetto a quelle
indicate nelle buste paga e di aver svolto lo straordinario per il quale aveva chiesto
somme ulteriori rispetto a quelle segnate in tali prospetti. Aggiunge la ricorrente
che la menzione del pagamento a saldo contenuta nelle buste paga non avrebbe
potuto essere superata dal giudicante col rilievo che i pagamenti stessi erano da
ritenere parziali, considerando anche che il lavoratore si era limitato a contestare
sostanzialmente l’indennità chilometrica ed aveva affermato di aver ricevuto la
retribuzione per le altre voci stipendiali. Quindi, non potevano considerarsi tardive
le eccezioni svolte da essa società, posto che già in primo grado erano state
prodotte le ricevute e le buste paga con le sottoscrizioni a saldo.

contrario, una corretta lettura del suddetto atto difensivo avrebbe dovuto condurre

Osserva la Corte che i predetti motivi possono essere trattati congiuntamente in
quanto tra loro connessi essendo unitaria la questione ad essi sottesa, seppur
prospettata sotto il duplice aspetto del vizio di violazione di legge e di
motivazione..

Anzitutto, le censure non investono un punto fondamentale della decisione
impugnata, vale a dire quello in cui è posto in risalto la circostanza per la quale la
società appellante non aveva contestato i presupposti di fatto della domanda del
lavoratore, essendosi limitata ad affermare di avergli corrisposto più di quanto
richiestole.
Infatti, la Corte di merito ha messo in risalto che non solo il legale rappresentante
della società aveva affermato, nel corso dell’interrogatorio formale, di non
conoscere l’orario di lavoro, ma anche che nello stesso atto d’appello la società
aveva riconosciuto di non aver contestato i presupposti di fatto della domanda,
come ad esempio l’orario di lavoro.
Inoltre, le censure non superano nemmeno il rilievo, contenuto nell’impugnata
sentenza, per il quale le ricevute prodotte dalla società non contenevano un
preciso riferimento ai titoli di pagamento, ma solo un generico richiamo al saldo di
ogni competenza, considerazione, questa, dalla quale i giudici d’appello hanno
tratto la logica conseguenza che era mancata la prova che tali ricevute si
riferissero esattamente ai titoli dedotti in ricorso dal lavoratore per somme pretese
come differenze retributive a credito, così pervenendo alla conclusione, supportata
da adeguata motivazione, che gli importi in esse indicati erano da considerare solo
quali pagamenti parziali di quelli segnati nei prospetti paga.
Va, altresì, osservato che la tardività delle eccezioni attinenti alla quantificazione
delle differenze retributive reclamate dal dipendente, così come rilevata
puntualmente dalla Corte di merito, non può ritenersi sanata solo perché la difesa
della società assume che in primo grado erano state prodotte le ricevute di

Il ricorso è infondato.

pagamento: invero, è stato giustamente posto in risalto dai giudici d’appello che la
sottoscrizione di tali ricevute non equivaleva a riconoscimento della
corrispondenza delle somme in esse indicate a quelle realmente percepite, atteso
che i prospetti paga risultavano firmati solo per ricevuta del documento e per

per il lavoratore.
Quanto alla doglianza sulla mancanza di prova dello straordinario è sufficiente
osservare che sono rimaste insuperate le affermazioni della Corte d’appello circa
la sufficienza delle allegazioni del lavoratore al capitolo n. 3 del ricorso di primo
grado relative alla indicazione dei giorni di lavoro a settimana e circa il riscontro
sul suo effettivo svolgimento ottenuto all’esito delle prove testimoniali e
documentali.
A quest’ultimo riguardo è utile ricordare che “il difetto di motivazione, nel senso di
sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del
motivo previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile
soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale
risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi
che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile
l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento
logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo
convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed
alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice
di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si
risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una
nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del
giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata
dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa

controllo della somma, che però non poteva ritenersi solo per questo vincolante

vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le
argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come
accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso
ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili

Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro
complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello
appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro,
oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali e
documentali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano
affatto le censure di omessa disamina mosse col presente ricorso.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo con loro attribuzione all’aw. G. Sante Assennato,
dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio
nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 50,00 per esborsi, oltre
accessori di legge, con attribuzione all’avv. Assennato.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2013
Il Consigliere estensore

con esse”. (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007)

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