Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18364 del 06/08/2010

Cassazione civile sez. III, 06/08/2010, (ud. 25/06/2010, dep. 06/08/2010), n.18364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BANCA POPOLARE SANT’ANGELO COOP S.P.A. (OMISSIS), in persona del

suo Vice Presidente pro tempore e legale rappresentante, Dott. Prof.

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

19, presso lo studio dell’avvocato PERITORE ANNA RITA, rappresentata

e difesa dagli avvocati PERITORE VINCENZO, PERITORE GIUSEPPE, giusta

procura speciale del Dott. Notaio ANGELO COMPARATO in LICATA (AG) del

02/02/2006, REP. N. 92731, in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

V.V.M. (OMISSIS);

– intimata –

e sul ricorso n. 9927/2006 proposto da:

V.V.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S.

MARIA MEDIATRICE 1, presso lo studio dell’avvocato BUCCI FEDERICO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GALLO MANLIO giusta delega a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

e contro

BANCA POPOLARE SANT’ANGELO COOP S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 673/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 15/04/2005, depositata il 19/05/2005

R.G.N. 1168/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/06/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

assorbito l’incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Banca Popolare Sant’Angelo, Societa’ cooperativa per azioni, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 19 maggio 2005, con la quale la Corte d’Appello di Palermo ha dichiarato inammissibile per tardivita’, sull’assunto dell’inapplicabilita’ alla controversia della sospensione feriale dei termini, l’appello da essa ricorrente proposto avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Agrigento aveva parzialmente accolto l’opposizione proposta da V.V.M. avverso una procedura di pignoramento presso terzi, radicata nel 1995 dalla Banca presso l’allora Pretura di Agrigento, Sezione Distaccata di Licata. L’inammissibilita’ e’ stata dichiarata perche’ non sarebbe stato osservato il termine c.d.

breve per la proposizione dell’appello, che era decorso dalla notificazione della sentenza fatta eseguire dall’intimata alla qui ricorrente.

2, Al ricorso, che prospetta dieci motivi, la V.V. ha resistito con controricorso, nel quale ha svolto anche un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il ricorso incidentale va riunito al principale, in seno al quale e’ stato proposto.

2. Con il primo motivo del ricorso principale si prospetta testualmente: “Eccezione di incostituzionalita’ relativa all’opposizione all’esecuzione. Violazione della L. 7 ottobre 1969, n. 72, art. 3. Errata applicazione del principio di unicita’ di trattamento tra le cause di opposizione all’esecuzione e quelle di opposizione agli atti esecutivi in relazione alla sospensione dei termini feriali”.

Vi si censura la sentenza impugnata per avere escluso la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita’ che era stata prospettata dalla ricorrente sotto il profilo della irragionevolezza della sottrazione dell’opposizione all’esecuzione alla sospensione feriale dei termini, a fronte della soggezione alla stessa – che, ad avviso della ricorrente, non sarebbe esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte – dell’opposizione agli atti esecutivi, ancorche’ essa sia sottoposta, quanto alla proposizione a termini decadenziali.

2.1. Il motivo e’ inammissibile, perche’ denuncia come vizio della sentenza impugnata riconducibile all’ambito dell’art. 360 c.p.c. l’avere escluso la non manifesta infondatezza di una questione di costituzionalita’, il che, invece, integra una valutazione del giudice di merito che di per se’ non puo’ costituire vizio della sentenza che quel giudice abbia pronunciato, bensi’ soltanto situazione che legittima la parte interessata, che eserciti il diritto di impugnazione con il ricorso per cassazione, a riprospettare alla Corte di cassazione la questione di costituzionalita’, sollecitandola a valutarne la non manifesta infondatezza e, quindi a rimetterne la decisione alla Corte Costituzionale, in vista della pronuncia di incostituzionalita’ della norma denunciata e della conseguente ricaduta della declaratoria di illegittimita’ costituzionale della norma censurata sul giudizio, in modo da giustificare la cassazione della sentenza impugnata.

Il ricorso, viceversa, non contiene alcuna riproposizione della questione di costituzionalita’ e nessuna sollecitazione alla Corte a sollevarla, ma postula che il riconoscimento della erroneita’ della valutazione di esclusione della non manifesta infondatezza di essa da parte della Corte palermitana dovrebbe di per se’ giustificare la cassazione della sentenza. Il che e’ contrario alla attribuzione al giudice dell’impugnazione e, quindi, alla Corte di cassazione di un potere di valutazione della non manifesta infondatezza della questione che deve esercitare esso stesso, d’ufficio o se sollecitatovi.

2.2. D’altro canto, se si reputasse implicita la riproposizione della questione di costituzionalita’ nell’articolazione del motivo, pur enunciato nei sensi suddetti, la questione basata, al di la’ dell’omessa individuazione dei parametri costituzionali su una pretesa disparita’ di trattamento irragionevole fra opposizione agli atti ed opposizione all’esecuzione – sarebbe caratterizzata da un’evidente carenza del requisito della non manifesta infondatezza, in quanto muove dalla deduzione palesemente erronea di un tertium comparationis inesistente. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, e’ ferma, al contrario di quanto genericamente asserisce la ricorrente, nel ritenere che anche le opposizioni agli atti siano sottratte all’operare della sospensione dei termini per il periodo feriale (da ultimo, fra tantissime, Cass. (ord.) n. 9997 del 2010 e (ord.) n. 6672 del 2010).

Il motivo, dunque, sarebbe palesemente infondato.

3. Con il secondo motivo si deduce “violazione ed errata applicazione ed interpretazione in relazione alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 “, nonche’ “contraddittorieta’, insufficiente ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia rilevabile d’ufficio”.

Vi si sostiene che oggetto del giudizio sarebbero state anche domande riconvenzionali della V.V., inerenti la condanna della ricorrente al risarcimento dei danni per avere procrastinato con l’appello lo svincolo delle somme pignorate, la richiesta di inammissibilita’ dell’appello e di due domande proposte ai nn. 1 e 2 dell’atto di appello dalla stessa ricorrente, la declaratoria di infondatezza delle domande proposte dalla Banca, la richiesta di ammissione di un appello incidentale, la dichiarazione di insussistenza del diritto di procedere all’esecuzione forzata, la subordinazione dell’esecuzione su o dell’assegnazione delle somme pari a due cambiali agrarie precettate all’infruttuosa escussione di frutti di un fondo gravato da privilegio agrario o ad una rinuncia ad un intervento in altra esecuzione immobiliare, la condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

L’esistenza di tali domande avrebbe determinato la soggezione dell’intera controversia alla sospensione.

3.1. Il motivo e’ gradatamente inammissibile e, comunque, infondato.

L’inammissibilita’ discende dalla violazione del principio di autosufficienza (in termini, per la sua applicabilita’ alla deduzione del vizio di violazione di norme sul procedimento, si veda Cass. n. 12239 del 2007, fra tante), atteso che la sede processuale in cui le (pretese) domande sarebbero state introdotte in giudizio e’ indicata in modo assolutamente generico, cioe’ con l’espressione “con la costituzione e con la domanda riconvenzionale”, la quale non e’ meglio specificata. Sicche’ la Corte non e’ messa in grado di conoscere dove cercare riscontro delle allegazioni con cui si sostanzia il motivo.

L’infondatezza emerge dal rilievo che le domande di risarcimento del danno derivato dalla proposizione dell’appello e quelle dell’art. 96 c.p.c., inerendo entrambe alla condanna ai sensi di tale norma, non hanno alcuna rilevanza ai fini dell’applicazione della sospensione (da ultimo, Cass. n. 20745 del 2009), mentre tutte le altre sono mere specificazioni della domanda di accertamento negativo del diritto di procedere all’esecuzione forzata nel che consiste l’oggetto del giudizio di opposizione all’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 615 c.p.c..

Ove, pertanto, la ricorrente avesse inteso evocare (siccome potrebbe suggerire la citazione di due precedenti nella illustrazione del primo motivo) la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 21681 del 2009), la quale, allorquando l’opposto chieda nel giudizio di opposizione all’esecuzione forzata iniziata sulla base di titolo di credito l’accertamento del credito oggetto della pretesa esecutiva, in via riconvenzionale, sulla base del rapporto causale sottostante, l’evocazione sarebbe, dunque, nel caso di specie del tutto fuor di luogo.

4. Con il terzo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 285 c.p.c., in relazione all’art. 139 c.p.c., comma 2, e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, nonche’ “contraddittorieta’, insufficiente ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia denunciato dalla parte o comunque rilevabile d’ufficio”.

Vi si sostiene:

a) che la sentenza di primo grado era stata notificata il 1 agosto 2000 soltanto ad uno dei due difensori della ricorrente, cioe’ l’avvocato Vincenzo Peritore e non anche all’avvocato Peritore Giuseppe, ancorche’ essi fossero stati nominati difensori in virtu’ di distinte procure notarili;

b) che la notifica all’avvocato Vincenzo Peritore era stata effettuata in unica copia presso lo studio dell’avocato R. A., in (OMISSIS), con qualificazione del medesimo come procuratore domiciliatario, a mani della figlia convivente R.A., mentre un tale domicilio non era stata indicato nella comparsa di costituzione innanzi al Tribunale di Agrigento e la sentenza di quel Tribunale aveva indicato i due Peritore come “procuratori e domiciliatari” in forza di procure generali notarili e sul “bollo” della comparsa figurava indicato lo studio dell’avvocato Peritore in Licata, via Morello n. 7;

c) che durante il periodo feriale l’avvocato R., “approfittando della sospensione”, si era sottoposto ad un intervento chirurgico, come da certificazione prodotta in appello, ed era venuto a conoscenza della notifica soltanto al rientro da (OMISSIS), cioe’ il (OMISSIS);

d) che, fermo restando che nessuna domiciliazione v’era stata nella comparsa di risposta in primo grado, la consegna alla figlia convivente dell’avvocato R., in quanto la stessa non era addetta allo studio, bensi’ soltanto familiare convivente del medesimo, non avrebbe integrato una valida notificazione, giusta i principio affermato da Cass. sez. un. n. 14792 del 2005;

e) che tutte tali circostanze non erano state considerate dalla sentenza impugnata, la quale erroneamente aveva considerato decorso il termine breve dalla notifica de qua.

4.1. Il motivo e’ nuovamente gradatamente inammissibile e comunque infondato.

E’ inammissibile in toto per violazione del principio di autosufficienza, in quanto non indica la sede processuale in cui gli atti processuali cui fa riferimento sarebbero esaminabili in questa sede, ove prodotti e nemmeno – salvo, per la verita’, che per la relata della notificazione, che viene riprodotta successivamente in apertura dell’illustrazione del quarto motivo – ne riproduce il contenuto (si veda ancora Cass. n. 12239 del 2007, citata).

E’ inammissibile quanto alla censura circa l’insussistenza del domicilio presso l’avvocato Rubino, perche’ non si fa carico della motivazione della sentenza impugnata, la quale non ha individuato lo stessei sulla base di una elezione avvenuta nel giudizio, bensi’ sulla base della previsione di legge del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 10 cioe’ quale domicilio risultante dall’iscrizione all’albo, in presenza di una situazione nella quale i due difensori della qui ricorrente, non avendo indicato un domicilio ai fini della controversia innanzi al Tribunale di Agrigento ed essendo residenti in (OMISSIS), risultavano domiciliati presso l’avvocato R., come dalle risultanze dell’albo professionale.

Tale motivazione non viene criticata in alcun modo e, pertanto, sul punto della domiciliazione presso quel legale si e’ formato giudicato interno, il che preclude la censura de qua, la’ dove sostiene che quella domiciliazione non vi era stata.

4.2. La censura apparentemente esaminabile e’ allora soltanto quella in ordine alla nullita’ della notificazione della sentenza perche’ la consegna della copia notificata sarebbe stata eseguita a soggetto non legittimato a riceverla in luogo del destinatario, perche’ suo familiare convivente.

La questione appare, pero’, nuova ed inammissibile, perche’ la sentenza impugnata non la considera in alcun modo e, dunque, occorreva indicare dove nel giudizio di appello essa era stata dedotta. Infatti, a seguito dell’eccezione di tardivita’ dell’appello per inosservanza del termine breve, formulata dalla qui resistente, la ricorrente avrebbe avuto l’onere, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2 di dedurre in replica avverso di essa la controeccezione di pretesa nullita’ della notificazione della sentenza di primo grado per inosservanza delle norme relative alla consegna a persona diversa dal destinatario e non legittimata a riceverla, non essendo la relativa questione rilevabile d’ufficio.

Infatti, secondo una non recente giurisprudenza di questa Corte:

a) “se la parte destinataria della notificazione di una sentenza, nel proporre appello oltre il termine breve decorrente da tale notificazione, nulla deduca in ordine alla nullita’ della notificazione della sentenza impugnata, il giudice non puo’ rilevare tale nullita’ d’ufficio, (nella specie, la sentenza era stata notificata alla parte presso il procuratore domiciliatario, mediante consegna di copia al portiere, senza che nella relata fosse data notizia della Mancanza delle persone indicate nell’art. 139 cod. proc. civ., comma 2; l’appellato, costituitosi in giudizio, aveva eccepito l’inammissibilita’ dell’appello perche’ proposto oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza; e soltanto nella memoria per il collegio l’appellante aveva dedotto la nullita’ della notificazione della sentenza impugnata. Con la sentenza confermata dalla SC, la Corte d’appello aveva dichiarato l’appello inammissibile perche’ tardivo)” (cosi’ Cass. n. 1766 del 1974), b) “il giudice dell’appello ha il dovere di accertare di ufficio la regolarita’ del procedimento e, quindi, anche l’ammissibilita’ del gravame proposto entro l’anno dalla pubblicazione della sentenza ma dopo trenta giorni dalla sua notificazione con riferimento alla persona – parte o difensore – cui era stata diretta, mentre la parte destinataria della notificazione, nel proporre appello oltre il termine breve, ha l’onere di dedurre la nullita’ – non, quindi, la inidoneita’ ai fini in questione – della notificazione medesima (sicche’ il giudice non puo’ rilevarla d’ufficio), soltanto ove la nullita’ riguardi la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi sia incertezza assoluta sulla persona a cui e’ fatta o sulla data, a norma dell’art. 160 cod. proc. civ.” (Cass. n. 3091 del 1982).

Questa giurisprudenza suggerisce anzi – al di la’ della problematica della non rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ di cui si discorre – la considerazione che la parte che esercita il diritto di impugnazione dopo aver ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, essendo onerata di dimostrare la tempestivita’ del suo esercizio, quando eserciti detto diritto oltre il termine breve astrattamente decorso dalla notificazione, ha l’onere di dedurre sia l’inidoneita’ della notificazione perche’ non avvenuta ai sensi dell’art. 285 c.p.c., sia, ancorche’ avvenuta ai sensi di tale norma, l’esistenza di una difformita’ dallo schema legale che ne determini la nullita’ e, quindi, in particolare, l’eventuale nullita’ per consegna a persona diversa da quella del procuratore domiciliatario, che non sia legittimata a ricevere la consegna ai sensi dell’art. 139 c.p.c..

A ben vedere, dunque, la qui ricorrente avrebbe dovuto dedurre la pretesa nullita’ che qui prospetta fin dall’atto di appello e non sarebbe stata legittimata a dedurla in replica all’eccezione di tardivita’ formulata dalla qui resistente.

4.3. La censura in parte qua sarebbe, peraltro, anche priva di pregio.

E’ regola generale, infatti, che “alla notificazione effettuata presso il domiciliatario ai sensi dell’art. 141 cod. proc. civ. sono applicabili le disposizioni di cui all’art. 139 cod. proc. civ. in ordine alla persona cui puo’ essere consegnata la copia dell’atto da notificare, con la conseguenza che se l’ufficiale giudiziario non rintracci il domiciliatario stesso, la consegna puo’ essere validamente effettuata ad una persona di famiglia o addetta alla casa. In tal caso grava su chi contesta la validita’ della notificazione l’onere di dimostrare l’occasionalita’ della presenza del consegnatario” (Cass. n. 5109 del 1999).

Ed e’ regola espressione di detta regola generale che “la consegna dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario e consentita sia quando la notificazione avvenga nella casa di abitazione, sia quando avvenga nel luogo in cui il destinatario ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio, con la conseguenza che, dovendosi ritenere l’espressione persona di famiglia comprensiva non solo delle persone in rapporto di stabile convivenza con il destinatario, ma anche dei soggetti a lui legati da vincoli di sangue o di parentela comportanti diritti e doveri reciproci che implicano la presunzione della successiva consegna dell’atto al notificando, la validita’ della notificazione puo’ essere esclusa unicamente quando venga accertata la presenza, del tutto occasionale e momentanea, del parente consegnatario nel luogo di effettuazione della stessa:

estremo questo non ravvisabile relativamente ad una notifica eseguita ai sensi degli artt. 170 e 285 cod. proc. civ. nello studio del procuratore domiciliatario della parte, mediante consegna dell’atto al figlio del medesimo, che abbia accettato di riceverlo in tale veste e dichiarando altresi’ la sua qualita’ di avvocato (esercente in detto studio, alla stregua del timbro apposto sull’atto di impugnazione)”. (Cass. n. 3134 del 1981).

Nella specie, dunque, la figlia dell’avvocato R. era pienamente legittimata ai sensi dell’art. 139 c.p.c., comma 2, a ricevere la notificazione, posto che la stessa ricorrente non mette in dubbio che fosse familiare convivente del medesimo.

5. Il quarto motivo deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 285 c.p.c., in relazione agli artt. 325 e 326 c.p.c.”, nonche’ “erronea applicazione e contraddittorieta’ di motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Vi si sostiene che la relata di notificazione della sentenza di primo grado sarebbe del seguente tenore: “…. ho notificato il sopraesteso atto ai sigg.ri avv.ti Vincenzo e Giuseppe Peritore, difensori della Banca Popolare Sant’Angelo, mediante consegna di copia c/o il domiciliatario avv. R.A., via (OMISSIS), a mani della convivente figlia A.”.

Vi si assume che dal contenuto della relata non risulterebbe a quale dei difensori della ricorrente la notifica era stata fatta e si lamenta che la consegna era stata fatta comunque in unica copia, onde erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto regolare la notificazione. Viceversa, la notificazione non solo doveva essere eseguita in due copie quanti erano i difensori, ma anche con la precisa indicazione del difensore a cui veniva notificata la singola copia.

5.1. Anche questo motivo e’ gradatamente inammissibile e comunque privo di fondatezza.

L’inammissibilita’ discende in prima battuta sempre dalla violazione del principio di autosufficienza, questa volta solo sotto il profilo della mancata indicazione della sede in cui la relata potrebbe essere esaminata, se prodotta, in questa sede di legittimita’.

In seconda battuta, discende dalla novita’ delle due questioni proposte, non considerate dalla sentenza impugnata. Cio’, sempre per le ragioni indicate a proposito del motivo precedente circa l’onere dell’esercente il diritto di impugnazione di dedurre con l’atto di esercizio di detto diritto le nullita’ afferenti alla notificazione della sentenza quando pretenda di esercitare il suo diritto oltre il termine breve.

Il motivo e’ anche in contraddizione con quanto si asserisce nel precedente motivo, dove si sostiene che il destinatario della notificazione era stato l’avvocato Vicenzo Peritore, presso il domiciliatario avvocato R..

Il motivo e’, comunque, infondato, perche’ non si e’ sostenuto che il mandato ai due avvocati Peritore fosse congiuntivo, onde, dovendosi supporre che fosse disgiuntivo, essi avevano ognuno la capacita’ di essere destinatari della notificazione, che, pertanto non doveva avvenire ad entrambi (cio’, espressione del principio generale per cui i difensori costituiti con rappresentanza disgiuntiva – che come e’ noto si presume sono legittimati ognuno a ricevere le notificazioni e comunicazioni processuali, e’ stato ritenuto per un’impugnazione con regolamento di competenza della sentenza comunicata ad uno solo dei difensori: si veda Cass. n. 1311 del 1975).

6. L’esame degli altri sei motivi, una volta disattesi i primi quattro e rimasta confermata la declaratoria di inammissibilita’ dell’appello per tardivita’, resta precluso ed assorbito, perche’ essi concernono questioni che suppongono che l’appello fosse ammissibile.

6.1. Tanto comporta anche l’assoluta irrilevanza di quanto parte ricorrente allega nella memoria, adducendo un fatto nuovo sopravvenuto al ricorso e relativo a quanto aveva dedotto nel quinto motivo di ricorso.

Con tale motivo si era dedotta “violazione e falsa applicazione degli artt. 38, 39 e 40, in relazione all’art. 273 e all’art. 295 c.p.c. (ne bis in idem)”, nonche’ “omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, rilevabile dalla parte o, comunque, rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5”, adducendosi che nella comparsa conclusionale del giudizio di appello (in data 11 ottobre 2004) si era eccepita la violazione del ne bis in idem per la sussistenza di un precedente giudizio tra le stesse parti relativo ad altra opposizione proposta il 13 aprile del 1984 dalla V. V. avverso altra esecuzione forzata iscritta nel 1981 dalla Banca qui ricorrente e nella quale erano intervenuti altri istituti creditizi. Tale giudizio era stato deciso dal Tribunale di Agrigento con sentenza n. 175 del 1996, che aveva rigettato l’opposizione e detta sentenza era stata confermata in appello dalla Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 339 del 2002, prodotta all’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello, tenutasi il 17 novembre 2004.

Si sostiene che sulla base di dette produzioni la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare l’esistenza della litispendenza o del giudicato.

Ora, nella memoria, si deduce che con sentenza n. 10569 del 2007 questa Corte ha confermato la sentenza n, 339 del 2002 e si eccepisce, producendosi la sentenza della Corte, che si sarebbe formato giudicato sull’azione oggetto della controversia cui si riferisce il ricorso in esame per la sua identita’ rispetto a quella oggetto dell’altra controversia.

Siffatta sollecitazione al rilievo del giudicato e’ inammissibile per la stessa ragione per cui il quinto motivo e’ assorbito (motivo che, comunque, sarebbe stato inammissibile, ove scrutinabile, per difetto di autosufficienza, atteso che non solo nessuna indicazione si fornisce della sede processuale nella quale nel giudizio di merito erano stati eventualmente introdotti l’atto con cui la V. V. aveva proposto l’altra opposizione e gli atti evidenzianti l’oggetto dell’altra esecuzione opposta, ma nemmeno si indica se e dove questi atti sarebbero esaminabili, ove prodotti, in questa sede di legittimita’ e neppure se ne trascrive il contenuto: in termini si veda, fra tante, sempre Cass. n. 12239 del 2007).

Invero, il rigetto dei primi quattro motivi di ricorso ed il conseguente passaggio in giudicato della statuizione della Corte territoriale in ordine all’inammissibilita’ dell’appello e, quindi, l’altrettanto consequenziale conferma della statuizione della sentenza di primo grado del Tribunale di Agrigento, emessa nella controversia oggetto del presente ricorso, sulla base del suo passaggio in cosa giudicata per il tardivo esercizio del diritto di impugnazione, determinano una situazione per cui da un lato nel giudizio di appello non poteva esaminarsi alcuna questione relativa al merito dell’appello e, quindi, non poteva introdursi alcuna questione ad esso relativa, come quella introdotta con l’invocazione della pendenza dell’altro giudizio (a prescindere naturalmente dalla questione della effettiva sua identita’ con quello oggetto del ricorso) e dall’altro lato rende irrilevante la deduzione della sopravvenienza al ricorso relativa alla sorte di quell’altro giudizio.

7. Il ricorso principale e’, conclusivamente, rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.

8. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale condizionato. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemiladuecento/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2010

 

 

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