Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18356 del 07/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/09/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 07/09/2011), n.18356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Mazzini n. 134,

presso lo studio dell’Avv. Fiorillo Luigi, che la rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.M., elettivamente domiciliata in roma, via degli

Scipioni n. 110, presso lo studio dell’Avv. Marando Francesca,

rappresentata e difesa dall’Avv. Benino Migliaccio per procura

rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3700/09 della Corte d’appello di Napoli,

pronunziata in causa n. 7134/04 r.g. lav., depositata in data

2.07.09;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12.07.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Gaeta Pietro.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- Con sentenza del Tribunale di Santa Maria C.V. veniva accolta la domanda proposta da tinelli Monica di dichiarare nullo il termine apposto al contratto di lavoro con cui egli era stata assunta alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a., stipulato per fare fronte ad “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane” per il periodo 21.6-18.8.99. Dichiarata la nullità del termine, il giudice condannava la società a riammettere in servizio il dipendente ed a corrispondendogli la retribuzione dalla notifica del ricorso introduttivo.

2.- Proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Napoli con sentenza depositata il 2.7.09 rigettava l’impugnazione.

Rilevava la Corte di merito che il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva che nella specie il termine fosse illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui F. rispondeva con controricorso.

Il consigliere relatore ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c. ha depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza.

4.- I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere sintetizzati come segue.

4.1. Con il primo motivo Poste Italiane deduce violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e degli accordi sindacali 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.01, in connessione con gli artt. 1362 c.c. e seguenti in quanto la sentenza si fonderebbe sull’erronea convinzione che l’art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti l’assunzione a termine per situazioni tipicamente aziendali, non direttamente collegate ad occasioni precarie di lavoro.

4.2.- Con il secondo motivo è dedotta omessa ed insufficiente motivazione, in relazione all’affermazione che l’accordo integrativo 25.9.97 conterrebbe una limitazione temporale, desumibile dagli accordi attuativi 25.9.97 (stessa data dell’integrativo), 16.1.98 e 27.4.98, i quali, invece, avevano solo l’obiettivo di ribadire l’esistenza di una delle regioni previste dall’integrativo 25.9.97.

4.3.- Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 1217 e 1233 c.c., sostenendosi che, per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore nella specie ha diritto al pagamento delle retribuzioni solo dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore, offrendo la prestazione lavorativa.

5.- I primi due motivi, da trattare in unico contesto, sono infondati, in ragione della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

6.- La L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione di nuove ipotesi di apposizione del termine al rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).

Con tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, tanto che la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con essi le parti abbiano voluto riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante le esigente eccezionali menzionate da detto accordo integrativo. Dato che per far fronte a tali esigenze l’impresa poteva procedere ad assunzione di personale con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98, i contratti a termine successivamente stipulati mancano di presupposto normativo.

In altre parole, le parti collettive avevano raggiunto un’intesa priva di limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi che tale limite avevano posto, fissandolo inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378). Conseguentemente i contratti scaduti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo- negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva, che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto all’accertamento della nullità si era già perfezionato. Quando anche con quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (ormai scaduto in forza degli accordi attuativi), in ogni caso sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi perchè adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

7. Essendo stato il contratto a termine di F., oggetto della pronunzia impugnata, stipulato per il periodo 21.6-18.08.99, il termine era illegittimamente apposto ed i motivi sono da ritenere infondati.

8.- E’, invece, inammissibile il motivo sub 4.3, a proposito del risarcimento del danno.

Parte ricorrente impugna la sentenza sostenendo che il lavoratore, a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine, ha diritto al pagamento delle retribuzioni solo dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore, offrendo la prestazione lavorativa.

Tale principio risulta fedelmente accolto dal giudice di merito, il quale, con valutazione di merito incensurabile in questa sede, ha accertato che la costituzione in mora è concretizzata alla data della notifica del ricorso introduttivo con cui parte la lavoratrice ha manifestato il suo interesse alla prosecuzione del rapporto ed ha “quindi implicitamente messo a disposizione della società appellante le sue energie lavorative”.

9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono essere distratte in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa, con distrazione a favore dell’avv. Benino Migliaccio.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2011

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