Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1835 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 28/01/2010), n.1835

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – rel. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28564-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

ITALKALI ITALIANA SALI ALCALINI SPA;

– intimato –

sul ricorso 31898-2006 proposto da:

ITALKALI SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA AGOSTINO DEPRETIS 86, presso lo

studio dell’avvocato ADONNINO PIETRO, che lo rappresenta e difende

con procura speciale notarile del Not. Dr. PIETRO COSTAMANTE in

PALERMO, rep. n. 13475 del 06/11/2006;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 20/2006 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 19/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Presidente e Relatore Dott. DONATO PLENTEDA;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato GUIDA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato ADONNINO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del terzo e

quarto motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate di Palermo con rettifica della dichiarazione dei redditi presentata per il 1984 dalla società Italkali S.p.A. determinò l’imponibile per irpeg ed ilor in ragione di L. 14 miliardi circa a fronte di quanto dichiarato per irpeg (L. 1.142.696.000) e per Ilor (L. 360.253.000).

La rettifica si fondò sul riscontro di maggiori proventi tassabili e sulle riprese relative a quote di ammortamento non detraibili a spese di manutenzione e riparazione, all’indebito accantonamento in un fondo in sospensione di imposta di contributi ricevuti dalla regione Sicilia.

L’atto impositivo fu impugnato dalla società che invocò la esenzione decennale per l’ilor e la riduzione alla metà dell’irpeg, in forza del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, artt. 101 e 105 per le nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno; la società contestò inoltre tutte le riprese.

La Commissione Tributaria Provinciale riconobbe i benefici invocati e confermò la rettifica solo nei limiti di L. 340.395.516, annullando le riprese per la differenza.

La Commissione Tributaria Regionale con sentenza 23 luglio 1999 respinse l’appello dell’ufficio e quello incidentale della società osservando che dei benefici invocati il primo giudice aveva ritenuto la sussistenza fornendo congrua motivazione delle ragioni; e del pari adeguatamente motivato era stato il giudizio sulla erroneità delle riprese a tassazione.

L’Amministrazione Finanziaria propose ricorso per cassazione con cinque motivi, con riferimento ad entrambe le questioni decise;

ricorso incidentale con due motivi propose la società, lamentando carenze motivazionali in ordine alla ritenuta legittimità dell’accertamento per la parte attinente alla presenza di ulteriori componenti del reddito imponibile e in ordine alla compensazione delle spese processuali.

Questa corte con sentenza 10 gennaio 2002 n. 7403 ha respinto il primo motivo di ricorso principale, proposto con riguardo alle agevolazioni invocate ed ha accolto gli altri nonchè il primo motivo di ricorso incidentale, con assorbimento del secondo, rinviando alla commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale ha respinto l’appello principale e l’appello incidentale.

Ha ritenuto per ciò che attiene ai recuperi a tassazione, oggetto di quattro censure dell’amministrazione finanziaria, e alla ripresa a tassazione della quota di ammortamento di L. 1.042.971.052, relativa ad autovetture, furgoni e autocarri – giudicata indeducibile per la irregolare tenuta del registro dei cespiti ammortizzabili – che la circostanza che la annotazione non fosse stata fatta analiticamente, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 6 ma per gruppi in ragione del tipo e delle fatture, non comportasse la indeducibilità costituendo irregolarità formale, essendo possibile riscontrare analiticamente le fatture di acquisto dei beni e la loro concreta esistenza, sulla cui base elaborare i costi ammortizzabili.

Quanto al recupero a tassazione del contributo della regione Sicilia, destinato a coprire i costi derivanti all’azienda dal pagamento dell’indennità di fine rapporto ai dipendenti beneficiari di pensionamento anticipato, recupero effettuato perchè si era trattato di contributo in conto esercizio e non in conto capitale, come contabilizzato, ha rilevato che la società non aveva conseguito alcun beneficio reddituale, avendo esso avuto la finalità di agevolare il prepensionamento, favorendo i dipendenti interessati, allo scopo di alleggerire l’organico pletorico che si era incrementato per ragioni politiche negli anni precedenti.

Con riferimento ai costi di manutenzione e riparazione, per L. 9.385.990.556, ha osservato che la ripresa a tassazione, in considerazione del fatto che era stata superata la percentuale del 5% prevista dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 68, u.c. non fosse legittima non potendo trovare applicazione tale norma in quanto si era trattato di beni altrui detenuti in locazione.

Quanto alla doglianza dell’appellante incidentale avverso la conferma delle riprese a tassazione di L. 340.395.516 – di cui L. 145.294.134 per versamenti al personale dipendente, non assoggettati a ritenuta di acconto – fondata sull’assunto che la omissione della ritenuta può produrre effetti sanzionatori ma non trasforma il costo relativo in reddito imponibile – la commissione tributaria regionale rileva che, oltre a non essere state assoggettate a ritenuta, le somme non erano state documentate adeguatamente nè registrate nel relativo libro paga, mentre la ripresa per L. 139.595.614 corrispondeva a costi sostenuti per l’acquisto di beni ammortizzabili e come tali da patrimonializzate e quella per L. 36.382.473, corrispondente ad ammortamento anticipato – per il quale debbono ricorrere specifiche condizioni – era stata dalla società contestata genericamente e infine quella di L. 19.123.295 era giustificata dalla mancata documentazione e comunque era stata anch’essa genericamente contestata.

Propone ricorso con cinque motivi l’agenzia delle entrate; resiste con controricorso la società, che propone ricorso incidentale con due motivi. La controricorrente ha depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denunzia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, commi 1 e 2 e la inammissibilità dell’appello in sede di rinvio nonchè la parziale inammissibilità del ricorso introduttivo in primo grado per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, lett. c) e u.c., per novità delle censure di appello in sede di rinvio e per incertezza assoluta dei motivi in primo grado. Infatti:

con riguardo alle somme corrisposte al personale dipendente, mentre in primo grado si era sostenuta la deducibilità perchè di natura risarcitoria, senza ulteriore specificazione, in appello si era contestato l’assunto della indeducibilità per il fatto di non essere state sottoposte a ritenuta, così riconoscendosi la natura retributiva. Nel giudizio di rinvio inoltre per la prima volta si era invocata e prodotta la sentenza di primo grado che nel 1994 aveva annullato la separata rettifica della dichiarazione dei compensi soggetti a ritenuta, ritenendoli non imponibili, senza dimostrare perchè non fosse stato possibile produrre quel documento nel giudizio di appello;

con riguardo agli acquisti di beni ammortizzabili non di esclusiva competenza dell’anno, mentre in primo grado si era sostenuta la deducibilità D.P.R. n. 597 del 1973, ex art. 68, comma 6 perchè di modesta entità – senza specificare di quali acquisti si trattasse e quale fosse il loro valore – nel giudizio di rinvio si è dedotta la inammissibilità del rilievo perchè mosso in blocco rispetto a molteplici acquisti, senza specificazione e distinzione di quelli di ammontare superiore al costo detraibile, spettando all’ufficio l’onere di provare le eccezioni alla detraibilità; così ribaltando sull’ufficio l’assenza di specificità della propria censura, con una riduzione non ammissibile nel giudizio di rinvio;

con riguardo agli acquisti di dettaglio non documentati, mentre in primo grado si era dedotto, in modo peraltro generico, che non potesse giudicarsi inidonea la documentazione, in difetto di una definizione giuridica della inidoneità, nel giudizio di rinvio si era contestata una posta non appartenente al 1984 – non più discutibile perchè passata in giudicato in quanto non impugnata – e perchè la ripresa non aveva confutato i singoli documenti.

Aggiunge la ricorrente che inammissibili erano state anche le eccezioni all’appello dell’ufficio, proposte nel giudizio di rinvio, in quanto nuove – e ciò malgrado non rilevate di ufficio dalla commissione tributaria regionale – quali quelle sull’ammortamento cumulativo degli automezzi e sui contributi regionali, in ordine alle quali, quanto alle prime, si era lamentato nel giudizio di primo grado che il rilievo oltre a essere formale era immotivato e in quello di rinvio si era sostenuta la equivalenza del cumulo “per tipo” con quello “per anno” e con le controdeduzioni all’appello dell’ufficio si era dedotta la sopravvenuta infondatezza del rilievo per abrogazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, u.c. che peraltro era avvenuta con il D.P.R. n. 695 del 1996 (art. 5) e cioè prima del giudizio di appello; e quanto ai contributi regionali si era in primo grado sostenuta la non imponibilità perchè esclusi dalle sopravvenienze attive e nel giudizio di rinvio che fossero “in conto capitale” e poi nelle controdeduzioni che non erano stati fruiti dalla società ma da terzi.

Con il secondo mezzo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia, in quanto la commissione tributaria regionale aveva ritenuto che la irregolare annotazione nel libro degli inventari degli ammortamenti per automezzi indicati cumulativamente fosse meramente formale e non giustificasse la ripresa del costo a tassazione ogni volta che è possibile riscontrare analiticamente le fatture di acquisto dei beni e la concreta loro esistenza, senza però avere detto se ciò si è verificato – e perchè – nel caso esaminato.

Con il terzo mezzo si denunzia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, comma 2; artt. 2214, 2709 e 2697 c.c.; vizio di motivazione con riguardo a quanto oggetto della precedente censura, sotto il diverso profilo che, dovendo a norma dell’art. 16 essere indicata nel registro dei beni ammortizzabili per ciascun immobile e per ciascuno dei beni iscritti nei pubblici registri una serie di dati, le annotazioni contabili hanno funzione di prova, in quanto mirano a consentire un puntuale controllo sull’attività, non ricavabile se la posta è unica per più beni, non essendo in tal modo possibile verificare quali siano i singoli beni compresi in essa e venendo in tal modo il libro contabile a perdere il valore dimostrativo perchè incompleto.

Peraltro, aggiunge la ricorrente, la società non aveva mai in tutto il corso del giudizio indicato con elenco analitico e meno ancora prodotto fatture e documenti idonei a provare gli elementi previsti dal citato art. 16 con riferimento ai singoli veicoli (anno di acquisizione; costo originario; rivalutazioni, svalutazione, fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo d’imposta precedente, coefficiente di ammortamento praticato nel periodo d’imposta, quota annuale di ammortamento, eliminazioni dal processo produttivo).

Con il quarto mezzo si denunzia violazione del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5, D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 4.

Deduce la ricorrente che quand’anche la irregolarità di cui si tratta avesse avuto natura formale la deducibilità consentita dall’art. 74 era venuto meno con l’abrogazione ad opera del D.P.R. n. 695, art. 5; senza peraltro considerare che ai fini dell’applicazione dell’art. 74, u.c. la corte di legittimità aveva avuto modo di giudicare irregolarità sostanziali le violazioni degli obblighi relativi alla contabilità che impediscono l’attività di accertamento.

Con il quinto mezzo si denunzia violazione della L.R. Sicilia n. 100 del 1982, art. 1, e L.R. Sicilia n. 46 del 1984, art. 3, comma 1;

violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 55, comma 2, lett. a) con riferimento alla ripresa la tassazione dei contributi regionali.

Assume la ricorrente che essi costituivano un vero e proprio reddito e non potevano essere accantonati in un fondo del passivo come se fossero in conto capitale, giacchè mentre questi ultimi sono relativi a fattori di produzione duraturi e rimangono nel patrimonio dell’impresa, i contributi in questione, in quanto destinati a coprire costi di gestione, avevano carattere reddituale, come è confermato dalla L.R. n. 100, art. 1 che li definisce interventi finanziari in favore delle società collegate per il pagamento dell’indennità di fine rapporto ai dipendenti; e dal L.R. n. 46, art. 3 che li considera destinati in conto esercizio e non in conto capitale, alla copertura dei costi sostenuti dalle società interessate per le finalità previste da specifiche disposizioni di legge.

La società Italkali con il ricorso incidentale denunzia violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 3 con riguardo alla ripresa a tassazione delle somme corrisposte al personale dipendente.

Rileva che la deducibilità dei costi non è condizionata dalla mancata effettuazione delle relative ritenute d’acconto, ma solo dalla riferibilità ad attività da cui derivano ricavi o proventi che formano i reddito d’impresa.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denunzia violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 68, comma 3 con riguardo alla ritenuta indeducibilità di una quota di ammortamento accantonata nell’esercizio, pari a L. 36.382.473, sull’assunto che la contestazione del recupero fiscale era stata generica, mentre dinanzi alla commissione regionale la società aveva invocato l’art. 68, comma 3 che prevedeva la possibilità di superare in ciascun periodo d’imposta la misura massima degli ammortamenti in proporzione alla più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore, posto che l’attività si svolgeva con ciclo continuo per 350 giorni l’anno e per ventiquattrore al giorno.

Preliminarmente dei ricorsi va disposta la riunione a norma dell’art. 335 c.p.c..

Il ricorso incidentale è inammissibile.

Quanto al primo motivo va infatti osservato che non risultano censurate tutte le rationes decidendi poste a base della decisione impugnata.

La Commissione regionale ha infatti rilevato, con riguardo alle somme a vario titolo corrisposte ai dipendenti e recuperate a tassazione, che la doglianza della società contribuente non meritasse di essere accolta, perchè quei versamenti non erano stati adeguatamente documentati; non erano stati registrati nel libro paga come avrebbero dovuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74 e non erano stati, infine, sottoposti a ritenuta d’acconto.

La censura della Italkali ha ignorato la prima ratio, fondata sulla mancata documentazione degli esborsi, e nella proposizione del quesito di diritto ha anche omesso di considerare la ratio successiva, sebbene richiamata nella esposizione del motivo, avendo limitato la deduzione a sostegno della impugnazione all’assunto che la deducibilità dei costi per il personale non fosse condizionata alla effettuazione di ritenute di acconto, bensì al principio della inerenza come previsto dall’art. 75, comma 2.

In ordine a secondo la inammissibilità deriva dal difetto di autosufficienza del ricorso, nel quale si afferma che la società “dinanzi alla Commissione tributaria regionale (v. memoria 21 aprile 2006 prodotta all’udienza del 5 maggio 2006) ha difeso il proprio operato invocando la corretta applicazione del D.P.R. n. 897 del 1980, art. 68, comma 3 nel testo all’epoca vigente. Tale norma prevedeva che in materia di ammortamento anticipato la misura massima può essere superata in ciascun periodo d’imposta in proporzione alla più intensa utilizzazione dei beni rispetto a quella normale del settore”; e così conclude la ricorrente incidentale: “delle complete e convincenti argomentazioni svolte dalla società la Commissione tributaria regionale non ha tenuto alcun conto”.

Alla stregua di tale prospettazione non è dato desumere che la questione sia stata proposta nei gradi precedenti; sicchè il collegio, a fronte di una censura che suppone ritualmente introdotta tale questione, ma non ne esplicita i passaggi processuali, non può che rilevare la predetta carenza.

De ricorso principale non meritano accoglimento i primi quattro motivi.

Il primo, nella sua triplice articolazione, è inammissibile perchè deduce questioni per le quali la ricorrente difetta di interesse, essendo risultata vittoriosa nei gradi di merito.

Tali questioni avrebbero meritato l’esame in relazione al ricorso incidentale, nei termini positivi al suo accoglimento con cui sono state prospettate; e la inammissibilità di tale mezzo ne rende superflua la valutazione.

Il secondo, terzo e quarto motivo vanno esaminati congiuntamente, perchè attengono a profili diversi della medesima doglianza, afferente all’ammortamento degli automezzi aziendali, riconosciuto dai giudici di merito, per avere considerato meramente formale la irregolarità della tenuta del libro dei cespiti ammortizzabili, nel quale la annotazione era stata fatta per gruppi, in ragione del tipo e delle fatture.

Osserva la Amministrazione Finanziaria, nell’addebitare al giudice di appello la violazione dell’art. 112 c.p.c., che la sentenza ha affermato che la irregolarità è formale se è possibile il riscontro analitico delle fatture e della esistenza dei beni, ma nulla ha poi detto in ordine all’avvenuto concreto riscontro;

aggiunge che le annotazioni contabili, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, comma 2 hanno funzione di prova, non ricavabile quando la posta è unica, non potendosi verificare quali siano i singoli beni compresi in esse; deduce poi che la irregolarità, anche quando è formale, costituisce ostacolo alla deducibilità, essendo venuta meno ad opera del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5 l’ultima parte dell’art. 74 citato, u.c..

Nessuno dei rilievi può essere condiviso, posto che il giudice di appello, con riferimento alla specifica censura della Agenzia delle Entrate, ha in concreto considerato che la irregolarità in questione fosse solo formale, nel momento in cui ha sostenuto che è di tale natura la irregolarità, quando il riscontro è reso possibile dalle fatture di acquisto e dalla concreta esistenza dei beni, affermazione seguita dalla successiva che “nella fattispecie il collegio ritiene che si tratti di irregolarità formali”; conclusione che altro significato non può avere se non quello che il riscontro ipotizzato, in fatto aveva avuto o era suscettibile di avere quel risultato.

Analoghe considerazioni valgono a disattendere il secondo profilo, che finisce per replicare il precedente, giacchè la funzione probatoria la annotazione contabile per gruppi era idonea ad assolvere, una volta integrata dalle altre risultanze e verifiche; e non rileva che le fatture non siano state prodotte in giudizio, quell’esame essendo affidato alla fase accertativa di natura amministrativa,in cui sarebbe stato possibile.

L’ulteriore profilo oggetto del terzo mezzo è in punto di diritto privo di consistenza, giacchè propone una inammissibile interpretazione estensiva della efficacia abrogativa del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, u.c. operata dalla L. n. 695 del 1996, art. 5.

Ratione temporis le irregolarità meramente formali, alla stregua della disciplina normativa (art. 74, u.c.) vigente, non impedivano “la deduzione dei costi e degli oneri di cui è prescritta la registrazione in apposite scritture ai fini dell’imposta sul reddito, se la registrazione fosse stata omessa o fosse stata eseguita irregolarmente”.

Se come si è prima affermato la desumibilità aliunde, in base alla contabilità aziendale, degli elementi esplicativi della registrazione qualifica la irregolarità meramente formale, il venir meno di tale ipotesi eccettuativa ad opera del legislatore – che nulla abbia previsto per il passato – deve essere regolato dal principio tempus regit actum e non giova assumere che la deducibilità del costo deve essere verificata nel momento del giudizio, investendo un problema di prova, perchè la soluzione della quaestio iuris va correlata alla normativa in vigore nel momento in cui è sorto il fatto in positivo o è stata compiuta la condotta del contribuente finalizzata al suo accertamento, e non a quella del momento della valutazione giudiziale, che nella specie, peraltro, intervenne molti anni prima della abrogazione, se si considera che la decisione di primo grado è del 1988.

E alla stregua di tali considerazioni i quesiti relativi tanto al primo motivo, quanto al terzo motivo, si appalesano persino inammissibili, attesa la ambiguità del primo se cioè soddisfi l’obbligo della pronuncia la “affermazione condizionata a determinati presupposti senza precisare se ritenesse quei presupposti verificati o meno nel caso concreto” a fronte di fattispecie in cui in discussione si ponga la portata della espressione impiegata dal giudice, nella quale sia identificabile una statuizione nel segno del positivo loro accertamento; e considerata la estraneità del terzo alla prospettazione del motivo, che vertendo – una volta risolta, in relazione ai primi due mezzi, la questione della natura formale della irregolarità – sulla dedotta rilevanza retroattiva dell’ intervento abrogativo del 1996, non era proponibile nei termini usati – se cioè costituisse irregolarità formale la annotazione nel registro dei beni ammortizzabili con unica posta cumulativa – inconferente essendo l’assunto della irregolarità formale o sostanziale al di fuori di qualunque specifico collegamento con la regola di diritto posta in discussione, quella cioè dell’originario art. 74, u.c. ovvero quella successiva alla sua abrogazione, in ordine al quale aveva ragion d’essere il quesito di diritto se anche le irregolarità formali costituissero ostacolo alla deduzione dei costi e degli oneri, sebbene riferite a periodi antecedenti la abrogazione di tale norma, se giudicate in tempo successivo. Fondato è invece il quinto mezzo.

Irrilevante si appalesa infatti la ragione per la quale la Regione Sicilia abbia erogato i contributi alla società Italkali, giacchè, quand’anche destinati a sovvenirla degli oneri per il pagamento dell’indennità di fine rapporto dei suoi dipendenti, si trattò pur sempre di risorse finanziarie di cui essa beneficiò a titolo gratuito per estinguere passività a proprio carico; e de pari indifferente risulta la circostanza che gli oneri predetti siano derivati dalla incorporazione di altra società,una volta divenuti propri di essa incorporante.

Pertanto non è condivisibile l’assunto della sentenza impugnata, secondo cui la società non abbia conseguito alcun beneficio reddituale, avendo espletato solo “le funzioni di notaio”, dal momento che, seppur mirati a coprire i costi di quelle indennità, furono interventi funzionali a favorire la società, direttamente nei suoi confronti compiuti e non verso i dipendenti interessati; tanto che furono espressamente concepiti dalla L.R. n. 46 del 1984 e prima ancora dalla L.R. n. 23 del 1982 quali contributi in conto esercizio, destinati al ripianamento di esposizioni debitorie degli enti esente da e delle loro collegate, tali cioè da contribuire a comporre il reddito; sicchè la difesa della contro-ricorrente,esclusivamente fondata sulla circostanza che i contributi furono erogati allo scopo di consentire alla Italkali di sopportare l’onere del Tfr dovuto al personale dipendente da altra società, alla predetta trasferito, a seguito di incorporazione, non giova a disattendere la tesi dell’amministrazione finanziaria, a nulla rilevando che i contributi dovessero coprire l’onere relativo agli anni per i quali la contribuente non aveva avuto il beneficio della prestazione dei dipendenti, una volta che quelle obbligazioni erano state comunque da essa assunte. Ne può trovare miglior sorte la eccezione di inammissibilità riferita al motivo per impropria formulazione del quesito, per essere stato espresso in termini di richiesta di chiarimenti; il quesito risulta infatti puntualmente formulato nel senso diretto a conseguire la risposta se detti contributi siano imponibili quali ordinarie voci reddituali e corrisponde alla prescrizione dell’art. 366 bis c.p.c.; e meno ancora fondata è la eccezione, secondo cui la questione di cui si tratta risulterebbe quaestio facti, avendo invece riguardo alla corretta applicazione delle norme invocate dalla ricorrente principale.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con riferimento al motivo accolto e poichè non sussiste la necessità di ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della società, sul punto oggetto della censura accolta.

Le spese del giudizio vanno compensate tra le parti, attesa la reciproca soccombenza, sia pure in modo parziale per quanto attiene al ricorso principale.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale nonchè il primo motivo del principale; rigetta il secondo, il terzo e il quarto; accoglie il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società sul punto oggetto della censura accolta; compensa fra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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