Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18347 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/09/2020, (ud. 12/06/2020, dep. 04/09/2020), n.18347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22825-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOACCHINO ROSSINI 18, presso lo studio dell’avvocato GIOIA VACCARI,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO,

ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– controricorrente –

contro

M.F.;

– intimata –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il

07/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Torino ha dichiarato inammissibile, ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., l’appello avverso la decisione di primo grado che aveva dichiarato l’estinzione dei crediti oggetto di dieci cartelle esattoriali notificate a M.F., per intervenuta prescrizione quinquennale maturata tra la notifica delle cartelle medesime e quella dell’intimazione di pagamento per il recupero coattivo dell’importo complessivo di Euro 88.467,27;

il Tribunale di Torino aveva ritenuto applicabile il termine quinquennale, come da pronuncia della Suprema Corte n. 23397 del 2016;

avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con un motivo;

l’INPS ha depositato controricorso; M.F. è rimasta intimata;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RILEVATO

che:

con un unico motivo è dedotta violazione o falsa applicazione di norme di diritto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – ovvero della della L. n. 335 del 1995, art. 3, dell’art. 2946 c.c., del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 19 e 20, nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe applicato il termine di prescrizione quinquennale piuttosto che quello ordinario decennale, pur trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore;

in parte qua, le censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè le questioni di diritto sono state decise in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi significativi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. n. 7155 del 2017);

soccorre, in particolare, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (n. 23397 del 2016), secondo il quale: ” La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, questa Corte è successivamente intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

neppure assume rilievo il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 (art. 19, comma 4, e art. 20, comma 6) nella parte in cui è stabilito un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 cit., Cass. n. 31352 del 2018);

inammissibili sono, invece, le censure dirette, anzichè contro la sentenza del tribunale, avverso l’ordinanza della Corte di appello dichiarativa dell’inammissibilità del gravame, trattandosi di provvedimento non ricorribile (Cass. n. 23151 del 2018; Cass. n. 20470 del 2015; Cass. n. 19944 del 2014) se non per vizi suoi propri (Cass., sez.un., n. 1914 del 2016);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate, come da dispositivo, in favore dell’INPS; non vi è luogo a refusione delle spese, nei confronti di M.F. che non ha svolto attività difensiva

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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