Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18343 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. III, 09/07/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8406-2018 proposto da:

AGRICOLA 92 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICASTRO 3,

presso lo studio dell’avvocato NICOLINA NICODEMO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI POMEZIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI, 87, presso lo

studio dell’avvocato CIRO ALESSIO MAURO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

PE.OS.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5734/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito l’Avvocato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Agricola 92 S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma, n. 7681/2015, depositata il 13/09/2017, avvalendosi di tre motivi, illustrati con memoria.

Resistono con autonomi controricorsi il Comune di Pomezia e Pe.Os..

La società ricorrente assume di avere ottenuto, nel maggio 2007, dal Comune di Pomezia il permesso di costruire per realizzare un edificio destinato ad uffici e nel maggio 2007 il permesso di costruire per realizzare un nuovo edificio con destinazione servizi di supporto alle attività industriali/uffici privati; di avere, nel marzo del 2008, presentato una Dia relativa ad alcune modifiche apportate al piano originario, per la quale otteneva il nulla osta dei vigili del fuoco e l’asseverazione da parte del Comune tramite silenzio assenso; di aver presentato, nel febbraio 2010, richiesta di permesso di costruire, in variante in corso d’opera, per modificare la destinazione d’uso delle unità immobiliari da uffici ad attrezzature ricettive di supporto, ai sensi dell’art. 7, comma 3, NTA del 2008; di avere, nell’aprile 2010, dapprima ritirato tale richiesta di permesso di costruire e poi di avere presentato DIA di variante in corso d’opera, per aggiungere alle unità immobiliari un posto di cottura con i relativi impianti, non costituente mutamento della destinazione d’uso e della categoria edilizia; di aver comunicato, a seguito dell’asseverazione di tale seconda Dia tramite silenzio-assenso, l’inizio dei lavori e a fine giugno 2010 di avere iniziato la vendita delle unità immobiliari; di avere subito, nel settembre 2010, il sequestro preventivo dell’immobile da parte della Procura della Repubblica di Velletri per avere modificato la destinazione d’uso dell’edificio in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da quello rilasciato dal Comune di Pomezia; di avere appreso, presa visione degli atti di indagine, che, in sede di sommarie informazioni testimonialei, Pe.Os., geometra del Comune e Responsabile del procedimento, aveva riferito alla Guardia di finanza di avere rigettato con parere, mai trasmessole, del 17 maggio 2010 la Dia presentata il 21 aprile 2010; e di avere saputo che la Guardia di Finanza aveva appurato, tramite accesso al computer di Pe.Os., che il file relativo al procedimento di rigetto era stato creato il 20 maggio 2010 e modificato l’ultima volta il 19 luglio 2010, quindi dopo la data in cui il’responsabile del procedimento affermava di averlo rilasciato; di avere ricevuto da parte del Comune di Pomezia nel novembre 2010 un provvedimento di inibizione di tutte le opere descritte nella Dia del 21 aprile 2010, rimossa l’anno successivo in via di autotutela.

Adiva, quindi, il Tribunale di Velletri perchè, accertata la responsabilità di Pe.Os. che, con dolo e/o colpa, aveva redatto un parere negativo sulla Dia il 20 maggio e non il 17 maggio 2010 ed aveva omesso di comunicarle tale provvedimento, inducendola in errore circa la sua asseverazione, e per avere dichiarato di non avere mai visto la comunicazione di inizio dei lavori, esaminata, invece, il 19 luglio 2010, provvedesse a condannare quest’ultimo ed il Comune di Pomezia in solido al pagamento della somma di Euro 1.349.329,25 per i danni subiti ed al pagamento dei danni subendi da quantificare in corso di causa.

Il Tribunale, con sentenza n. 2854715, respingeva la richiesta attorea, ritenendo che il sequestro del bene disposto dalla Procura della Repubblica di Velletri non fosse stato determinato dal comportamento di Pe.Os., ma dalla negligenza dell’attrice – rilevante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, – che, pur sospettando che per il mutamento realizzato fosse necessario un permesso di costruire e non una semplice Dia, aveva con estrema superficialità, senza avviare alcuna interlocuzione con il Comune, proseguito la costruzione dell’edificio.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, confermava integralmente il provvedimento di prime cure.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e/o n. 4, in relazione al mancato riconoscimento dell’ultrapetizione e/o extrapetizione.

La sentenza del Tribunale di Velletri aveva escluso che il comportamento del responsabile del procedimento avesse ingenerato un danno da affidamento incolpevole, perchè i danni subiti erano da ascriversi ad un suo comportamento negligente rilevante ai sensi ed agli effetti dell’art. 1227 c.c., comma 2. La sentenza gravata, pur riconoscendo che formalmente il giudice di prime cure aveva leso il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, visto che i convenuti non avevano mai affidato alla regola di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, l’esclusione della sua responsabilità, confermava la conclusione della sentenza di primo perchè la valutazione finale di autoresponsabilità dell’attrice e di verifica del nesso di causa sarebbe rimasta impregiudicata in capo al giudicante.

La tesi della società Agricola 92 è che la eccezione fondata sull’art. 1227 c.c., comma 2, costituisca eccezione in senso stretto che deve essere sollevata dal debitore, tenuto ad assumersene il peso probatorio (Cass. 10995/2003), e che, non essendo stata formulata espressamente, le era stato impedito di superarla con la dimostrazione che aveva ritirato la iniziale richiesta di permesso di costruire su sollecitazione del Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Pomezia che, incontrato insieme con l’ex assessore all’edilizia, aveva rilevato che l’oggetto della variante non riguardava il cambio di destinazione d’uso, ma il cambio di categoria edilizia. Non potendo in appello proporre nuovi mezzi istruttori, aveva chiesto il deferimento del giuramento decisorio all’ex assessore comunale all’edilizia, ammesso in ogni stato e grado del procedimento: giuramento che il giudice a quo non aveva ammesso, non essendo il soggetto cui il giuramento era stato deferito parte in causa.

1.1. Il motivo è inammissibile.

L’art. 1227 c.c., comma 2, applicato da entrambi i giudici di merito presuppone che risulti già accertato il nesso di causalità materiale tra il comportamento del soggetto agente/danneggiante ed il danno, chiarendo in che modo il fatto del creditore influisca, a valle, sul diverso rapporto evento-danno, rendendo non più risarcibili talune delle conseguenze immediate e dirette dell’evento. E’ pacifico nella giurisprudenza di legittimità che l’accertamento del nesso di causa tra il fatto illecito e l’evento debba avvenire dapprima individuando in iure la regola giuridica in base alla quale compiere il relativo giudizio e quindi, alla luce di quella, accertando in facto le conseguenze dell’illecito (Cass. 25/02/2014, n. 4439). L’accertamento della causalità materiale, partendo della disposizione “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”, lascia intendere che il legislatore ha preso in esame l’ipotesi in cui il fatto del creditore/danneggiato interviene a spezzare il legame, a monte, tra comportamento del soggetto agente ed evento, escludendo così la totale imputabilità del fatto all’agente, e limitando di conseguenza la responsabilità di quest’ultimo.

Il comma 2, al contrario, secondo cui il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, chiarisce come il fatto del creditore renda non più risarcibili talune delle conseguenze immediate e dirette dell’evento, nonostante sia già stata accertata la piena responsabilità del danneggiante, e sia già stato determinato il risarcimento attraverso il filtro dell’art. 1223 c.c.

Nel caso di specie, risulta evidente che la Corte territoriale abbia voluto escludere che il comportamento del funzionario del comune di Pomezia avesse ingenerato un affidamento incolpevole nella società Agricola 92, con un accertamento di merito, insuscettibile di scrutinio di legittimità, se non sotto il profilo motivazionale, riguardante la ricorrenza del nesso di causa. In questo senso deve intendersi l’affermazione del giudice, secondo cui “la valutazione finale dell’autoresponsabilità della Agricola 92 S.R.L. e della verifica del nesso di causalità resterebbe impregiudicata in capo al giudicante”.

Ciò stando, risultano un fuor d’opera le attività deduttive del ricorrente che muovono dalla asserita limitazione del diritto di superare l’eccezione in senso stretto avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, non formulata, con pretesa di deferire il giuramento ad un soggetto terzo in causa, l’assessore all’edilizia del Comune di Pomezia, che del tutto correttamente la Corte territoriale non ha ammesso (considerata la finalità del giuramento – di troncare la lite mediante il supremo appello che una parte fa alla coscienza dell’avversario, e di conseguire la irrevocabile efficacia probatoria indicata nell’art. 2738 c.c. la quale non tollera prova contraria – ben si comprende perchè sia precluso al terzo stesso di deferire o riferire (art. 2737 in relazione all’art. 2739 c.c.) e così pure di prestare (art. 2738 c.c.) un giuramento, quale mezzo di prova per la cui ammissibilità è richiesta la capacità di disporre del diritto, a cui i fatti articolati si riferiscono: in termini Cass. 24/02/1988, n. 1949).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione ed errata interpretazione dell’art. 7, comma 3, NTA approvate dalla Regione Lazio nel 2008.

La ricorrente afferma di avere, con la comparsa conclusionale in sede di gravame e con la comparsa di replica, addotto che il Regolamento edilizio del Comune di Pomezia consentiva, sulla base di una Dia, quindi senza necessità di ottenere il permesso di costruire, il mutamento di destinazione delle unità immobiliari da uffici privati ad attività ricettive senza servizi comuni perchè non comportante un cambio di classe (artt. 14-15). Lamenta che la Corte d’Appello non ne abbia tenuto conto e censura la sentenza gravata per avere reputato escluso che le NTA del 2008 permettessero, nella zona F del PRG, la realizzazione di unità ricettive di supporto alle attività produttive, indipendentemente dal carattere unitario dell’intervento. A suo avviso, anche la CTU non avrebbe negato che le NTA non permessero la realizzazione di attrezzature ricettive, ma si sarebbe limitata ad affermare che nel novero dei servizi consentiti, dall’art. 7, comma 1, non fossero comprese le attrezzature ricettive. La realizzazione di attrezzature ricettive risultava, infatti, permessa, a condizione che l’edificio mantenesse l’unitaria destinazione e fosse rispettato il divieto di frazionamento in unità immobiliari di superficie inferiore, dall’art. 7, comma 3, NTA.

Pertanto, la tesi della società ricorrente è che la Corte territoriale abbia sbagliato sia nel negare che l’intervento realizzato potesse essere supportato da una Dia, sia nel negare che nella zona F del PRG potessero realizzarsi attività ricettive di supporto ad attività produttive.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.1.1. Sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, occorre rilevare che il vizio denunciato deve concernere la motivazione sui fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia e non la motivazione in diritto, cioè l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche (cfr., ex plurimis, Cass. 13/12/2017, n. 29886).

Ciò rende superfluo soffermarsi sulla ricorrenza della violazione dell’art. 348 ter c.p.c., come eccepito dai ricorrenti e contestato, invece, dalla società ricorrente (solo) con la memoria, adducendo – al fine di dimostrare come era suo onere fare, per non incorrere nell’inammissibilità del mezzo impugnatorio, che le motivazioni poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di appello fossero diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774) -che la sentenza di secondo grado avrebbe cercato di correggere l’errore di ultrapetizione ed extrapetizione del Tribunale “denunciando l’illegittimità della Dia, ponendo quest’ultima come fonte della decisione, in contrasto però con quanto affermato dal giudice di prime cure”.

2.1.2. La denunciata violazione di legge postula un inammissibile riesame delle valutazioni di merito operate dal giudice a quo, reso altresì insuperabile e superfluo da quanto affermato dalla sentenza impugnata a p. 9, penult. cpv.: “l’avvenuta trasformazione del complesso immobiliare in (mini) unità immobiliari, poste in vendita, è stata accertata dalla Polizia giudiziaria delegata dalla Procura della Repubblica di Velletri e, quindi, il mutamento di destinazione, riscontrato all’atto del sequestro preventivo penale, costituisce un fatto storico incontestato per cui evaporano le relative doglianze dell’appellante”. Le doglianze cui si riferisce la Corte territoriale attengono al rilievo che la ricorrente ripropone con il ricorso, pp. 23-24, circa il fatto che l’art. 7, comma 3, NTA 2008 consentisse la realizzazione di strutture ricettive di supporto ad attività industriali ed artigianali nell’ambito dello stesso lotto di terreno con divieto assoluto di frazionamento. In altri termini, il preteso accertamento della violazione dell’art. 7 NTA, perchè esso non avrebbe vietato la realizzazione di strutture ricettive nella zona F del PRG, ma l’avrebbe consentita alle condizioni previste dal comma 3, si scontra, come ben evidenziato dalla Corte d’Appello, con quanto riscontrato documentalmente e con quanto emerso dalla CTU.

3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e del n. 4 c.p.c., la ricorrente censura la valutazione dell’interruzione del nesso di causalità dei danni dedotti non imputando il fermo cantiere disposto dalla Procura della Repubblica alla condotta di Pe.Os..

La Corte d’Appello, ad avviso del ricorrente, avrebbe erroneamente ritenuto che il responsabile del procedimento del Comune di Pomezia non avesse avviato le indagini che avevano portato al sequestro ed avrebbe errato nel porre sullo stesso piano un privato cittadino che, vittima di un reato, lo denuncia a quella di un ausiliario di polizia giudiziaria, quale doveva considerarsi Pe.Os., che aveva messo in moto, con un provvedimento inveritiero, nel quale si scriveva che gli uffici erano stati trasformati in civili abitazioni, l’attività di indagine.

3. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’Appello ha fondato la decisione circa il rigetto del motivo di appello con cui la società Agricola 92 aveva contestato la valutazione in ordine alla interruzione del nesso di causa tra i danni lamentati e la condotta attribuita ad Pe.Os. sia queste argomentazioni: a) il sequestro conservativo delle opere era stato adottato dal PM, nell’esercizio dei suoi poteri; b) dalla motivazione del provvedimento della Procura emergeva che il provvedimento cautelare era avvenuto sulla scorta delle dichiarazioni rese dai promissari acquirenti e delle indagini svolte dalla Guardia di Finanzia e della Polizia municipale senza alcun riferimento ad eventuali denunzie del funzionario comunale, quale ausiliario di p.g; c) il giudice di prime cure, ricostruendo le fonti della notitia criminis che aveva portato all’indagine e poi al sequestro non aveva menzionato Pe.Os..

Ad abundantiam, ha aggiunto, al fine di rafforzare il ragionamento, e ponendosi in sintonia con l’orientamento di questa Corte, che quand’anche il procedimento penale fosse risultato attivato dall’iniziativa di Pe.Os., quest’ultimo non sarebbe risultato responsabile ex art. 2043 c.c. dei danni subiti dal denunciato, anche nell’ipotesi di proscioglimento e di assoluzione, come in questo caso, essendo la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio fonte di responsabilità civile a carico del denunciante, in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato, solo ove contenga gli elementi costitutivi (oggettivo e soggettivo) del reato di calunnia, poichè, al di fuori di tale ipotesi, l’attività del pubblico ministero titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante interrompendo ogni nesso causale tra denuncia calunniosa e danno eventualmente subito dal denunciato (Cass. 04/04/2019, n. 9350; Cass. 30/11/2018), n. 30988).

Le censure della società ricorrente non si sono affatto confrontate con la ratio decidendi della sentenza impugnata. Tutta l’attività deduttiva insiste inutilmente sulla contestazione che Pe.Os. potesse essere trattato come un privato cittadino, piuttosto che come un ausiliario del giudice nel perseguimento dei reati edilizi. Prima ancora che immeritevole di accoglimento, per quanto già riferito, tale censura si rivela, invero, inammissibile, non essendovi interesse da parte di Agricola 92 ad impugnare le argomentazioni ipotetiche e virtuali inserite dal giudice in sentenza, perchè non sono stati vinti e superati tutti quegli altri argomenti che hanno costituito la base di supporto per la ratio decidendi adottata.

4. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

6. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della società ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti delle spese, liquidandole in Euro 15.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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