Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18341 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. III, 09/07/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29602-2017 proposto da:

F.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO,

12, presso lo studio dell’avvocato ARCANGELA CAMPILONGO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.E., T.D.C., B.T.,

D.T.A.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3164/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.A.M. ricorre per la cassazione della sentenza n. 3164/2017 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 4/04/2017, formulando un solo motivo.

Il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, adito da M.E., il quale asseriva di avere riportato, nel corso di una rissa avvenuta in prossimità del lido Free Beach di A.M.F. e T.B. s.n.c., danni alla persona causati dagli addetti alla vigilanza della spiaggia, d.T.M.A., Da.Co.Ta., dipendenti o collaboratori temporanei della società Free Beach, con sentenza n. 529/2012, rigettava la richiesta risarcitoria della vittima, per difetto di prova dei fatti allegati a fondamento della pretesa.

La Corte d’Appello di Roma, investita del gravame da M.E., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, riteneva, invece, raggiunta la prova che d.T.M.A. e Da.Co.Ta. avessero aggredito l’appellante, provocandogli la frattura del malleolo peroneale sinistro e, ritenendo responsabile dei danni riportati dalla vittima anche la società Free Beach, ai sensi dell’art. 2049 c.c., condannava anch’essa in solido con gli autori dell’aggressione, al risarcimento dei danni da invalidità temporanea e permanente accertati dalla CTU e liquidati utilizzando le tabelle di Milano, oltre al danno morale, agli interessi e al pagamento delle spese di lite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente, titolare della società Free Beach, censura la sentenza gravata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione dell’art. 2049 c.c.

Secondo F.A.M. il giudice a quo avrebbe fondato la sua condanna ex art. 2049 c.c. sul solo fatto che gli autori dell’aggressione fossero suoi dipendenti, omettendo di considerare l’assenza di collegamento tra le mansioni loro affidate – sistemazione di lettini e ombrelloni – e il comportamento produttivo del danno in quanto del tutto incoerente con esse.

2. Il ricorso è inammissibile per più ragioni.

Il vizio dedotto è stato formulato avendo riguardo per un vizio cassatorio non più conforme al dettato normativo. Con riferimento alla dedotta contraddittorietà od insufficienza della motivazione, si deve premettere che il ricorso per cassazione è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale tempus regit actum. Poichè la sentenza di appello è stata pubblicata il 15/05/2017, quindi, ben dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, (vale a dire dopo l’11 settembre 2012), trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione restrittiva introdotta dal suddetto D.L., art. 54, comma 1, lett. b), (cfr. in tal senso ex multis Cass. 12/10/2017, n. 23940).

Neanche sotto il profilo della violazione di legge, il ricorso può essere accolto, perchè è stata del tutto pretermessa la esposizione dei fatti di causa, da cui evincere non solo lo svolgimento dei fatti, che questa Corte ha ricavato con difficoltà e solo parzialmente dalla lettura della sentenza (in spregio del principio di autonomia ed autosufficienza del ricorso: Cass. sez. un., 22/05/2014, n. 11308), ma è stata completamente omessa la rappresentazione dei fatti processuali. La ricorrente si è limitata a riportare i dispositivi delle sentenze del Tribunale e della Corte di appello e le conclusioni dell’attore poi appellante, senza alcun accenno alle proprie posizioni difensive assunte in entrambi i gradi di giudizio. Il che ha reso impossibile percepire sia il rapporto giuridico sostanziale originario da cui è scaturita la controversia, sia lo sviluppo della vicenda processuale nei vari gradi di giudizio di merito, in modo da poter procedere poi allo scrutinio dei motivi di ricorso munita delle conoscenze necessarie per valutare se essi siano deducibili e pertinenti.

Tanto premesso, si ribadisce che l’esposizione sommaria dei fatti è prescritta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, ove è considerata uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso. Essa deve consistere in una esposizione che garantisca alla Corte di Cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza imporle o pretendere che si avvalga, a tale scopo, di altre fonti o degli atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 18/05/2006 n. 11653).

Va, altresì, ricordato che la prescrizione del requisito non soddisfa affatto un’esigenza di mero formalismo, ma è funzionale all’offerta di una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali eA processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 20/02/2003 n. 2602). Stante tale funzione, per soddisfare la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario, come statuisce la prima delle decisioni evocate, che il ricorso per Cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

3. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

4. Nulla deve essere liquidato per le spese, in assenza di attività difensiva svolta dal resistente.

5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla liquida per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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