Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18340 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. III, 09/07/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25255-2017 proposto da:

D.A., G.M.R. elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA ARNO N 6, presso lo studio dell’avvocato ORESTE

MORCAVALLO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 726/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 13/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. G.M.R. ed il coniuge D.A. ricorrono, affidandosi a cinque motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che, riformando la pronuncia del Tribunale, aveva accolto solo parzialmente la domanda proposta per ottenere, nei confronti del Ministero della Salute, il risarcimento dei danni subiti a seguito di due trasfusioni di sangue infetto cui la G. era stata sottoposta nel 1974 in occasione del parto avvenuto in ospedale, a causa delle quali aveva contratto il contagio da virus HCV.

2. Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale aveva riconosciuto l’invalidità permanente conseguente alla malattia infettiva dal 2007, epoca in cui ne aveva avuto percezione; e, liquidando il risarcimento sulla base delle tabelle milanesi, aveva accolto l’eccezione di compensazione sollevata dal Ministero in relazione all’indennizzo spettante ex L. n. 210 del 1992, rimettendo alla fase esecutiva il computo del diffalco. Era stata, invece, respinta sia la domanda in punto di danno patrimoniale sia quella proposta dal marito della G. in relazione all’alterazione del menage familiare derivante dalla malattia, comprensiva del danno alla vita sessuale.

3. Il Ministero intimato ha resistito.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame della condizione patologica complessiva della paziente, risultante dai referti medici come conseguenza diretta dell’infezione contratta attraverso il sangue infuso, decisiva ai fini della corretta quantificazione del danno che era stato determinato in modo riduttivo.

1.1. La censura è complessivamente inammissibile.

1.2.Il ricorrente, infatti, in primo luogo omette di indicare “il fatto storico” di cui sarebbe stato omesso l’esame e lamenta genericamente che le conseguenze della malattia contratta erano state sottostimate dalla Corte territoriale.

1.3. Il Collegio osserva, inoltre, che il motivo con il quale viene complessivamente denunciata una “minimizzazione del pregiudizio derivato alla G. dalla infezione contratta” si riferisce ad un complesso patologico rispetto al quale la censura si appunta anche sulla omessa valutazione di referti medici (cfr. pag. 10 del ricorso) che non vengono, però, riportati all’interno del ricorso e rispetto ai quali non viene neanche indicata la sede processuale in cui possono essere rinvenuti.

1.4. L’evidente difetto di autosufficienza si unisce anche alla natura fattuale della complessiva censura che maschera la richiesta di rivalutazione di questioni di merito, adeguatamente valutate dalla Corte territoriale che ha articolato una motivazione congrua e logica e certamente al di sopra della sufficienza costituzionale (cfr. pag. 13 e 14 della sentenza impugnata).

2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,1226 e 2059 c.c. e la violazione dei criteri per la determinazione del danno risarcibile.

2.1. Contestano, al riguardo: a) la decorrenza della liquidazione, assumendo che doveva individuarsi nella data delle trasfusioni; b) l’erronea esclusione dei presupposti per la personalizzazione.

2.2. Entrambi i rilievi sono infondati.

2.3. Quanto al primo, si osserva che la decorrenza della liquidazione deve essere ricondotta al momento in cui la malattia viene o può essere percepita dal danneggiato.

Questa Corte ha elaborato tale il principio in relazione alla decorrenza della prescrizione ed esso deve pertanto valere, specularmente, anche per individuare il momento dal quale il danno può essere riconosciuto (cfr. al riguardo, Cass. 4996/2017; Cass. 1851/2018; Cass. 13745/2018).

2.4. Quanto al secondo, i ricorrenti omettono di considerare i più recenti approdi in materia di danno non patrimoniale che ne postulano la natura unitaria ed omnicomprensiva (cfr. Cass. 901/2018; Cass. 23469/2018), rispetto ai quali le tabelle del Tribunale di Milano, applicate e richiamate dalla Corte territoriale, ricomprendono nella liquidazione tutte le conseguenze “in peius” derivanti ordinariamente dall’evento di danno, nessuna esclusa: in relazione a ciò, l’ulteriore personalizzazione richiesta avrebbe imposto la dimostrazione, non fornita, di un pregiudizio diverso ed ulteriore rispetto a quello che ha caratterizzato, in termini di normalità, la cronicizzazione della patologia contratta.

2.5. E, tanto premesso, da una parte si rileva che la Corte territoriale ha fornito sul punto una motivazione sufficiente (cfr. pag. 15 terzo e quarto cpv e pag. 16 primo cpv) con la quale ha correttamente applicato i principi sopra richiamati; e, dall’altra, che la censura prospetta questioni di fatto che non possono trovare ingresso in questa sede.

3. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 2043 c.c., l’errata applicazione della compensatio lucri cum damno nonchè la violazione dell’art. 2697 c.c. in punto di onere della prova del fatto estintivo costituito dalla percezione dell’indennizzo.

3.1. Il motivo è fondato.

I ricorrenti, infatti, contestano la statuizione della Corte che ha accolto l’eccezione del Ministero volta ad ottenere il diffalco dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992 dall’importo liquidato a titolo di risarcimento del danno; e rilevano che, oltre alla generale inapplicabilità dell’istituto al caso concreto in ragione della diversa funzione dell’indennità rispetto al risarcimento (la prima prettamente solidaristica e la seconda quale ristoro del pregiudizio subito), il Ministero non aveva dimostrato nè l’avvenuto pagamento nè tanto meno la liquidazione di essa, in modo che potessero essere configurati i presupposti di certezza e liquidità necessari per dar luogo alla compensazione eccepita.

3.2. Si osserva, al riguardo, che la Corte territoriale ha accolto l’eccezione del Ministero, affermando che “sebbene l’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 ed il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. trovino fonte in titoli diversi, non vi è dubbio che essi hanno causa nel medesimo evento lesivo dell’integrità psicofisica della persona ed hanno la medesima funzione di ristoro del relativo pregiudizio” con ciò facendo corretta applicazione di un principio di legittimità ormai consolidato.

Questa Corte, infatti, ha affermato che “il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo” (cfr. Cass. SU 584/2008; Cass. 6573/2013 e Cass. 20111/2014).

3.3. Ma, tanto premesso, i giudici d’appello hanno accolto l’eccezione, pur rilevando espressamente che non erano stati offerti dal Ministero dati quantitativi certi in merito all’ammontare ed alla avvenuta liquidazione dell’indennizzo, rimettendo “lo scorporo” alla fase esecutiva della sentenza (cfr. pag. 18, secondo cpv).

3.4. La statuizione è erronea e la censura è, in parte qua, fondata.

3.5. Questa Corte, infatti, ha affermato il principio, ormai consolidato, al quale questo Collegio intende dare seguito secondo cui “nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), qualora non sia stato corrisposto e tantomeno determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare, posto che l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare; nè il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il “lucrum”, il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento” (cfr. Cass. 14932/2013; Cass. 2778/2019 e Cass. 4309/2019).

3.6. Nel caso in esame il Ministero, oltre a sollevare genericamente l’eccezione, nulla ha dedotto in relazione alle somme concretamente pagate a titolo di indennizzo: ricorre pertanto proprio l’ipotesi contemplata dalle pronunce sopra richiamate, con conseguente esclusione della compensazione eccepita.

La sentenza, dunque, deve essere cassata in relazione al terzo motivo.

3.7. Ed, al riguardo, si osserva quanto segue.

La circostanza che il danneggiato già abbia già realizzato un vantaggio attraverso una prestazione assistenziale in relazione al medesimo fatto illecito, e che questo vantaggio possa limitare od escludere il danno, non è oggetto di una eccezione in senso stretto: essa, infatti, non può essere ricondotta all’ipotesi “pura” di cui all’art. 1242 c.c. in materia di “compensazione”, in quanto attiene alla stima del danno, e gli elementi costitutivi di esso sono rilevabili d’ufficio dal giudice (cfr. Cass. 12565/2018).

3.8. Ne consegue che, da una parte, la fattispecie non soggiace all’onere di tempestiva allegazione, nè di tempestiva deduzione (pur dovendosi osservare le regole processuali del contraddittorio), secondo quanto stabilito da questa Corte con orientamento ormai consolidato (Cass. SUU 10531/2013; Cass. 991/2014); ma, dall’altra, resta onere di chi invoca la compensatio dimostrarne il fondamento, ed in caso di insufficienza di prova, le conseguenze ricadranno sul convenuto, che resterà tenuto al risarcimento integrale (cfr. Cass., 24 settembre 2014, n. 20111 e Cass., 10 maggio 2016, n. 9434).

3.9. Conseguentemente, nel caso in esame la carente allegazione e la totale assenza di prova dell’eccezione sollevata – sia rispetto alla liquidazione dell’indennizzo che all’avvenuto pagamento – non potrebbe essere colmata in un giudizio di rinvio che prevede “un’istruzione chiusa” e che, pertanto, non consentirebbe l’introduzione di elementi di fatto nuovi e diversi da quelli già prospettati nei precedenti gradi (cfr. Cass. 19424/2015; Cass. 26108/2018).

Non essendo, dunque, possibili altri accertamenti di fatto da demandare ai giudici d’appello, questa Corte può decidere nel merito, respingendo l’eccezione di compensazione sollevata.

4. Con il quarto ed il quinto motivo, ex art. 360, comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono:

a. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c. in relazione alla mancata liquidazione equitativa del danno patrimoniale della G.;

b. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c. in relazione all’omesso riconoscimento del danno vantato dal coniuge D.A..

I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto riferiti al medesimo vizio ed intrinsecamente connessi, sono inammissibili.

4.1. Quanto alla prima violazione, si osserva che la liquidazione equitativa del danno postula l’utilizzo di un criterio che non può sopperire alle carenze istruttorie della parte onerata (cfr. Cass. 20889/2016; Cass. 4310/2018).

La Corte, sul punto, ha applicato correttamente tale principio laddove ha affermato che la parte appellante non aveva offerto elementi di valutazione attraverso i quali pervenire alla quantificazione della voce richiesta nè al suo apprezzamento in forma equitativa (cfr. pag. 18 par. 5 della sentenza impugnata): la censura, pertanto, postula il riesame di una questione di fatto che non può trovare ingresso in sede di legittimità.

4.2. Quanto al secondo rilievo che riguarda la domanda del coniuge della G., il motivo risulta generico (cfr. pag. 26 del ricorso) e maschera una inammissibile richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze istruttorie, compiutamente apprezzate dalla Corte territoriale (cfr. Cass. 8758/2018; Cass. 18721/2018).

5. In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione al terzo motivo di ricorso, alla luce del principio di diritto sopra evidenziato: e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ferma la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno in favore della ricorrente nella misura statuita, deve essere respinta l’eccezione di compensazione degli importi relativi all’indennizzo erogabile ex L. n. 210 del 1992.

6. Ferma, altresì, la statuizione concernete le spese dei gradi di merito, quelle relative al giudizio di legittimità seguono la soccombenza del Ministero della Salute.

Si dispone l’oscuramento dei dati personali, ai sensi del REG UE 679/2016 e D.Lgs. n. 101 del 2018.

PQM

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta il secondo e dichiara inammissibile il primo, il quarto ed il quinto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ferma la condanna del Ministero della Salute al risarcimento del danno come già statuito, esclude la detrazione degli importi percepiti e percipiendi a titolo di indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

Ferma, altresì, la statuizione sulle spese contenuta nella sentenza impugnata, condanna il Ministero della Salute a quelle relative al giudizio di legittimità che liquida in Euro 3200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Si dispone l’oscuramento dei dati personali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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