Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1834 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 28/01/2010), n.1834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – rel. Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28549-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

ITALKALI ITALIANA SALI ALCALINI SPA;

– intimato –

sul ricorso 31899-2006 proposto da:

ITALKALI SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA AGOSTINO DEPRETIS 86, presso lo

studio dell’avvocato ADONNINO PIETRO, che lo rappresenta e difende

con procura speciale notarile del Not. Dr. PIETRO COSTAMANTE in

PALERMO, rep. n. 13474 del 06/11/2006;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 19/2006 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 19/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Presidente e Relatore Dott. DONATO PLENTEDA;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato GUIDA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato ADONNINO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del terzo e

quarto motivo del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate di Palermo con rettifica della dichiarazione dei redditi presentata per il 1983 dalla società Italkali S.p.A. determinò l’imponibile per irpeg ed ilor in ragione di L. 12 miliardi circa a fronte degli 850 milioni circa dichiarati ai fini irpeg e del miliardo circa dichiarato ai fini ilor.

La rettifica si fondò sul riscontro di maggiori proventi tassabili e delle riprese relative a quote di ammortamento non detraibili, a spese di manutenzione e riparazione e a costi non documentati.

L’atto impositivo fu impugnato dalla società che invocò la esenzione decennale per l’ilor e la riduzione alla metà dell’irpeg, in forza del D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, artt. 101 e 105 per le nuove iniziative industriali nel Mezzogiorno; la società contestò inoltre tutte le riprese.

La Commissione Tributaria Provinciale riconobbe i benefici invocati e confermò la rettifica solo nei limiti di L. 361.190.976, annullando le riprese per la differenza.

La Commissione Tributaria Regionale con sentenza 23 luglio 1999 respinse l’appello dell’ufficio in relazione a tre delle poste annullate – di L. 1.329.486.925 per utile da incorporazione; L. 691.837.000 per costi non documentati; L. 139.458.000 per ammortamenti indeducibili – e quello incidentale della società, in relazione al recupero a tassazione del maggior reddito imponibile di L. 361.190.976, osservando che dei benefici invocati il primo giudice aveva ritenuto la sussistenza fornendo congrua motivazione delle ragioni; e del pari adeguatamente motivato era stato il giudizio sulla erroneità delle riprese a tassazione. Compensò le spese processuali.

L’Amministrazione Finanziaria propose ricorso per cassazione con sei motivi, con riferimento ad entrambe le questioni decise; ricorso incidentale con due motivi propose la società, lamentando carenze motivazionali in ordine alla ritenuta legittimità dell’accertamento per la parte attinente alla presenza di ulteriori componenti del reddito imponibile e in ordine alla compensazione delle spese processuali.

Questa corte con sentenza 10 gennaio 2002 n. 3925 ha respinto il primo motivo di ricorso principale, proposto con riguardo alle agevolazioni invocate ed ha accolto gli altri nonchè il primo motivo di ricorso incidentale, con assorbimento del secondo, rinviando alla commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale ha respinto l’appello principale e l’appello incidentale.

Ha ritenuto per ciò che attiene ai recuperi a tassazione, oggetto di cinque censure dell’amministrazione finanziaria, e alla ripresa a tassazione della quota di ammortamento relativa ad autovetture, furgoni e autocarri – giudicata indeducibile per la irregolare tenuta del registro dei cespiti ammortizzabili – che la circostanza che la annotazione non fosse stata fatta analiticamente, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 6 ma per gruppi in ragione del tipo e delle fatture, non comportasse la indeducibilità costituendo irregolarità formale, essendo possibile riscontrare analiticamente le fatture di acquisto dei beni e la loro concreta esistenza, sulla cui base elaborare i costi ammortizzabili.

Con riferimento ai costi di manutenzione e riparazione, per L. 553.846.115, ha osservato che la ripresa a tassazione, in considerazione del fatto che era stata superata la percentuale del 5% prevista dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 68, u.c. non fosse legittima non potendo trovare applicazione tale norma in quanto si era trattato di beni altrui detenuti in locazione; mentre per quanto attiene ai costi per L. 691.837.000 afferenti a personale, mezzi, strutture ed altro, non documentati, ha ritenuto che non era stata contestata dall’ufficio la effettiva spesa, ma il supporto documentale relativo all’analitico rimborso delle spese e degli oneri in questione. E poichè quell’esborso era stato dalla incorporante in effetti sostenuto e la incorporata l’aveva rilevato tra i ricavi, il giudice di rinvio a osservato che non potesse contestarsi un costo senza contestare per il verso opposto il ricavo.

Quanto alla dogliamo dell’appellante incidentale avverso la conferma delle riprese a tassazione di L. 361.190.180 – di cui L. 174.464.180 per versamenti al personale dipendente, non assoggettati a ritenuta di acconto, e L. 186.877.796 per l’acquisto di materiali ad imputazione diretta, per il montaggio e la costruzione di impianti, per consulenze e prestazioni tecniche, per l’acquisto di minuterie varie – fondata sull’assunto che la omissione della ritenuta può produrre effetti sanzionatoli ma non trasforma il costo relativo in reddito imponibile, e per quanto attiene agli altri costi su specifiche e analitiche deduzioni, la commissione tributaria regionale ha rilevato che le somme corrisposte ai dipendenti, oltre a non essere state assoggettate a ritenuta, non erano state adeguatamente documentate nè registrate ne relativo libro paga, mentre le altre corrispondevano o a costi patrimonializzati e non stornati dal conto economico, o a costi non adeguatamente documentati ovvero a costi inerenti ad una gestione separata, come tale insuscettibile di incidere sul reddito della società.

Propone ricorso con quattro motivi la Agenzia delle Entrate; resiste con controricorso la società Italkali, che ha anche proposto ricorso incidentale con un motivo.

Nella udienza fissata per la discussione del 26 febbraio 2009 il collegio ha rinviato a nuovo ruolo, avendo preso atto che il consigliere relatore aveva composto il collegio che aveva cassato la sentenza di appello e rinviato per il nuovo esame. La controricorrente ha depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la Agenzia delle Entrate denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo che la irregolare annotazione sul libro degli inventari di ammortamenti per automezzi aziendali, indicati cumulativamente e non singolarmente, non ha carattere formale, perchè, dovendo il giudice di merito determinare in concreto l’imposta, deve verificare tutti gli elementi che eventualmente giustifichino il venir meno dell’obbligazione tributaria, tant’è che in difetto si realizza una omessa pronunzia.

Lamenta che la sentenza impugnata abbia affermato che la irregolarità è formale quando è possibile il riscontro analitico delle fatture e della esistenza dei beni, mancando però di precisare se ciò sia avvenuto in concreto.

Con il secondo mezzo si denunzia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, comma 2; artt. 2214, 2709 e 2697 c.c.; vizio di motivazione con riguardo a quanto oggetto della precedente censura, sotto il diverso profilo che, dovendo a norma dell’art. 16 essere indicata nel registro dei beni ammortizzabili per ciascun immobile e per ciascuno dei beni iscritti nei pubblici registri una serie di dati, le annotazioni contabili hanno funzione di prova, in quanto mirano a consentire un puntuale controllo sull’attività, non ricavabile se la posta è unica per più beni, non essendo in tal modo possibile verificare quali siano i singoli beni compresi in essa e venendo in tal modo il libro contabile a perdere il valore dimostrativo perchè incompleto.

Peraltro, aggiunge la ricorrente, la società non aveva mai in tutto il corso del giudizio indicato un elenco analitico e meno ancora prodotto fatture e documenti idonei a provare gli elementi previsti dal citato art. 16 con riferimento ai singoli veicoli (anno di acquisizione; costo originario; rivalutazioni, svalutazione, fondo di ammortamento nella misura raggiunta al termine del periodo d’imposta precedente, coefficiente di ammortamento praticato nel periodo d’imposta, quota annuale di ammortamento, eliminazioni dal processo produttivo).

Con il terzo mezzo si denunzia violazione del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5, D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 4.

Deduce la ricorrente che quand’anche la irregolarità di cui si tratta avesse avuto natura formale la deducibilità consentita dall’art. 74 era venuta meno con l’abrogazione ad opera del D.P.R. n. 695, art. 5; senza peraltro considerare che ai fini dell’applicazione dell’art. 74, u.c. la corte di legittimità aveva avuto modo di affermare che sono irregolarità sostanziali le violazioni degli obblighi relativi alla contabilità che impediscono l’attività di accertamento.

Con il quarto mezzo si denunzia violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 68, u.c. per avere la Commissione tributaria regionale affermato che sono integralmente spesabili – non risentendo del limite di cui all’art. 68, u.c. – i costi di manutenzione e riparazione, in quanto relativi a beni di proprietà altrui; non avendo alcuna importanza la mancanza nella impresa conduttrice dell’immobilizzo in relazione al quale calcolare la percentuale del 5% dei costi manutentivi deducibili, essendo sufficiente il carattere strumentale all’impresa.

La società Italkali con il ricorso incidentale denunzia violazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, comma 3 con riguardo alla ripresa a tassazione delle somme corrisposte al personale dipendente.

Rileva che la deducibilità dei costi non è condizionata dalla mancata effettuazione delle relative ritenute d’acconto, ma solo dalla riferibilità ad attività da cui derivano ricavi o proventi che formano il reddito d’impresa.

Preliminarmente dei ricorsi va disposta la riunione, a norma dell’art. 335 c.p.c..

Il ricorso incidentale è inammissibile, in quanto non risultano censurate tutte le rationes decidendi poste a base della decisione impugnata.

La Commissione regionale ha infatti rilevato, con riguardo alle somme a vario titolo corrisposte ai dipendenti e recuperate a tassazione, che la doglianza della società contribuente non meritasse di essere accolta, perchè quei versamenti non erano stati adeguatamente documentati; non erano stati registrati nel libro paga come avrebbero dovuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74 e non erano stati, infine, sottoposti a ritenuta d’acconto.

La censura della Italkali ha ignorato la prima ratio, fondata sulla mancata documentazione degli esborsi, e nella proposizione del quesito di diritto ha anche omesso di considerare la ratio successiva, sebbene richiamata nella esposizione del motivo, avendo limitato la deduzione a sostegno della impugnazione all’assunto che la deducibilità dei costi per il personale non fosse condizionata alla effettuazione di ritenute di acconto, bensì al principio della inerenza come previsto dall’art. 75, comma 2.

Neanche il ricorso principale merita accoglimento, infondati appalesandosi tutti i motivi proposti.

I primi tre vanno esaminati congiuntamente, perchè attengono a profili diversi della medesima doglianza, afferente all’ammortamento degli automezzi aziendali, riconosciuto dai giudici di merito, per avere considerato meramente formale la irregolarità della tenuta del libro dei cespiti ammortizzabili, nel quale la annotazione era stata fatta per gruppi, in ragione del tipo e delle fatture.

Osserva la Amministrazione Finanziaria, nell’addebitare al giudice di appello la violazione dell’art. 112 c.p.c., che la sentenza ha affermato che la irregolarità è formale se è possibile il riscontro analitico delle fatture e della esistenza dei beni, ma nulla ha poi detto in ordine all’avvenuto concreto riscontro;

aggiunge che le annotazioni contabili, a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 16, comma 2 hanno funzione di prova, non ricavabile quando la posta è unica, non potendosi verificare quali siano i singoli beni compresi in esse; deduce poi che la irregolarità, anche quando è formale, costituisce ostacolo alla deducibilità, essendo venuta meno ad opera del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5, cit. art. 74, u.c., ultima parte.

Nessuno dei rilievi può essere condiviso, posto che il giudice di appello, con riferimento alla specifica censura della Agenzia delle Entrate, ha in concreto considerato che la irregolarità in questione fosse solo formale, nel momento in cui ha sostenuto che è di tale natura la irregolarità, quando il riscontro è reso possibile dalle fatture di acquisto e dalla concreta esistenza dei beni, affermazione seguita dalla successiva che “nella fattispecie il collegio ritiene che si tratti di irregolarità formali”; conclusione che altro significato non può avere se non quello che il riscontro ipotizzato, in fatto aveva avuto o era suscettibile di avere quel risultato.

Analoghe considerazioni valgono a disattendere il secondo profilo, che finisce per replicare il precedente, giacchè la funzione probatoria la annotazione contabile per gruppi era idonea ad assolvere, una volta integrata dalle altre risultanze e verifiche; e non rileva che le fatture non siano state prodotte in giudizio, quell’esame essendo affidato alla fase accertativa di natura amministrativa,in cui sarebbe stato possibile.

L’ulteriore profilo oggetto del terzo mezzo è in punto di diritto privo di consistenza, giacchè propone una inammissibile interpretazione estensiva della efficacia abrogativa del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74, u.c. operata dalla L. n. 695 del 1996, art. 5.

Ratione temporis le irregolarità meramente formali, alla stregua della disciplina normativa (art. 74, u.c.) vigente, non impedivano “la deduzione dei costi e degli oneri di cui è prescritta a registrazione in apposite scritture ai fini dell’imposta sul reddito, se la registrazione fosse stata omessa o fosse stata eseguita irregolarmente”.

Se come si è prima affermato la desumibilità aliunde, in base alla contabilità aziendale, degli elementi esplicativi della registrazione qualifica la irregolarità meramente formale, il venir meno di tale ipotesi eccettuativa ad opera del legislatore – che nulla abbia previsto per il passato – deve essere regolato dal principio tempus regit actum e non giova assumere che la deducibilità del costo deve essere verificata nel momento del giudizio, investendo un problema di prova, perchè la soluzione della quaestio iuris va correlata alla normativa in vigore nel momento in cui è sorto il fatto in positivo o è stata compiuta la condotta del contribuente finalizzata al suo accertamento, e non a quella del momento della valutazione giudiziale, che nella specie, peraltro, intervenne molti anni prima della abrogazione, se si considera che la decisione di primo grado è del 1988. E alla stregua di tali considerazioni i quesiti relativi tanto al primo motivo, quanto al terzo motivo, si appalesano persino inammissibili, attesa la ambiguità del primo se cioè soddisfi l’obbligo della pronuncia la “affermazione condizionata a determinati presupposti senza precisare se ritenesse quei presupposti verificati o meno nel caso concreto” a fronte di fattispecie in cui in discussione si ponga la portata della espressione impiegata dal giudice, nella quale sia identificabile una statuizione nel segno del positivo loro accertamento; e considerata la estraneità del terzo alla prospettazione del motivo, che vertendo – una volta risolta, in relazione ai primi due mezzi, la questione della natura formale della irregolarità – sulla dedotta rilevanza retroattiva dell’intervento abrogativo del 1996, non era proponibile nei termini usati – se cioè costituisse irregolarità formale la annotazione nel registro dei beni ammortizzabili con unica posta cumulativa – inconferente essendo l’assunto della irregolarità formale o sostanziale al di fuori di qualunque specifico collegamento con la regola di diritto posta in discussione, quella cioè dell’originario all’art. 74, u.c. ovvero quella successiva alla sua abrogazione, in ordine al quale aveva ragion d’essere il quesito di diritto se anche le irregolarità formali costituissero ostacolo alla deduzione dei costi e degli oneri, sebbene riferite a periodi antecedenti la abrogazione di tale norma, se giudicate in tempo successivo. Infondato è anche il quarto mezzo, riferito al disposto del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 68, comma 7. L’assunto che la previsione normativa, che contempla la deduzione dei costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, risultante all’inizio del periodo d’imposta – con la possibilità di dedurre la differenza in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi – vada riferita anche ai beni di proprietà altrui, di cui il contribuente abbia la disponibilità, non trova giustificazione nella mera circostanza che anche quei beni sono strumentale all’impresa, poichè il riferimento al costo complessivo – cioè a quello di acquisto – e alla natura di beni materiali “ammortizzabili” contempla evidentemente i beni di cui il contribuente sia proprietario.

Il quesito proposto a riguardo, in cui la deducibilità limitata risulta prospettata in via generale, non può pertanto trovare risposta affermativa. Le spese del processo, attesa la reciproca soccombenza, vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il principale, dichiara inammissibile l’incidentale. Compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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