Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18334 del 31/07/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18334 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 6176-2010 proposto da:
D’AIETTI

ANGELO

ANTONIO

DTTNNN49D18G315C,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 27,
presso lo studio dell’avvocato CUFFARO VINCENZO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
RESCIGNO PIETRO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FONDIARIA SAI S.P.A. 00818570012, in persona del
procuratore speciale GIANMARIO GATTA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo

1

Data pubblicazione: 31/07/2013

studio dell’avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLIVA
MASSIMO giusta delega in atti;
SCOROLLI

LUCIA

SCRLCU56M51F665J,

elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GALGANO FEDERICO, GALGANO FRANCESCO giusta delega in
atti;
UGF ASSICURAZIONI S.P.A. (gia’ UNIPOL ASSICURAZIONI
S.P.A.) 00284160371, in persona del suo procuratore ad
negotia, Dott.ssa GIOVANNA GIGLIOTTI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 60, presso lo
studio dell’avvocato CAROLI ENRICO, rappresentata e
difesa dall’avvocato GIAMPAOLO MARIACHIARA giusta
delega in atti;
AZIENDA OSPEDALIERA POLICLINICO SANT’ORSOLA MALPIGHI
02553300373, in persona del direttore pro-tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO
60, presso lo studio dell’avvocato CAROLI ENRICO,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIAMPAOLO
MARIACHIARA giusta delega in atti;
REGIONE EMILIA ROMAGNA 80062590379, in persona del
Presidente della Giunta Regionale dott. VASCO ERRANI,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3,
presso lo studio dell’avvocato GIANNI SAVERIO,

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presso lo studio dell’avvocato POTTINO GUIDO MARIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FAZIO DOMENICO
giusta delega in atti;
MEDURI

RENATO

MDRRTL37D08H224E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 23, presso lo
studio dell’avvocato CAPUZZI FILIPPO GIUSEPPE, che lo

CORRADO giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 910/2009 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 27/07/2009 R.G.N. 1327/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/05/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato VINCENZO CUFFARO;
udito l’Avvocato ANTONELLA MICELE per delega;
udito l’Avvocato NICOLA RIVELLESE per delega;
udito l’Avvocato FRANCESCO MARINI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

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rappresenta e difende unitamente all’avvocato LOGOZZO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 2.10.1997, D’Aietti Antonio
Angelo conveniva in giudizio la dott.ssa Lucia Scorolli, il
prof. Renato Meduri, l’Azienda Ospedaliera Policlinico S. Orsola
– Malpighi e la Regione Emilia Romagna al fine di ottenerne la

conseguenza di plurimi interventi chirurgici, cui si era
sottoposto presso l’Azienda Ospedaliera, esattamente presso il
reparto di ottica fisiopatologica, diretta dal Meduri, alla
quale era stato indirizzato dalla Scorolli, anch’essa operante
presso quella struttura specializzata, cui aveva, in sede di
visita privata, rappresentato la condizione patologica di
cataratta presenile per la quale già nella metà degli anni
ottanta si era sottoposto ad asportazione bilaterale del
cristallino. A seguito dell’impianto secondario di cristallino,
effettuato il 23 ed il 27 aprile 1992, aveva subito il distacco
della retina in entrambi gli occhi, e dopo reiterati tentativi
messi in atto senza esito dai medici di quel reparto al fine di
restituirgli lo vista, si era rivolto altrove, infine
rassegnandosi, dopo ennesimo intervento presso altro ospedale,
all’attuale condizione di pressoché totale cecità. Nel corso del
giudizio, si costituivano i convenuti, medici ed Azienda,
negando lo propria responsabilità, la Regione eccependo la
propria carenza di legittimazione nonché la prescrizione della
pretesa risarcitoria intervenuta per decorso del quinquennio, e
le compagnie assicuratrici invocate da ciascuno di essi a

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condanna in solido al risarcimento dei danni patiti in

garanzia, deducendo l’infondatezza della

pretesa. Esaurita

l’istruzione, articolatasi in prove per interrogatorio e testi
nonché nell’espletamento di perizia medico legale, in
accoglimento di istanza proposta dal D’Aietti, ai sensi
dell’art. 186 quater C.p.c., il Tribunale disponeva con

biologico – permanente e -temporaneo – danno morale e danno
emergente, a carico solidale dei due medici e della Regione,
tenuti indenni dalle rispettive assicuratrici. Avverso il
provvedimento, previa comunicazione e deposito della rinuncia
alla definizione con sentenza, proponevano appello principale
l’Unipol Spa, Compagnia assicuratrice della Regione, ed appello
incidentale la Regione, la Scorolli, il D’Aietti, l’Azienda
Ospedaliera ed il Meduri. In esito al giudizio, la Corte di
Appello di Bologna con sentenza depositata in data 27 luglio
2009 revocava l’ordinanza, rigettava la domanda attrice e
compensava le spese del doppio grado. Avverso la detta sentenza
il D’Aietti ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato
in un unico motivo, illustrato da memoria. Resistono con
controricorso la UGF Assicurazioni Spa, già Unipol Spa,
l’Azienda Ospedaliera, la Scorolli, il Meduri, la Fondiaria Sai
Spa, la Regione Emilia e Romagna, la quale ha altresì depositato
memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un’unica doglianza,

deducendo la violazione e la falsa

applicazione degli artt.1176, 1218, 1223, 2697 cc e 115 cpc

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ordinanza il pagamento di circa 800 mila euro, a titolo di danno

nonché

l’omissione

insufficiente

e

contraddittoria,

il

ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte
di Appello totalmente disatteso i risultati della consulenza
tecnica espletata senza fornire la minima spiegazione delle
ragioni per le quali ha ritenuto di discostarsene.

il mancato adempimento dell’obbligo informativo ed il danno
subito dal paziente, nonché con riguardo alla prevedibilità
dell’effetto disastroso dell’intervento manipolativo, cui il
D’Aietti fu indotto a sottoporsi nel 1992, alla scarsa diligenza
dei sanitari nella valutazione dei segnali di pericolo,che
avrebbero dovuto invitare ad un approfondimento del problema e
ad un’approfondita discussione con il paziente stesso sui rischi
di un eventuale intervento.
La doglianza merita attenzione. A riguardo, corre l’obbligo di
premettere che il giudice di prime cure ha ravvisato nel
comportamento dei convenuti due profili di responsabilità: un
primo profilo di negligenza, consistito nel fatto di non aver
fornito al paziente un’adeguata informazione sul rischio di
distacco della retina e sui possibili rischi degli interventi
chirurgici di inserzione di un cristallino artificiale; un
secondo profilo, consistito nel fatto di non aver prestato
sufficiente attenzione alla storia clinica del paziente stesso e
di aver sottovalutato una serie di elementi indicativi di un
elevato grado di rischio nel prodursi del distacco della retina.

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Ciò, con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità tra

Le considerazioni, poste dal giudice di primo grado a base della
decisione, erano perfettamente in linea con la relazione
peritale elaborata dal CTU, il quale aveva evidenziato che, già
all’atto della prima visita nel gennaio 1992, nell’esame
obiettivo dettato dalla dr.ssa Scorolli risultavano descritti

sull’avviso i sanitari. Ed invero, il paziente già prima
dell’intervento presentava una serie di elementi patologici,
oltre l’opacità del cristallino, quali le alterazioni a carico
dell’iride e la sublussazione del cristallino, le quali essendo
presenti in un soggetto poco più che quarantenne e quindi
affetto da una cataratta giovanile in istato avanzato, avrebbero
dovuto invitare cogentemente ad un approfondimento del problema,
ad una richiesta di visione della cartella relativa ai pregressi
interventi, ad una approfondita discussione con il paziente
stesso sul bilancio costi/benefici, rischi/vantaggi di un
eventuale intervento per concludere sconsigliando il malato a
farsi mettere le mani su occhi così problematici. Infatti, una
cataratta giovanile che arriva ad uno stato avanzato senza
l’intervento di riconoscibili fattori patologici locali (uveiti,
pregressi distacchi di retina, terapie steroidee ecc) o generali
(diabete, dermatopatie ecc) è chiaramente indice di uno stato
meiopragico dell’occhio.
Pertanto, tutti quei fattori “regmatogeni”,

capaci cioè di

provocare un distacco di retina, sconsigliavano l’intervento; e
la prudenza andava raddoppiata, triplicata, eseguendosi un

7

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piccoli segnali che, valutati insieme, avrebbero dovuto mettere

intervento non strettamente necessario, che faceva prevedere le
gravi complicazioni vitreo-retiniche poi realizzatesi. La
valutazione dei fattori di rischio avrebbe dovuto essere,
allora, ancora più stringente e mai come in quel caso – così
continuava il CTU – sarebbe stata necessaria una chiara

apertura del bulbo oculare avrebbe comportato. Al contrario,
nel caso di specie, l’argomento fu affrontato solo molto
rapidamente e superficialmente, come confermato dal fatto sul
primo stampato fatto firmare non venne neppure indicato il tipo
di intervento che sarebbe stato effettuato il giorno successivo.
Infine, era necessario sottolineare che la patologia retinovitreale era stata “chiaramente ed inequivocabilmente
conseguenza della esecuzione degli interventi di impianto
secondario di lente intraoculare, effettuati nell’aprile 1992. I
distacchi di retina, che non si erano presentati per otto anni
dopo i primi interventi, eseguiti nel 1984/85 presso l’ospedale
Oftalmico di Roma, si verificarono invece dopo un mese e dopo
meno di un anno in seguito agli interventi del 1992. Ed in
nessun articolo o testo – così continua il CTU – si può leggere
che non sia necessario tener conto dello stato del vitreo e
della retina per decidere una riapertura della camera anteriore
salvi i casi di forza maggiore.
Ora, a fronte di tali articolatissime considerazioni, rassegnate
dal perito d’ufficio e fatte proprie dal giudice di prime cure,
la Corte di merito ha omesso di spiegare le ragioni per cui le

8

A

esposizione.dei vantaggi ma anche dei pericoli che una seconda

considerazioni del CTU non meritassero di essere condivise. E
ciò, sia con riferimento al profilo di negligenza, consistito
nel fatto di non aver fornito al paziente un’adeguata
informazione sul rischio di distacco della retina e sui
possibili rischi degli interventi chirurgici di inserzione di un

consistito nel fatto di non aver prestato sufficiente attenzione
alla storia clinica del paziente stesso e di aver sottovalutato
una serie di elementi indicativi di un elevato grado di rischio
nel prodursi del distacco della retina.
In particolare, con riferimento al primo dei due profili sopra
evidenziati, non è inopportuno sottolineare che, come ha già
statuito questa Corte (tra le altre, Cass. n. 10741/2009 e n.
24791/2008), il professionista sanitario ha l’obbligo di fornire
tutte le informazioni possibili al paziente in ordine alle cure
mediche o all’intervento chirurgico da effettuare, tanto è vero
che deve sottoporre al paziente, perché lo sottoscriva un modulo
non generico, dal quale sia possibile desumere con certezza
l’ottenimento in modo esaustivo da parte del paziente di dette
informazioni.
Con la conseguenza che il medico-chirurgo viene meno all’obbligo
a suo carico in ordine all’ottenimento del c.d. consenso
informato ove non fornisca al paziente, in modo completo ed
esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili
sull’intervento chirurgico, che intende eseguire, e soprattutto
sul bilancio rischi/vantaggi dell’intervento: obbligo che

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a

cristallino artificiale, sia con rifermento al profilo,

fortiori va assolto in un’ipotesi come quella in esame, la quale
evidenziava non pochi fattori “regmatogeni”, capaci di provocare
un distacco di retina, che sconsigliavano l’intervento, peraltro
neppure cogentemente necessario. Con la conseguenza che sarebbe
stata indispensabile una accurata esposizione sia dei vantaggi

bulbo oculare avrebbe comportato.
La Corte di merito,invece, si è ben guardata dall’approfondire
questo aspetto, posto dal giudice di prime cure a base della
decisione; non ha affatto approfondito la problematica relativa
all’osservanza o meno dell’obbligo di informare il paziente sul
bilancio rischi-vantaggi derivante dall’intervento e,
soprattutto, ha omesso di verificare se l’adempimento da parte
dei sanitari dei loro doveri informativi in termini di maggiore
e più adeguata completezza avrebbe prodotto con ragionevole
certezza l’effetto di non eseguire l’intervento chirurgico dal
quale è poi derivato lo stato patologico al D’Aietti.
Ugualmente, si è ben guardata dal chiarire perché, nella vicenda
in esame, non sarebbe stato possibile conoscere

ex ante

i

fattori “regmatogeni” sopra specificati e di prevedere secondo
diligenza qualificata,

in base alle conoscenze tecnico-

scientifiche del momento, le conseguenze pregiudizievoli poi
realizzatesi. E ciò, benché già all’atto della prima visita nel
gennaio 1992, nell’esame obiettivo dettato dalla dr.ssa Scorolli
risultavano descritti quei segnali che, valutati insieme,
avrebbero potuto e dovuto mettere sull’avviso i sanitari. Senza

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sia, e soprattutto, dei pericoli che una seconda apertura del

considerare che la Corte di merito ha inoltre

omesso di

spiegare in maniera non solo esaustiva ma anche chiara e
comprensibile, in ordine al nesso di consequenzialità
necessaria, quali sarebbero “le plurime interferenze, talune
innominate o frammentariamente indicate, sia pregresse che

conseguenze lesive riscontrate.
La Corte di merito ha infatti fondato la revoca dell’ordinanza
di primo grado essenzialmente sulla considerazione che nella
vicenda in esame
motiva

“difetta nella relativa argomentazione

l’acclaramento ex ante della conoscibilità e quindi

della relativa comunicazione informativa di quel grado di
compromissione emerso nella illustrazione postuma del C.t.u. che
potesse imporsi come ostativo rispetto ai conformi e collaudati
protocolli terapeutici adottati dalla struttura particolarmente
specializzata e che dovesse pertanto necessariamente condurre al
diniego della prestazione per la quale il paziente vi si era
rivolto anziché ad un mero incremento di allerta
nell’approntamento operativo che risulta invece ampiamente
riconosciuto. Suppletivamente, quanto al nesso di
consequenzialità necessaria come si è detto, non appare
soddisfatto il criterio di immediata e diretta imputazione delle
conseguenze lesive riscontrate, variamente inquinato
all’origine

da plurime interferenze, talune innominate o

frammentariamente indicate, sia pregresse che successive,
consistite

in ripetuti trattamenti presso numerose strutture

11

1/11.

successive” tali da incidere sul criterio di imputazione delle

analogamente specializzate, la cui incidenza non può essere
ignorata
Risulta evidente che la Corte di merito non ha affatto
provveduto ad una specifica confutazione degli argomenti, svolti
dal CTU e fatti propri dal giudice di primo grado, ed ha omesso
ogni specifico approfondimento dei significativi elementi
evidenziati, limitandosi ad una motivazione assai generica, al
limite della motivazione apparente, inidonea, in quanto tale, a
spiegare nello specifico le ragioni per le quali se ne è
discostata.
Ora, è appena il caso di sottolineare che sussiste il vizio di
motivazione,

sotto

il

profilo

dell’omissione

e/o

dell’insufficienza, dedotto dalle ricorrenti, quando nel
ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile come nella
specie traccia evidente del mancato o deficiente esame di punti
decisivi della controversia, prospettati dalle parti. Ne deriva
che nella specie l’omesso compimento degli accertamenti sopra
indicati inficia la correttezza del ragionamento svolto dalla
Corte di merito e ne determina la sua censurabilità. Il ricorso
per cassazione, siccome fondato, deve essere accolto e la
sentenza impugnata deve essere cassata. Con l’ulteriore
conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi
nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata
alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, che
provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della
presente fase di legittimità.

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P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con
rinvio della causa alla Corte di Appello di Bologna, in diversa
composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento
delle spese della presente fase di legittimità.
5.2013

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in d ta

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