Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18333 del 31/07/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18333 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 4709 – 2010 proposto da:
TORRICELLI ERNESTO TRRRST43T11H628B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo
studio dell’avvocato PALMITESSA MARIA INNOCENZA,
rappresentato e difeso dagli avvocati MORETTI PAOLO,

EMANUELA RUTIGLIANO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1150

contro

FANGAREGGI NICOLA FNGNCL63A01H223G, PATTI MARISA
PTTMRS31E681496B, quali eredi di FANGAREGGI SALVATORE,
elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9,

1

Data pubblicazione: 31/07/2013

presso lo studio dell’avvocato SPALLINA BARTOLO, che
li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SILVESTRI CLAUDIO giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 929/2009 della CORTE D’APPELLO

522/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/05/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato FERRUCCIO ZANNINI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

2

di BOLOGNA, depositata il 29/07/2009, R.G.N. R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 16 novembre 1999 Ernesto
Torricelli conveniva in giudizio l’avv. Salvatore Fancareggi
esponendo che dal 1967 al 1969 era stato in cura presso il
dott. Levi Minzi per disturbi di natura psichica e che aveva

denuncia-querela nei confronti del sanitario per truffa e
circonvenzione, il Levi Minzi era stato assolto per
insussistenza del fatto sia in primo che in secondo grado; che,
rivoltosi all’avv. Fancareggi chiedendogli se fosse possibile
agire in sede civile, ne aveva ricevuto una risposta negativa,
essendo preclusiva la sentenza penale; che, attivatosi presso
l’Ordine dei medici di Trieste, non aveva ottenuto
soddisfazione alcuna in quanto l’Ordine aveva mandato assolto
il sanitario anche dalle accuse di scorrettezze deontologiche
ed il TAR dapprima ed il Consiglio di Stato avevano respinto il
ricorso; che il Consiglio di Stato nella motivazione della
sentenza del 21 ottobre 1993 aveva però affermato che l’azione
civile era proponibile, essendo la sentenza penale solo

subito gravi danni a seguito di terapie errate; che, sporta

istruttoria. Ciò premesso, considerato che ogni diritto
risarcitorio era ormai prescritto a causa della negligenza
dell’avv. Fancareggi, chiedeva che quest’ultimo fosse
condannato al pagamento della somma di giustizia che avrebbe
potuto ottenere dal dott.Levi Minzi per il risarcimento dei
danni. In esito al giudizio in cui si costituiva il legale
deducendo l’infondatezza della domanda il Tribunale di Reggio

3

LA

Emilia respingeva la domanda condannando l’attore alla
rifusione delle spese. Avverso tale decisione il soccombente
proponeva appello ed in esito al giudizio la Corte di Appello
di Bologna con sentenza depositata in data 29 luglio 2009
respingeva il gravame con condanna dell’appellante alle spese.

ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono con
controricorso, illustrato da memoria, Fancareggi Nicola e
Patti Marisa
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza,

deducendo la violazione e la falsa

applicazione dell’art.345 cpc nel testo antecedente alla legge
n.69/2009 in relazione all’art.360 comma l n.3 cpc, il
ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in
cui la Corte di Appello non ha ammesso la produzione
documentale depositata con l’atto di impugnazione, perché
preclusa dal dettato dell’art.345 citato, trascurando che il
divieto previsto dalla norma va riferito alle prove costituende
e non anche a quelle precostituite.
Con la seconda doglianza, svolta per motivazione insufficiente
e contraddittoria, il ricorrente ha lamentato che la Corte di
Appello sarebbe incorsa nel vizio motivazionale dedotto
relativamente alla circostanza del mancato conferimento di uno
specifico incarico per la proposizione dell’azione civile,
circostanza contraddetta dalle prove documentali non prese in

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A

Avverso la detta sentenza il Torricelli ha quindi proposto

considerazione per la ritenuta preclusione di cui all’art.345
cpcI motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in
quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili,
prospettano ragioni di censura connesse tra loro, sono

Al riguardo, deve premettersi che, nella nota sentenza

n.

8202/05, le Sezioni Unite hanno sottoposto a revisione critica
la distinzione tra prove precostituite e prove costituende
sottolineando che la distinzione tra “mezzi di prova”
identificati con le prove costituende e “documenti”, da
identificarsi invece con le prove precostituite, non è corretta
poichè anche i documenti si configurano comunque come una
specie del

genus

mezzi di prova. Inoltre, anche la loro

acquisizione può determinare un prolungamento delle attività
processuale, come avviene per le prove costituende, ove si
proceda ad una querela di falso o ad un’istanza di
verificazione della scrittura. Le Sezioni Unite, quindi, nel
contrasto sorto all’interno della sezione Lavoro tra
l’orientamento tradizionale e quello più restrittivo, secondo
cui l’omessa indicazione dei documenti nei primi atti difensivi
e il loro mancato contestuale deposito comportano la decadenza
dal diritto di produrli nelle successive fasi nonché in
appello, ritenne di prestare adesione all’approccio
interpretativo più rigido (così, in motivazione).
Con decisione immediatamente successiva le Sezioni Unite hanno

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infondati e non meritano di essere accolti.

quindi statuito che l’art. 345, co. 3, deve essere interpretato
nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il
principio dell’inammissibilità dei nuovi mezzi di prova (quelli
cioè non richiesti in precedenza) e quindi anche delle
produzioni documentali, indicando i requisiti che detti nuovi

sede di gravame. Il giudice, infatti, oltre a quelle prove che
le parti dimostrino di non aver potuto proporre per causa a
esse non imputabile, è abilitato ad ammettere, nonostante le
verificatesi preclusioni, solo quelle prove che ritenga nel
quadro delle risultanze istruttorie già acquisite
indispensabili in quanto suscettibili di un’influenza causale
più incisiva rispetto a quella che le prove, definite come
rilevanti, hanno sulla decisione finale della controversia
(S.U. 8203/05).
Allo stato, può quindi ritenersi principio giurisprudenziale
consolidato quello secondo cui 1′ ‘art. 345, terzo comma, cod.
proc. civ., come modificato dalla legge 26 novembre 1990, n.
353, applicabile alla fattispecie in esame

ratione temporis,

consentendo al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che
le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse
non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle
risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, ha
completamente superato la distinzione tra prove costituende e
prove precostituite onde la totale infondatezza della prima
doglianza in esame su cui il ricorrente ha costruito ed

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mezzi di prova devono presentare per poter trovare ingresso in

esaurito il suo impianto critico della sentenza impugnata,
senza muovere la minima censura alla Corte per non aver ammesso
le produzioni sotto gli ulteriori profili della loro
indispensabilità ai fini della decisione e della insussistenza
di colpa nel ritardo della produzione.

travolge anche il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta
l’inidoneità della motivazione, resa senza tener conto dei
documenti prodotti con l’appello, la cui produzione è stata
ritenuta inammissibile in forza del dettato dell’art.345 cpc.
Ciò, in quanto la l’infondatezza della prima censura è ed
appare logicamente, oltre che giuridicamente, assorbente ove si
consideri che ogni giudizio sulla adeguatezza e sulla
esaustività della motivazione, con la quale la Corte di merito
ha corredato la decisione, non può non essere rapportato che
agli elementi di prova correttamente acquisiti agli atti di
causa, costituenti il solo materiale probatorio suscettibile di
valutazione.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri
di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare i
compensi professionali.

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Ed invero, l’infondatezza del primo motivo di impugnazione

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in complessivi C 5.200,00 di cui C 5.000,00 per compensi, oltre
accessori di legge, ed C 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 23.5.2013

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