Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18329 del 07/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 07/09/2011, (ud. 12/07/2011, dep. 07/09/2011), n.18329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

O.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che

lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2202/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13.3.08, depositata il 02/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIETRO

GAETA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis c.p.c.:

“Con sentenza depositata il 2 marzo 2009 e con la precedente sentenza non definitiva n. 7280/05, la Corte d’appello di Roma, per quanto qui interessa:

1 – ha prima (con la sentenza non definitiva) dichiarato nullo il termine apposto, ai sensi dell’art. 8 C.C.N.L. 1994, come integrato dall’accordo nazionale 25 settembre 1997, al contratto di lavoro intercorso dal 1 giugno al 30 settembre 1999 tra Poste Italiane s.p.a. e O.G. con la causale relativa alle “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”, in quanto stipulato oltre il termine di efficacia stabilito al 30 aprile 1998 della causale in parola;

2 – poi con la sentenza definitiva ha dichiarato nullo anche il termine apposto, ex art. 8 C.C.N.L. 1994, al contratto tra le medesime parti dal 20 luglio al 30 settembre 1998 con la causale relativa alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre, in ragione del difetto di prova da parte della società della effettiva ricorrenza nel caso concreto della necessità di assunzione enunciata in astratto alla stregua della clausola contrattuale collettiva;

3 – ha dichiarato nullo il termine apposto, ai sensi dell’art. 8 C.C.N.L. 1994, come integrato dall’accordo nazionale 25 settembre 1997, tra le Poste e M.G. tra il 7 febbraio e il 30 aprile 1998 e prorogato al 30 maggio 1998, per due autonome ragioni:

a) per il difetto di prova della necessaria correlazione tra le esigenze di ristrutturazione enunciate e quelle specifiche dell’assunzione di un determinato lavoratore; b) in quanto la proroga avrebbe superato il termine di efficacia della causale, stabilito al 30 aprile 1998;

4 – ha dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro tra le medesime parti dal 22 giugno al 30 settembre 1998 per le necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre, per le medesime ragion indicate al precedente n. 2.

Con ricorso notificato il 2 marzo 2010, la s.p.a. Poste Italiane chiede la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma depositata il 2 marzo 2009, esponendo cinque motivi.

Resiste alle domande O.G. con rituale controricorso.

L’intimato M.G. non si è costituito in questa sede.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dall’art. 360 c.p.c. e segg. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente fondato con riferimento alla pronuncia di cui ai punti 2 e 4 che precedono, inammissibile (e comunque manifestamente infondato) quanto alla pronuncia sub 1 e inammissibile con riguardo a quella sub 3, per cui va trattato in camera di consiglio per le pronunce conseguenti.

A) La società non ha infatti impugnato (almeno formalmente) la sentenza parziale del 2005, con la quale la Corte territoriale aveva dichiarato la nullità del termine di cui al superiore punto 1), accertando la prosecuzione giuridica del relativo rapporto di lavoro oltre il 30 settembre 1999 e condannando la società a risarcire all’ O. il danno in misura equivalente alle retribuzioni perdute tra il 16 gennaio 2002 e il 30 settembre del medesimo anno.

In ogni caso, tenendo conto del contenuto del ricorso che investe nella sostanza anche il contenuto della sentenza non definitiva, si rileva che esso è manifestamente infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha infatti operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette, di per sè, unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse.

Come accertato nella sentenza impugnata, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”.

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo per l’assunzione di unità con contratto a termine, secondo il quale “in relazione all’art. 8 del C.C.N.L., così come integrato con accordo 25 settembre 1997, le parti si danno atto che fino al 31 gennaio 1998, l’impresa si trova nella situazione che precede, dovendo affrontare il processo di ristrutturazione della sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattative”.

Con successivo accordo attuativo del 16 gennaio 1998, le medesime parti, sempre con riferimento all’integrazione dell’art. 8 del contratto collettivo del 1994 operata dai successivi accordi sottoscritti con le OO.SS. stipulanti il C.C.N.L., si erano dato “atto che l’impresa continua a trovarsi nella situazione di cui all’integrazione stessa, dovendo concludere il processo di trasformazione della sua natura giuridica e della conseguente ristrutturazione aziendale e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di trattative”, autorizzando conseguentemente l’impresa a procedere ad assunzioni a termine fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, ha ripetutamente confermato le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati, in base alla previsione di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 e cassato le poche decisioni di segno opposto.

Pur negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive la cui previsione è affidata ai contraenti collettivi indicati, la necessità che quella di cui all’accordo in questione debba essere istituzionalmente contenuta in limiti temporali predeterminati, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito secondo cui, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, con tali accordi le parti avevano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza fino al 31 gennaio e poi fino al 30 aprile 1998 della situazione descritta nell’accordo integrativo, per cui, per far fronte alle esigenze in quest’ultima sede indicate, l’impresa poteva procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale data.

Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

B) Quanto sopra esposto, in particolare relativamente alla possibilità che la contrattazione collettiva proceda, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 ad individuare anche direttamente una nuova ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, attraverso l’accertamento di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse, ha indotto ripetutamente questa Corte a ravvisare una ipotesi siffatta nella causale oggetto dell’accertamento di cui ai superiori punti nn. 2) e 4), in ordine ai quale il ricorso appare pertanto manifestamente fondato.

C) Infine, con riguardo all’accertamento di cui al punto 3) che precede, non si rinviene nel ricorso alcuna censura in ordine all’argomento sub b), il quale appare in grado di sostenere in maniera autonoma sul punto la decisione impugnata”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Il controricorrente O. ha depositato una memoria.

Il Collegio condivide solo parzialmente il contenuto della relazione, in quanto, nello svolgimento del terzo motivo di ricorso, teso a dimostrare che le parti collettive non avevano stabilito al 30 aprile 1998 il termine di efficacia temporale della causale individuata dall’accordo integrativo del 25 settembre 1997, la società ricorrente ricorda altresì, a pag. 16 dell’atto, che con l’accordo del 27 aprile 1998, le parti collettive avevano convenuto il potere della società, per far fronte ad accertate esigenze scaturite dai nuovi processi di ristrutturazione e riorganizzazione, di prorogare di 30 giorni i rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30 aprile 1998.

Ancorchè tale deduzione sia stata svolta all’interno della tesi della natura meramente ricognitiva e non autorizzativa degli accordi successivi a quello integrativo del 25 settembre 1997, essa vale comunque a contestare (in maniera vincente, per quanto prima osservato nella relazione a fatto proprio dal collegio) l’affermazione della sentenza secondo la quale con la proroga del contratto di cui al punto 3 della relazione, la società avrebbe superato il termine massimo di vigenza degli accordi aziendali.

Concludendo, va accolto il ricorso nei confronti dell’intimato M., con conseguente cassazione al riguardo della sentenza impugnata e decisione nel merito della causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, col rigetto delle originarie domande del lavoratore, che va altresì condannato a rimborsare alla società le spese dell’intero processo, come liquidate in dispositivo.

Quanto al ricorso nei confronti di O., esso va accolto quanto al contratto individuale di lavoro del 22 giugno 1998 e va respinto con riguardo all’altro contratto. Anche in questo caso, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito, col determinare al 1 giugno 1999 la decorrenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le parti.

Tenuto conto della soccombenza reciproca delle parti, di peso specifico diverso, vano compensate nella misura della metà le spese dell’intero processo e la società va condannata a pagare all’ O. l’ulteriore metà, liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei confronti di M., cassa conseguentemente la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le originarie domande di M., che condanna a rimborsare alla società le spese dell’intero giudizio, liquidate in Euro 1060,00, di cui Euro 240,00 per diritti ed Euro 800,00 per onorari in primo grado, Euro 1260,00, di cui Euro 240,00 per diritti ed Euro 1000,00 per onorari in secondo grado e Euro 30,00 per esborsi ed Euro 1200,00 per onorari nel presente giudizio; oltre accessori di legge;

accoglie il ricorso nei confronti di O. quanto al contratto del 22 giugno 1998 e lo rigetta quanto all’altro contratto; cassa corrispondentemente la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, determina al 1 giugno 1999 la decorrenza del rapporto a tempo indeterminato; compensa nella misura della metà tra la società e l’ O. le spese dell’intero processo e condanna la ricorrente a rimborsare al resistente l’ulteriore metà, liquidata in Euro 530,00, di cui Euro 120,00 per diritti ed Euro 400,00 per onorari in primo grado, in Euro 640,00, di cui Euro 120,00 per diritti ed Euro 500,00 per onorari in secondo grado e in Euro 15,00 per esborsi ed Euro 600,00 per onorari in questo giudizio; oltre accessori di legge; con distrazione all’avv. Roberto Rizzo.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2011

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