Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18329 del 03/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/09/2020, (ud. 17/06/2020, dep. 03/09/2020), n.18329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9731-2018 proposto da:

V.A., V.G.F., V.D., V.M.,

VA.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIORGIO PINNA;

– ricorrenti –

contro

V.E., VA.AL., V.C., VA.EN., in

qualità di eredi di v.m., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA PORTUENSE 104 presso la Signora D.A.A.,

rappresentati e difesi dall’avvocato EMANUELA VARGIU;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 127/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 21/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DI MARZIO

MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Va.Ma., V.A., V.G.F., V.D. e V.M. ricorrono per due motivi, nei confronti di v.m., contro la sentenza del 21 febbraio 2017 con cui la Corte d’appello di Cagliari, provvedendo in riforma di sentenza resa tra le parti dal locale Tribunale, revocato il decreto ingiuntivo da esso emesso su ricorso di v.m., ha condannato gli odierni ricorrenti al pagamento, in favore di quest’ultimo, della somma di Euro 13.457,60 ciascuno, oltre interessi dalla domanda al saldo, nei limiti del beneficio di inventario, regolando le spese di lite.

2. V.E., Va.Al., V.C., Va.En., eredi di v.m., resistono con controricorso e depositano memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per aver attribuito valore di prova al verbale di inventario del defunto V.L., dante causa di essi ricorrenti, quantunque detto verbale costituisse mera dichiarazione di scienza priva di efficacia probatoria.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non necessaria la produzione degli originali degli effetti cambiari posti dal ricorrente in monitorio a fondamento della sua domanda, di guisa che il giudice aveva in definitiva deciso senza alcuna prova del credito fatto valere, tanto più che il possesso della cambiale da parte di uno dei coobbligati cambiari non determina alcuna presunzione nè che il pagamento sia stato effettuato dal solo possessore con denaro proprio, nè che sia stato eseguito da tutti i coobbligati con denaro dagli stessi fornito, sicchè la Corte d’appello aveva errato ad affermare che era onere di essi opponenti offrire prova contraria.

4. – Il ricorso è inammissibile.

4.1. – Il primo motivo (a parte l’erroneo inquadramento della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed a parte la formulazione della censura di omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, fatto del quale non v’è nella illustrazione del motivo alcuna traccia) è inammissibile giacchè omette di misurarsi con la ratio decidendi posta dalla Corte d’appello a sostegno della propria decisione: ed invero, il giudice di appello non ha affatto attribuito efficacia probatoria del credito fatto valere dal v.m. al verbale di inventario in sè considerato, ma ha posto l’accento sulla circostanza che “tale esposizione debitoria”, ossia l’esposizione debitoria derivante dall’avere (OMISSIS) S.r.l., v.m. e V.L. emesso titoli cambiari tratti all’ordine del Banco di Sardegna, pagati poi da v.m., con conseguente suo diritto di regresso nei confronti di V.L., e per esso dei suoi eredi (mentre v.m. aveva invece sostenuto di essere non coemittente, ma semplice avallante, assieme a V.L.), “era stata espressamente riconosciuta dagli stessi eredi di V.L. al momento della redazione dell’inventario da parte del notaio, al quale, su espressa domanda, avevano dichiarato “l’atto conforme alla loro volontà e la verità”, e solo dopo l’emissione del decreto ingiuntivo avevano contestato la sussistenza di detto debito ereditario”.

E’ dunque palese che il giudice di merito ha attribuito al verbale di inventario valore confessorio, valore che il motivo formulato non mette punto in discussione.

E’ poi totalmente trascurato, nel corpo del motivo, che la Corte d’appello abbia ritenuto l’esistenza del debito in questione anche sulla base della testimonianza di L.S., già amministratore di (OMISSIS) S.r.l., emittente, come si è poc’anzi accennato, dei titoli in discorso.

4.2. – Il secondo motivo è parimenti inammissibile in ciascuno dei suoi diversi profili.

Anche in questo caso (in disparte, ancora una volta, l’erronea formulazione del motivo e la deduzione dell’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, che invece il motivo non indica) la ratio decidendi svolta dal giudice di merito non è censurata.

A fronte dell’eccezione svolta da Va.Ma., V.A., V.G.F., V.D. e V.M., i quali avevano evidenziato che il preteso creditore, v.m., non aveva depositato, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da essi introdotto, gli originali delle cambiali emesse in favore del Banco di Sardegna, la Corte d’appello ha osservato che, al contrario, detti titoli, che v.m. aveva impiegato per insinuarsi al passivo del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., medio tempore dichiarato, erano stati esibiti in originale in adempimento di ordine in tal senso impartito dal giudice del monitorio, il quale aveva pronunciato il decreto ingiuntivo proprio sulla base dell’originale delle cambiali, che erano state poi restituite al Fallimento. Dal che la Corte territoriale ha poi tratto il convincimento che, avendo il v.m. il possesso dei titoli, doveva ritenersi avesse estinto, in favore del Banco di Sardegna, il debito da essi portato.

Orbene, il motivo di ricorso si limita a ripetere che la Corte d’appello avrebbe accolto la domanda in assenza dei titoli, e dunque avrebbe accolto la domanda senza prove, ma non contiene alcun argomento volto a demolire il ragionamento svolto dal giudice di merito. Sicchè, sotto tale aspetto, il motivo è inammissibile in applicazione del principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; che, in riferimento al ricorso per Cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; Cass. 12 marzo 2005, n. 5454; Cass. 29 aprile 2005, n. 8975; Cass. 22 luglio 2005, n. 15393; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1315; Cass. 14 marzo 2006, n. 5444; Cass. 17 marzo 2006, n. 5895; Cass. 31 marzo 2006, n. 7607; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2540; Cass. 28 agosto 2007, n. 18210; Cass. 28 agosto 2007, n. 18209; Cass. 31 agosto 2015, n. 17330).

Quanto alla questione secondo cui il possesso della cambiale da parte di uno dei coobbligati cambiari non determinerebbe alcuna presunzione nè che il pagamento sia stato effettuato dal solo possessore con denaro proprio, nè che sia stato eseguito da tutti i coobbligati con denaro dagli stessi forniti, essa non risulta affatto trattata nella sentenza impugnata, sicchè l’inammissibilità discende dall’applicazione del principio in forza del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

5. – Le spese seguono la soccombenza Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2020

 

 

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