Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18327 del 19/09/2016
Cassazione civile sez. VI, 19/09/2016, (ud. 24/06/2016, dep. 19/09/2016), n.18327
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2791-2015 proposto da:
M.F., quale erede di M.G., elettivamente
domiciliato in Roma, via Crescenzio 41/A, presso l’Agenzia Esse di
M.S., rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso,
dagli Avvocati Cosimo Lovelli e Daniele Oliverio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi a 12, presso
l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per
legge;
– resistente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Roma, depositato il 3
settembre 2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24
giugno 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petti;
udito l’Avvocato Federica Manzi, per delega dell’Avvocato Daniele
Oliviero.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che, con ricorso in riassunzione presso la Corte d’appello di Roma, M.A. e M.F., in proprio e nella qualità di eredi di M.G., chiedevano la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di un indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio pensionistico svoltosi dinnanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale della Campania, iniziato dal loro dante causa, dichiarato interrotto e da loro riassunto nella qualità di eredi del loro dante causa M.G., deceduto il (OMISSIS); giudizio iniziato dal loro dante causa nel 1975 e definito nel 2007;
che l’adita Corte d’appello rigettava il ricorso rilevando, quanto alla domanda proposta a titolo ereditario, che i ricorrenti si erano limitati ad asserire che il giudizio era stato iniziato dal loro dante causa nel 1975, senza che di tale affermazione potesse desumersi alcun riscontro dalla sentenza della Corte dei conti intervenuta in quel giudizio, unici elementi rilevabili essendo quello del decesso del dante causa dei ricorrenti avvenuto nel 1997 e della interruzione del giudizio presupposto nel settembre 2006;
che, quanto alla domanda proposta in proprio, la Corte d’appello rilevava che i ricorrenti avevano riassunto il giudizio, a seguito di interruzione, nel 2007 e cioè nello stesso anno in cui il giudizio stesso è stato deciso dalla Corte dei conti;
che per la cassazione di questo decreto propone ricorso M.F. quale erede di M.G., sulla base di un unico motivo;
che l’intimato Ministero non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Consideralo che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che deve preliminarmente osservarsi che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso la circostanza che lo stesso sia stato proposto dal solo M.F. e non anche da M.A., parte del giudizio svoltosi dinanzi alla Corte d’appello;
che trova, infatti, applicazione il principio per cui “in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’avvenuta proposizione del ricorso per cassazione da parte di alcuni soltanto dei soggetti che, in qualità di eredi, avevano agito in sede di merito, non comporta la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri, i quali nel giudizio di impugnazione non assumono la veste di litisconsorti necessari. Invero, i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta sia dal precedente art. 727, il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, sia dall’art. 757, il quale, prevedendo che il coerede succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione. Trova, pertanto, applicazione il principio generale, secondo cui ciascun soggetto partecipante alla comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio della cosa comune” (Cass. n. 995 del 2012; Cass., S.U., n. 24657 del 2007);
che con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia rigettato la domanda senza dare corso alla richiesta, tempestivamente formulata nel ricorso introduttivo, di acquisizione degli atti del giudizio presupposto;
che il ricorso è fondato;
che questa Corte ha infatti affermato il principio, che il Collegio condivide, per cui “in tema di equa riparazione, per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 5, – di richiedere alla corte d’appello di disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della addotta violazione della ragionevole durata del processo; difatti la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, mentre (in coerenza con il modello procedimentale, di cui all’art. 737 c.p.c. e ss., prescelto dal legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n. 89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con l’esercizio di tale potere” (Cass. n. 16367 del 2011; da ultimo, Cass. n. 5354 del 2016);
che la Corte d’appello, all’evidenza, si è discostata da tale principio, atteso che ha omesso di considerare che i ricorrenti avevano adempiuto il proprio onere di allegazione riferendo i dati necessari ai fini della individuazione della domanda proposta dal loro dante causa, e richiedendo, come la normativa ratione temporis vigente consentiva, l’acquisizione di ufficio dei documenti relativi al procedimento presupposto;
che il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perchè proceda a nuovo esame della domanda e perchè provveda alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2016